giovedì 9 settembre 2010


La rivista della settimana: “Tropinka” vol. 1, no.1, 06/2010, pp. 112, euro 15. 

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Eppur si muove. Che cosa? L'intelligenza. Perché in una Francia che, stando al conformismo mediatico, sembra esistere solo per essere pro o contro Sarkozy, nascono ancora riviste non conformiste e di qualità. E che soprattutto volano alto, oltre il chiacchiericcio politico. Come appunto prova il primo numero di “Tropinka. Revue d’escriture internelle contre-révolution” culturelle” (vol. 1, no.1, 06/2010, pp. 112, euro 15). La rivista è diretta da Thierry Jolif, scrittore, musicista, studioso delle culture e filosofie tradizionali, dalla celtica e bretone alla russa, passando per la patristica (per approfondire si veda il suo sito: http://thierryjolif.hautetfort.com/ ).
Tropinka in russo significa “ la via stretta”. Secondo i padri del deserto, leggiamo nella presentazione, percorrere “la via stretta significa (…) lasciare tutto quel che si possiede” a cominciare “dalle “proprie idee, buone o cattive che siano”. Insomma, bisogna fuoriuscire “dal dominio mortifero della ‘lettera’ “ . O detto altrimenti: della parola scritta, quasi sempre frutto di un linguaggio codificato e oggi mercificato. Di conseguenza “lo scrivere" va inteso come "riscrittura interiore, segreta” di noi stessi, non in chiave narcistica ma di apertura all'assoluto, di cui l'uomo è icona. In questo senso, come si intuisce, la via stretta è quella di una poïètique generosa, capace di recuperare il sacro quale scelta “non antimoderna”, ma sicuramente “non moderna”
Al riguardo si legga il giudizio assai critico di Thierry Jolif sul piccolo profeta del nulla, Michel Onfray, proprio nell’articolo che apre il fascicolo (Cecitelos et Eschatologie, pp. 13-24): giudizio che ricalca quello di Nikolaj Berdjaev verso certo compiaciuto umanismo, travestito da cristianesimo rovesciato.
Segue il notevole scritto di David Gattegno (Politique Littéraire, pp. 25-41), dove s’ingaggia un corpo a corpo con la tradizione letteraria francese, scorporando l’ eterno, la parola viva (ciò che attiene al mitico e al collettivo) dal caduco, la parola scritta ( ciò che è frutto di ristretti circoli intellettuali).
Fanno seguito due saggi altrettanto interessanti: Olivier Cappaert (Lo Zek et le Ring, pp. 43-56), intorno alla letteratura del dolore, germinata nell’inferno dei Gulag sovietici, come in particolare nell’ opera di Aleksandr Solženicyn; Tierry Jolif (Pour finir avec la bibliophilie, pp. 57-63), dove si discute del “feticismo” del libro, partendo da un testo in argomento di Roger Caillois.
Notevole anche lo scritto di Vincent Chapin (Affronter le Dragon dans l’Âge de Fer. Hymne à St Michel, pp. 67-71). Seguono, infine, la pubblicazione di un breve componimento di William Blake, poetico mitografo dell'essere collettivo: Le barde Bajan (p. 73), nonché due rubriche: una di recensioni (pp. 77-84); una di ritratti (87-106): La Stratégie Volkoff, di Thierry Jolif; De La nobilissime viridité: paradoxe de la mystagogie des lettres, di Tugdual de Kervrann, dove si accostano le figure di Tolkien e Blake.
Una volta letto e chiuso il fascicolo, si ha l’impressione di aver fatto una cavalcata in compagnia dei nostri antichissimi “Padri”, attraverso il mito, la storia, il simbolo, quasi sospinti dalla forza vivente di un sacro, che precede, innerva e accompagna il cristianesimo. In cerca, tra boschi sacri, templi, eremi e cattedrali, di quell’anima profonda dei popoli, che è giusto riscoprire e apprezzare, "oltre la lettera", senza però pretendere di trasformarla in nuovo feticcio. Del resto la "via stretta" che conduce alla salvezza, proprio perché stretta, racchiude anche il pericolo... La parola per restare vivente deve essere nel mondo senza essere del mondo… Deve mutare, pur rimanendo se stessa. Per dirla con Ezra Pound: “ Le parole sono come foglie, come vecchie foglie brune in primavera/che dove vadano non sanno, in cerca di una canzone./ Parole Bianche come fiocchi di neve, ma sono gelide,/parole di muschio, parole sulle labbra, parole di lenti ruscelli.

Carlo Gambescia

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