martedì 29 novembre 2016

Gli ultimi dati Istat sul calo demografico italiano
Calice mezzo pieno o mezzo vuoto? 


Finalmente una buona notizia. O quasi.  Insomma, "depende".  L’Istat  riferisce  che
 «Per il secondo anno consecutivo scende il numero di nati da coppie residenti in Italia con almeno un genitore straniero: sono quasi 101 mila nel 2015, pari al 20,7% del totale dei nati a livello medio nazionale (circa il 29% nel Nord e l'8% nel Mezzogiorno). Lo riferisce l'Istat, aggiungendo che continua anche il calo dei nati da genitori entrambi stranieri: nel 2015 scendono a 72.096 (quasi 3 mila in meno rispetto al 2014). In leggera flessione anche la loro quota sul totale delle nascite (pari al 14,8%).»

 Altra informazione interessante,  sempre da fonte Istat, concerne  i nomi  dei bambini nati da famiglie straniere, residenti in Italia,

« Al top dei nomi scelti c'è per i bambini Adam, Youssef, Rayan, ma anche Matteo, Alessandro e Davide. Per le bambine il primato spetta a Sara. "La tendenza a scegliere per i propri figli un nome diffuso nel Paese ospitante piuttosto che uno tradizionale - spiega l'Istat - è spiccata per la comunità cinese" mentre "un comportamento opposto si registra per i genitori del Marocco, che raramente scelgono per i loro figli nomi non legati alle tradizioni del loro paese d'origine.»


Che dire? Fermo restando il dato sul trend negativo circa le nascite da coppie italiane, (perché anche questo riferisce l’Istat),  se si associa il calo di natalità al cambiamento dello stile di vita (e qui resta interessante anche  la scelta di nomi italiani), significa che la secolarizzazione dei costumi, come dire, funziona.   Certo, sull’altro piatto della bilancia, rimane la crescente denatalizzazione  che non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa.  Però quel che non viene mai ricordato,  è che il trend negativo nel breve periodo ha rappresentato  un elemento di coesione sociale e di loyalty (lealtà) sistemica, per dirla con Hirschman.  Ci spieghiamo meglio.
Il combinato disposto, in particolare degli ultimi anni,  tra  crescita della natalità e decrescita del Pil avrebbe provocato due fenomeni che l’Italia in passato ha ben conosciuto: 1) di  exit (defezione), nel senso dell' emigrazione di massa (non parliamo della cosiddetta  fuga dei cervelli, che è altra cosa: qui parliamo di milioni di persone); 2) di voice (protesta), ossia di disordini sociali e conseguenti rischi di radicalizzazione politica, favoriti anche 3) da crescenti livelli di disoccupazione intellettuale. 
Soprattutto quest’ultimo aspetto,  tipico delle società mobili, rimane un pericoloso  fattore di destabilizzazione istituzionale. Dal momento che  il mix tra alti tassi di natalità, ridotte possibilità di lavoro in patria, e conseguente impossibilità di ascesa professionale all’interno di una società,  dove a differenza  del mondo pre-moderno,  i rapporti  sociali sono fluidi, può risultare esplosivo sotto l’aspetto politico.  Le rivoluzioni  - come nella Francia  pre-1789  e nella Russia pre-1917, per fare due esempi facili -   avvengono nelle società in sviluppo (in tutti i sensi), dove ricchezza e promozione sociale sembrano essere a portata di mano. Per contro, dove esistono  rapporti sociali ed economici gerarchici e autarchici, come nelle società immobili, realmente "castali" (altro che le chiacchiere del "Fatto Quotidiano"), possono avvenire  rivolte, anche di palazzo, ma non rivoluzioni nel senso delle società mobili. E comunque sia - si pensi ad esempio al ruolo, economicamente,  “progressista”  del ceto dei Cavalieri nell’antica Roma  - dietro la “rivoluzione” c’è una società che preme, che si  sta “mobilizzando”,  una società  in trasformazione, insomma.
Certo, nel lungo periodo il calo demografico ( e non solo) può costituire un fattore di “decadenza oggettiva”, per dirla con Chaunu: rischia di sparire la materia sociale “prima”, la popolazione.  E questo  potrebbe costituire  un problema. Innegabile. Per ora tuttavia,  il basso tasso di natalità,  per pensarla nei termini del calice mezzo pieno,   evita: 1) sommovimenti e  rotture interne,  politicamente traumatiche, nonché,  se  condiviso,  come pare,  dai  residenti  stranieri, in quanto  modello demografico (connesso allo stile di vita), 2) fa ben sperare sull’integrazione socioculturale di questi ultimi.  
In fondo, l’Unione Sovietica, l’Islam del XX secolo, per usare la famosa espressione di Jules Monnerot,  non   è stata sconfitta schierando i nostri  frigoriferi?
Certo, ripetiamo, rimane il problema della “decadenza oggettiva”, o comunque  di una possibile società degli anziani,  dai costi sociali elevati (soprattutto con il welfare universalistico). Però come diceva un nostro caro amico, una pena al giorno  può bastare.     


Carlo Gambescia 

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