sabato 8 luglio 2017

Un articolo di Luigi Manconi sul “Foglio”
Grammatica o semantica del Web?


Ieri  “Il Foglio” ha pubblicato un interessante  pezzo  di Luigi Manconi,  dove  ci si lamenta del clima di violenza verbale  che  (è vero)  avvelena il web (1). Un mondo, definito  virtuale,  dominato però  da un linguaggio violento,  dalla durezza assai poco virtuale, al punto talvolta di  uccidere fisicamente la vittima designata.  Un mondo  popolato di  haters che,  qualche mese fa,  ha  investito come un treno in corsa lo stesso  Manconi.  Chiunque ami il  genere horror,  legga  i truculenti  commenti  alla sua  intervista, rilasciata al quotidiano più letto nelle procure, dove egli interviene, e giustamente, sulle strampalate  affermazioni  di Luigi di Maio  a proposito dell’ immigrazione rumena in Italia  (2).
Putroppo Manconi,  nonostante sia acuto  sociologo, abbozza un’analisi insoddisfacente.  In sintesi: a)  “Chi parla male pensa male” (si  cita Wittgenstein  vs  lo zoppicante italiano dell’onorevole  Di Maio  e dei commentatori;  b) “La perfetta sovrapponibilità degli argomenti addotti [nei commenti] fa una certa impressione”, perché  dimostra  “ancora una volta, la funzione conformativa e confermativa della comunicazione online, che produce disciplina mentale e meccanismi di omologazione senso comune e conformismo” ; c) “i suoi  contestatori”, tesi a difendere il “pensiero del Capo (Di Maio)”, mostrano di appartenere, “ sotto il profilo morale e culturale”, a “una cultura reazionaria che incapace  com’è di produrre quella rivoluzione conservatrice che forse sembra auspicare, si manifesta essenzialmente come acidità di stomaco”;   d), Tuttavia,  lo spirito di rivalsa che c’è dietro insulti, rivela “anche una sofferenza reale e  “in alcuni settori, una motivatissima volontà di ribellione”,  “gli stessi settori da anni mortificati nelle loro aspettative e umiliati dall’ostentazione dei privilegi e dall’oltraggio delle diseguaglianze”. 
Dal punto di vista sociologico, non sempre  è vero che "chi parla male, pensa  male". Per il sociologo, come dire,  “obiettivo” (non partecipante),  chi parla, parla,  il male e il bene dipendono dal riconoscimento sociale, se si vuole dalla “grammatica”  sociologica ( hic et nunc)  di quel male e quel bene. Purtroppo, Manconi   riflette un’idea oggi  non sincronica ( o sintonica) di bene (o di male), o comunque, probabilmente,  trans-storica. Nulla di male per carità.   Però, ecco il punto,   piuttosto che approfondire la grammatica, sulla base di una meta-grammatica personale, partecipante,   Manconi dovrebbe interrogarsi sulla  semantica storica, partendo dalla attuale grammatica storica:  sul  come si è arrivati a tal  punto.  Insomma, interrogarsi  sul perché della trasformazione storica dei "significati". O se si preferisce, sul perché  della  genesi del pensiero totalitario  dal linguaggio ordinario,  ritenuto "dai più" corretto, proprio perché ordinario, diffuso, condiviso, rilanciato.  Questione tra l'altro in seguito ripresa sul piano della logica sociale da Boudon.  E al centro,  quale  critica di  Popper a Wittgenstein, della leggendaria lite dell'attizzatoio tra i due...  Il pensiero, è contenuto, non forma linguistica.
Che cosa  scoprirebbe? In primo luogo, che  è inutile prendersela con  i meccanismi della comunicazione online, meccanismi, che più semplicemente riproducono, su scala più ampia,  quel fenomeno della tirannia della maggioranza, insito, piaccia o meno,  nella società democratica,  intuito a suo tempo dal grande Tocqueville e affinato concettualmente  dalla novecentesca sociologia della crisi.      
In secondo luogo,  ci troviamo davanti,  non alla “reazione”,  ma a individui - attenzione - che collettivamente, secondo la logica della società di massa,  conducono  fino alle  estreme conseguenze politiche  i princìpi democratici.   Pretendono la libbra di carne che è stata loro promessa: uno vale uno, si dice.  Ma, ripetiamo, lo si dice,  collettivamente.  E qui  cominciano i  problemi, legati alla sociologica eterogenesi dei fini (vuoi il bene individuale, ottieni il male collettivo, eccetera, eccetera).
In terzo luogo, a nulla serve titillare il bestione (sociale),  parlando di ingiusti privilegi, diseguaglianze, eccetera.  Perché, in questo modo, si continua  a celebrare quel piagnonismo collettivo della rivalsa  -  un misto di invidia, di giustizialismo, di  assistenzialismo accattone, di  individualismo protetto  -  che  ha prodotto  un terribile  clima di violenza verbale, lo stesso  che Manconi critica. Ma su basi grammaticali. E personali.  
Del resto chi ha prodotto la cultura di massa dell’auto-commiserazione violenta?  Probabilmente  non Manconi,  persona mite, ragionevole, colta,  ma certamente quell’area politica, da sinistra a destra, che ha coltivato in modo dissennato, almeno a far tempo dal 1992, la mala pianta di un’ Italia sempre più schizofrenica, che dichiara ai quattro venti di  lottare contro i privilegi.  Degli altri.

Carlo Gambescia                         

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