venerdì 3 febbraio 2012

Il libro della settimana:  Pier Paolo Poggio (sotto la direzione di) L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico.  Vol. I,  L’età del comunismo sovietico. Europa: 1900-1945, Jaca Book 2010, pp. XXI-670, euro 40,00, ; vol. II, Il sistema e i movimenti. Europa: 1945-1989 ( Jaca Book 2011, pp. XIX-810, euro 48,00).  

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La fine del comunismo sovietico non poteva non imporre correzioni di rotta.  Parliamo in particolare  di un mutamento culturale che ha spinto  gli studiosi,  in qualche modo legati  alla tradizione comunista,  a rivalutarne per reazione gli aspetti eretici e critici,  interrogandosi “dopo la caduta” sul valore da attribuire all’idea di rivoluzione. Si tratta di un comunismo “altro”, sempre   esistito, ma  sottaciuto, emarginato  o schiacciato  sotto il peso di quel  realismo,  cui non può  sfuggire qualsiasi  istituzione umana, anche di origine rivoluzionaria, perché  soggetta, come ogni altra forma organizzativa,  alla forza di gravità del politico.     
Sotto questo aspetto, un ottimo esempio di rilettura, comunque interessante, del comunismo non omologato del XX secolo  è   L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico.  Frutto di un progetto  promosso  dalla Fondazione Micheletti e da Jaca Book  sotto la  direzione di Pier Paolo Poggio.  Per ora sono usciti i primi due grossi tomi:  L’età del comunismo sovietico. Europa: 1900-1945 (Jaca Book 2010, pp. XXI-670, euro 40,00); Il sistema e i movimenti. Europa: 1945-1989 (2011, pp. XIX-810, euro 48,00). Il piano dell’opera prevede altri tre volumi  dedicati, nell’ordine,  a Capitalismo e rivoluzione nelle Americhe (1900-1989);  Anticolonialismo e comunismo in Africa e Asia (1900-1989); Comunismo e pensiero critico nel XXI secolo.
Dal punto di vista interpretativo  il  disegno dell’ opera si sviluppa intorno alla dialettica comunismo-regime/comunismo-movimento. O se si  preferisce, semplificando, sul  confronto-scontro  comunismo-ideale-comunismo reale. Un conflitto che tuttavia rinvia a un’opposizione teorica  ben più profonda, almeno a nostro avviso. Quale?  Quella   rappresentata dall’enorme distanza che corre tra la  politica come irriducibile conflitto amico-nemico e la politica come  pacifico allargamento progressivo della democrazia diretta.  Sintetizzando, la terza via che si persegue ne L’Altronovecento  è quella di una rivoluzione senza rivoluzionari di professione e conseguenti degenerazioni…  Il che dal punto di vista ideale è sicuramente  nobile.   Ma da quello reale? Non per nulla abbiamo accennato all’inesorabile forza di gravità del politico, cui nessuna istituzione può sottrarsi, almeno  in questo mondo.
Ad esempio,  il taglio scelto  ha comportato nel primo volume (L’età del comunismo sovietico. Europa: 1900-1945), una doverosa  attenzione verso tutte le forme  di comunismo eretico, eterodosso, antistalinista e, addirittura,  al confine tra sinistra e destra. Ricordiamo  nel Terzo capitolo (“Marxisti eterodossi”) uno scritto, molto denso, dedicato a Roberto Michels (Federico Trocini). Mentre  del Quinto e ultimo capitolo (“Un’altra idea di rivoluzione”), vanno almeno segnalati i saggi dedicati a Sorel (Francesco Germinario), Simone Weil (Gian Andrea Franchi), Karl Polanyi (Paolo Sensini).   
Tutte pagine molto interessanti e documentate,  ma  che restano prigioniere di un’impoliticità di fondo, dal momento che la ricerca risulta imperniata sulla necessaria prevalenza dell’ideale sul  reale. Siamo perciò  dinanzi a  un  approccio  che,  pur ricostruendo un’importante linea di pensiero,   ritiene a priori  di sapere ciò che sia bene per l’altro, senza mettere in  conto un  possibile rifiuto.  Omettendo,  quindi, la discussione intorno alla strutturazione politica del dissenso esterno all’ipotesi del comunismo eretico- critico, al di fuori, ovviamente, di qualsiasi soluzione  liberaldemocratica,  respinta a priori.       
Purtroppo,  i contorni della  deriva impolitica si precisano ulteriormente nel secondo volume (Il sistema e i movimenti. Europa: 1945-1989), anch’esso articolato in cinque densi capitoli.  Scrive Poggio: « Una delle idee di fondo dell’opera  in cui è inserito  il [II, ndr] volume qui presentato è che lo schema bellico amico-nemico, la guerra  come motore ultimo della storia, rappresentano precisamente  il lascito culturale delle modernità, sia statuale sia rivoluzionaria – un lascito da contrastare e superare facendo valere gli esiti universalistici ideali e pratici  del bistrattato Novecento o, se si vuole, dell’Altronovecento che ci prefiggiamo di far emergere ».
Ma entriamo nel merito. Nel Primo capitolo (“Lotte politiche e sociali”), si discute soprattutto di Sessantotto, come rivoluzione  incapace  di darsi un ordine politico concreto ( si vedano i saggi di Zancarini-Fournel, Clemente, Klimke).  Nel Secondo (“Ideologie e correnti rivoluzionarie”) e nel Terzo (“Marxismo e rivoluzione”)  si parla  invece  di una rivoluzione prigioniera degli automatismi sociali ( si veda il saggio di  Bologna sull’operaismo italiano).   Infine,  negli ultimi due capitoli (“Teorie critiche” e “Alternative”) sono  affrontate le questioni normative della rivoluzione  come auspicabile  capacità  di fondere insieme  critica della società capitalistica  e critica della politica, senza però ricorrere ai  mezzi estremi « delle modernità, sia statuale sia rivoluzionaria». La quadratura del cerchio…
E qui, a dire il vero, il saggio più interessante è quello  dedicato a  Jacques Ellul (Patrick Troude-Chastenet), perché in controtendenza con le tesi di fondo dell’opera,  vi  si enuncia che  l’anarchismo  per Ellul  è  « la “forma più completa e seria di socialismo” », ma «essendo l’uomo quel che è, la società anarchica ideale non è  di questo mondo» .
Ovviamente,  abbiamo scelto solo uno dei possibili percorsi all’interno di due volumi comunque ricchi di stimoli,  fino  al  punto  di prestarsi a letture diametralmente  opposte alla nostra ma altrettanto lecite.
Di certo, uno sforzo del genere,  che al momento riunisce  più di ottanta densi  contributi, non può essere ignorato. Anzi va  elogiato e seguito con la massima attenzione. Per contro,  l’esistenza di una rivoluzione capace di ignorare la forza di gravità del politico,  resta questione  tutta  da discutere.    

Carlo Gambescia


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