lunedì 27 settembre 2010


Questioni  di lessico politico
Riforme vere e finte


Nel lessico politico non solo italiano, diciamo dal 1945 ad oggi, il termine riforma ha subito un notevole cambiamento. Quale? Se fino agli anni Settanta esso descriveva il riformismo come insieme di modifiche sociali al sistema capitalistico per “addolcirlo”, dagli anni Novanta in poi ha assunto un significato economico, anzi economicista: quello di un complesso di riforme economiche in grado di migliorare solamente, senza riguardo alla “questione sociale”, la competitività del sistema capitalistico.
Perciò quando oggi, come in Italia, Confindustria invoca le “riforme”, ci si riferisce alla competitività e non alla socialità. Per contro, chiunque sia rimasto legato al significato sociale del vecchio termine viene liquidato dai media, ovviamente vicini al potere economico, come un conservatore, se non un reazionario.
Alla base della "trasmutazione" - per usare un parolone - c’è sicuramente il cambiamento dei rapporti di forza mondiali: l’Urss non esiste più, e con essa il pericolo rivoluzionario. Di conseguenza, soprattutto all’interno degli ambienti economici che contano, oggi non si ritiene più necessario “andare verso il popolo”, puntando sulle riforme sociali e quindi sul capitalismo sociale di mercato.
Ma pesa anche un altro fattore. Quello dell’ascesa, soprattutto dagli anni Ottanta, della cultura dell’individualismo economico di massa. Una cultura del produci e divertiti di derivazione statunitense che ha contribuito a trasformare il concetto stesso di solidarietà e di Stato sociale. In che modo? Imponendo l’idea che nessun pasto sia gratis - l’espressione risale a Milton Friedman. E che la solidarietà debba esclusivamente esprimersi attraverso canali privati, sotto forma di carità e beneficienza.
Come tornare alla cultura delle riforme vere, quelle sociali? Difficile dire. Che forsa serva un nemico "ideologico" esterno capace, issando la bandiera di un sistema politico, economico e sociale alternativo, di spaventare il capitalismo e costringerlo a fare riforme vere ?
Ovviamente, almeno per ora, non possono essere considerati "nemici ideologici" né la Cina capitalista e autoritaria, né l’Islam, capitalista solo a metà (o per un quarto) ma altrettanto ferocemente autoritario. Entrambi incapaci di esercitare qualsiasi fascino sulle masse occidentali. Anzi, per contrasto, Cina e Islam, possono solo spingere gli occidentali, anche quelli “piccoli piccoli” (nel senso di Cerami), a farsi ancora più gelosamente individualisti. Manca, insomma quel forte “appeal” sociale esercitato a suo tempo dall’Urss, soprattutto sugli intellettuali europei e americani, poi trasformatosi, per reazione - secondo alcuni al "pericolo di contagio" - in buona cultura delle riforme sociali.
Come spiegare la transizione rivoluzione-riforme? Processo che oggi sembra lontano anni luce? Nobiltà ideale del comunismo? O delle riforme? Forza della paura? O dell'individualismo democratico e sociale di origine illuminista ? Oppure solo furba intelligenza occidentale degli eventi? Decida il lettore.



Carlo Gambescia

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