giovedì 25 maggio 2017

Ancora sull’attentato di Manchester
Tornare a Kissinger




A proposito dell’attentato di Manchester invito a leggere  gli articoli di Vittorio  Feltri e  Massimo Fini, usciti oggi  rispettivamente su “Libero” e sul “Fatto  Quotidiano”. Per quale ragione? Perché riflettono due posizioni estreme pro o contro l’Occidente  che andrebbero assolutamente evitate: 1) il chiudersi in casa e buttare la chiave (Feltri); 2) il J’Accuse contro la presunta ’ipocrisia degli occidentali (Fini).  Senza però dimenticare una terza posizione, comune agli editorialisti dei  giornaloni né di destra né di sinistra, un tempo si diceva di  regime (“Corriere della Sera”, “Stampa”, “Repubblica”), che invece 3)  chiedono, in modo contraddittorio, più controlli di polizia e  porte aperte a tutti.
Naturalmente, e veniamo al punto, né Feltri, né Fini, né gli “editorialisti riuniti” hanno una qualche idea su come vincere una guerra, perché di questo si tratta.  Per Feltri,  dovremmo  cacciare a calci gli immigrati, per Fini, chiedere loro scusa, e  magari convertirsi, per gli “editorialisti riuniti”, accogliere tutti per dare una lezione di umanità  a Trump.   
Insomma,   divisi su tutto ma uniti nell’incapacità di capire che siamo in guerra.  E di religione. Il che può rendere le cose più difficili, perché,  noi  europei e occidentali, siamo abituati a  considerare la religione un optional, una questione secondaria. E quindi ci sfugge il nodo del problema.  
Facciamo un esempio:   Obama e Trump, pur tra le divisioni politiche,  hanno una visione comune sul ruolo della religione nella vita politica: in una parola laica.  Insomma,  tra i due presidenti americani da un lato,  e  i capi di stato saudita e  iraniano dall’altro  esiste una profonda divisione prodotta da una diversa concezione mondo.  In Arabia e  in Iran, un gay viene messo in prigione e giustiziato, da noi è un cittadino come un altro. E così per le donne, eccetera, eccetera.  La legge coranica prevale sui valori laici. E l’Occidente che separa rigidamente il sacro dal profano, il pubblico dal privato, eccetera, eccetera, viene considerato come una specie di reprobo, da convertire, con le buone o le cattive.  E mano a mano che si scende socialmente, le divisioni tra Occidente e Islam,  si fanno al tempo stesso, più semplici e forti nei contenuti.  Perché se il teologo condanna, il popolo approva, il terrorista uccide.
Pertanto negare che sia in atto una guerra e per giunta religiosa è un errore fondamentale. Che nasce dalla nostra incomprensione della radicale differenza, non semplicemente di natura  politica, bensì, più netta,  "di visione",   laica in Occidente, religiosa nell’Islam.    
Ovviamente, la politica ha le sue regolarità, si nutre anche di alleati,  e l’Occidente ha i suoi: la logica politica, spesso accomodante,  può senz'altro  ignorare, la logica delle idee collettive, Ma non per sempre. Altrimenti si rischia di  commettere  un grave errore, non  tattico ma strategico.  
Cerchiamo di capire meglio.  In qualche misura,  Stati Uniti ed Europa, rifiutano, come dire, la saggia dottrina di  Henry Kissinger.  Cosa sostiene l’ex Segretario di Stato, profondissimo studioso di politica.  Egli ritiene  che la costruzione di un ordine internazionale, fondata sull’equilibrio,  deve tenere conto del comportamento di  quelle nazioni che a parole  accettano l'ordine, ma nei fatti, e ancor più ideologicamente, lo combattono o si preparano a distruggerlo.  Pertanto, per usare una metafora, se gli interessi politici, e giustamente,  talvolta spingono a trattare anche  con il diavolo, non si deve mai dimenticare che del diavolo si tratta. E quindi va tenuto il dito sul grilletto.
Kissinger sostiene - semplificando la sua tesi -  che il diavolo, con il quale si può occasionalmente trattare, è consapevole di essere tale,  mentre Stati Uniti e Occidente, ritenevano, ad esempio all'epoca della "Guerra  Fredda" - non tutti i leader  naturalmente, Nixon per primo -    che il diavolo si sarebbe prima o poi convertito ai  nostri valori, grazie agli effetti della pace, della cultura e dei commerci. Il che è stato possibile. Però, come si chiedeva Kissinger,  in che modo?  Porgendo l'altra guancia e aspettando? No. Politica del contenimento, due blocchi,  quindi conflitti locali a rischio atomico,   nonché tempi lunghi per trattare e capirsi sul piano degli interessi, con due nodosi bastoni, neppure tanto nascosti, dietro la schiena. Senza trascurare, infine, un fatto fondamentale, dirimente: l’accettazione preventiva da parte del nemico sovietico  dei valori moderni, insomma, di larga parte dell'eredità illuministica (1).
Inutile, qui aggiungere, che per contro  nel mondo islamico, con qualche eccezione,  il diavolo  è rappresentato   dall’Occidente e dalla modernità illuministica nella sua interezza.  Sicché l’Islam  ci ha sempre combattuto. E se  è scesa a patti,  ciò è avvenuto  per ragioni contingenti legate a crisi politiche interne  o a seguito di una sconfitta.  Pertanto -   ecco il punto kissingeriano da non dimenticare mai -  l’idea di ordine internazionale dell’Islam è profondamente diversa dalla nostra, perché di tipo religioso, a sfondo universalistico, fondata sulla conversione degli infedeli all’Islam.  Quindi, sovvertitrice di ogni ordine politico laico, imperniato sulla separazione, particolaristica, per stati,   tra potere politico  e potere religioso, incarnata dai  valori  vestfaliani. 
Ciò non significa che l’Occidente debba proclamare nuove crociate  e alimentare  il fanatismo a sfondo pseudo-religioso o razzista, ci mancherebbe altro. L'Occidente, proprio perché dotato di storica freddezza e razionalità,  non deve non mai dimenticare la natura religiosa e universalistica, a sfondo coercitivo, del nemico. E di conseguenza, oltre a trattare,  se necessario, schierare,  visto che detiene la supremazia militare,  una forza superiore per schiacciarlo  ( o in chiave di escalation, minacciarlo seriamente di).  
Piangersi addosso, sperando che il nemico si commuova, è pura stupidità politica, che  può condurci alla rovina. Pertanto dobbiamo tornare a Kissinger.

Carlo Gambescia       
               

(1). Si veda in particolare H. Kissinger, Ordine Mondiale, Mondadori 2015, in particolare capitoli 3, 4, 7.