mercoledì 17 maggio 2017

Corruzione, malaffare e  mafia  tra   percezione e realtà
Se perfino l'ottimo Maltese…


Ieri sera è andata in onda  l’ultima puntata di “Maltese”, un'ottima fiction, grande ritmo,  bravi gli attori,  eccetera, eccetera. Però, vi si respirava  un’aria da ultimi giorni di Pompei. Peccato.
Detto altrimenti, il solito mantra:  il potere mafioso governa l’Italia e tutti i politici sono corrotti.  Si tratta di un ritornello, post Tangentopoli, che da anni  viene rilanciato  quotidianamente dai mass media. La pressione politico-mediatica  è così forte  che si è giunti al punto che le pensioni, difese fino alla morte dai sindacati, quando si tratta di parlamentari e politici in genere, sono degradate a privilegi tout court... Infatti si parla di vitalizi: una specie di  concessione dall’alto, anzi dal basso (il popolo sovrano)  che però  non spetterebbe ai politici, ormai  giudicati, a torto o ragione, tutti ladri e nelle mani della mafia. Termine, quest'ultimo,  oggi  usato a sproposito. Ma così è.
Per ora, siamo allo stadio  dell' insofferenza crescente.  Insofferenza  che però rischia di sfociare in una vera e propria rabbia, che  rischia di  esprimersi, come è sotto l'occhio di tutti,  nel voto  ai partiti populisti,  neofascisti  e neocomunisti, per ora fortunatamente ancora minoritari. Fino a quando però?
Insofferenza e rabbia.  Sono due  termini,  che rinviando al tasso di sensibilità  verso fenomeni come corruzione, malaffare, mafia,  sembrano  essere  quelli giusti per capire natura e origine della nostra deriva. Spieghiamo perché.  
Studi e ricerche   provano  che la corruzione, sempre esistita come risorsa politica,  era  più diffusa prima del 1789.  Quindi non oggi. Il punto è importante,  perché quel che invece è mutato con l’avvento dei regimi liberal-democratici  è solo la percezione sociale del fenomeno.  Come scrive  lo storico Sergio Turone,  in altre età gli uomini erano abituati a tutto,  perché segnati da una vita colma di incertezze e miserie da subire con religiosa  rassegnazione.  Sicché, se nei secoli passati, “l’umanità poteva sopportare senza rivolgimenti sociali un tasso di corruzione, poniamo del 40 per cento, oggi la convivenza civile può reggere in proposito un tasso del 3 per cento: se il livello di malcostume pubblico va oltre questo limite, la società rischia il disfacimento” (1).
Diciamo che Turone  si ferma al dato oggettivo del 3 per cento, non cogliendo il dato soggettivo della percezione che agisce da moltiplicatore.  Di qui però,  la caccia mediatica alle streghe  e l’uso politico improprio non della corruzione,  ma  - attenzione -  della percezione collettiva della corruzione.    
Ovviamente, non si tratta di negare -  come Don Ferrante a proposito della peste -  l’esistenza di corruzione, malaffare, mafia,  e neppure di rimpiangere il "senno"  dei rassegnati  uomini del passato, bensì di comprendere che  esiste una corruzione percettiva.  O per dire meglio,  un fattore percettivo che, agendo come il moltiplicatore keynesiano degli investimenti, in questo caso “investimenti” mediatici e politici sulle credenze collettive, dilata e  deforma sistematicamente i contorni storici e le proporzioni sociologiche  della corruzione, del malaffare e della mafia.   Una vera manna per quelle  forze anti-sistemiche, che per ignoranza, stupidità, invidia sociale, romanticismo politico, culto della lotta di classe, mito dell’uguaglianza sostanziale,  vagheggiano di regolare i conti con la civiltà  post 1789. 
Il processo è in atto, e non riguarda solo l’Italia, ma l’ intero esperimento liberal-democratico. Che in realtà è il meno corrotto della intera storia umana. Tuttavia,  nessuno lo dice, neppure l’ottimo Maltese.

Carlo Gambescia                      


(1)  Sergio Turone, Politica ladra. Storia della corruzione in Italia. 1861-1992, Laterza, Bari 1992, pp. 5-6, nota 1.