venerdì 24 febbraio 2012


Canto di una barbona errante nella pianura padana /parte seconda

di Roberto Buffagni






Spensierata la miriade padana
Sghignazza “Il papa sugaman!
Uè popolo, c’è il papa sugamano!”
Ma intanto che noi padani ignari
Ridevamo e ci davamo delle pacche
Sulle padane spalle e ci scappava
Anche una quai tastata al culo
Delle sbarbe padane più gustose

Vien zò da la scaletta piano piano
L’arabo capo, il papa sugamano.
Appena se ne accorge ammutolisce
All’improvviso la padana folla.
Il momento è solenne. Nel silenzio
Squilla audace la voce di un padano:
“Tutt què? Am pèr al nonno Walter!”

Parve un segnale concertato tra i padani.
Sciogliemmo l’adunata, ciacolando
Distesi e rilassati come quando
La domenica al bar le spari grosse
Cogli amici bevendoti un Campari.
“Tempo un mese, ragazzi, i sugamani
Li rimandiamo a fare i cammellieri…”
“Gli mancano i quaglioni, ai sugamani…”
“Ciànno il re, sono rimasti indietro…”
“Uno lavora e venti guarda, i sugamani…”

Ma mentre che la folla si sperdeva
Mi giro a cercare l’Isolina
E non ti casco coi oci dentro i oci
Del papa sugamano? La madonna!
La madòna, che oci! Che pagura!
Due trapani a punta di diamante!
Sì, nonno Walter questi zebedei!
Tra meco me mi dissi: “Ahiai, padani!
Qua ci vuole la mutanda di bandone!”

Purtroppo, devo dire che la mia
Fu una triste ma esatta profezia.
Fino dal giorno dopo i sugamani
Ci hanno aperto il loro libro nero.
Primo comandamento del librone:
I arabi comanda, punto a capo.
Te padano obbedisci e non fiatare.
Interessa il secondo? E’ tale e quale.

Nei cuori ardimentosi dei padani
Sfavillarono le prime monachine
Di giusta ribellione, e scatenammo
I nostri vaffanculo in folta schiera.
“Vaffanculo, vaffanculo, sugamano!”
Divenne il grido di battaglia del padano.

Senza fare un plissè, ‘sti sugamani
Consultarono un interprete venduto
Un padano di Tradate, un imbianchino
Che poi era un infiltrato marocchino.
Te ciapa due padani per la giubba
E zàn, giù in ginocchio!
Zàn, stricca el naso!
Zàn, ciapa la lingua!
Zàn, sbiotta lo spadone!

E zàn, e zàn! Sul campo dell’onore
Della nuova provinciale per Varese
Caddero eroiche le due lingue padane.

Ciapa su e porta a casa, padani.
C’era poco da fare. I sugamani
Ciavevano i conquibus tutti loro
Che se volevi un ghello te ciavevi
Da lavorare per il sugamano.
La polissia, direte voi?
L’esercito padano, che faceva?
Eh, lì nell’entusiasmo del momento
Li avevamo quotati pure loro
Ne la famosa Borsa di Milano.
Insomma, se li erano cuccati
Con la scalata i soliti araboni.

Cosa vuoi far, padano? Taci e curva
La tua possente schiena sotto il giogo
Dell’arabo invasor, del sugamano!
Che intanto tutto il giorno non fa un casso
Tale e quale un ladrone di romano!
Ma mi avvedo che ancor non v’ho narrato
L’episodio più straziante della storia
Della tragica caduta del padano.

Ora di cena. Il padano rincasa
Dall’onesto lavoro in officina
Si lava il muso, e intanto che spetta
La sua scodella di cotiche col lardo
Ti impìa Telepadania, il notissiario.

Fa il tipo: “Ehm. [PAUSA] Padani! [PAUSA]
Leggo un comunicato
Del maggiore azionista di Padania
Sua Altezza Mustafà…
Bè, insomma, il sugamano.
Sua Altezza comanda: da domani
È fatta proibizione a voi padani
Di allevare e mangiare suini. Stop.
Se vi becco a mangiare del prosciutto
O un arrostino di maiale, o il lardo
O mortadella o ciccioli o braciole
O anche lonza, costine o scamone
Sapete come va: c’è lo spadone.
Fine comunicato. Buonasera
E buon appetito, miei sudditi padani.”

Ventisette milioni, ventisette!
Ventisette milioni di maiali
Sino a quel dì vivevano in Padania! Amati e rispettati, cari amici
Del popolo padano che da sempre
Ne apprezzava le carni delicate
E il carattere modesto e riflessivo.
“Addio, maiali miei! Addio, ragazzi!”
Singhiozzavano gli allevatori
Della suinicola Padania, mentre
I lunghi treni zeppi di maiali
Se ne andavano giù al Sud, dai marocchini
Che adesso là comandano i tedeschi.

Ci si provava a consolarli, noi:
“Vanno a star meglio, là,” gli dicevamo
“Dai tedeschi il maiale sta da papa!”
“Magari lui sta meglio, però io
Lo sai cosa ciò preso, dei maiali?
Quei porci dei tedeschi m’han pagato
Un marco a tonnellata, quegli infami!”
E tristemente sferragliavano i vagoni
Portandosi con sé tanti ricordi…
La spussa di maiale…il cotechino…
Lo spezzatino in umido…il panino
Di salame Milano, che il padano
Ammanniva per merenda al suo bambino!

Basta, l’è troppo, troppo: basta, adesso.
Per farla lunga e corta, sont scapada
Via de la Padarabia, e sono a Roma.
Pensa mo’: Roma, la sola città franca
Che ci resta in Italia. Come mai?
Perché Roma c’è il papa, il papa vero
Quel senza sugaman: il papa papa.

E’ furbo il papa, ma furbo furbo furbo:
sono duemila anni che i pretoni
hanno imparato a non pagare dazio.
I araboni di qua, di là i tedeschi:
ma lui cosa gli frega, al papa papa?
Lui tira fuori un suo foglietto e scrive:
“Cari figlioli, non è di questo mondo
Il mio appartamentino! Due camere e servizi
Un po’ di giardinetto vaticano!
Roma son quattro pietre, tutte rotte
Che ci rimetto un occhio per le spese!
Voi mi lasciate Roma, e poi venite
Quando volete a fare un giro, prego!
Prego, stimati Effendi e Meinen Herren!
Buone cose
Dal vostro sempre affezionato Papa. “



(Parte seconda - Fine)

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage....

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