martedì 13 luglio 2010

Rapporto Eures-Ansa  2009 

Famiglia e omicidi




La famiglia vacilla? Purtroppo non è una novità. Ieri a Napoli un marito ha accoltellato la moglie, ferendola gravemente. Perché lei voleva lasciarlo. Meno di un mese fa un ventenne di Verona aveva ucciso e fatto a pezzi il padre. Molti ricorderanno anche il caso della madre di Passo Corese (Rieti) accusata di aver gettato la figlioletta di sei mesi dalla finestra.
E questi terribili fatti di cronaca non sono che la punta dell’iceberg. E in ogni caso indicano una situazione di grave sofferenza sociale, soprattutto familiare.
E qui forse è utile ricordare qualche dato, tratto da un recente rapporto Eures-Ansa (2009) sull’omicidio volontario in Italia. La famiglia, purtroppo, si conferma come una specie di vulcano in continua eruzione. Dal momento che anche nel 2008 ha costituito il principale gruppo sociale in cui avvengono omicidi (171 casi, il 28% del totale). Benché - e questo va riconosciuto - dal 2000 (226 omicidi, il record del decennio) ad oggi il numero dei casi di omicidio al suo interno sia in calo. Quasi la metà di questi delitti avviene nel Nord (78 casi), ma in termini relativi i valori più elevati si registrano in Calabria (14 vittime, pari a 7 per milione di abitanti). In circa un terzo di questi omicidi (56 casi) la vittima è il coniuge-convivente. Nella relazione genitori-figli si consuma un omicidio familiare su quattro (22 genitori uccisi dai figli e 21 figli uccisi dai genitori). Il movente passionale risulta prevalente (in 45 omicidi), seguono litigi e dissapori (40 vittime).
Che dire? A rischio di essere banali, si può intanto asserire che la famiglia è lo specchio della società. E che in certo senso finisce per riflettere le crescenti tensioni esterne, prodotte da una società oggi sempre più “atomizzata” e a rischio. Dove sembra prevalere culturalmente una visione agonistica della vita. Detto altrimenti: del “tutti contro tutti”. Un modello conflittuale che finisce per diventare un quadro di riferimento anche all’interno della famiglia, dove, più che l’amore romantico - certo, frutto di una visione desueta - pare ora dominare nel migliore dei casi la reciproca sopportazione. Un atteggiamento che non sempre, come mostra la cronaca, sfocia nella rassegnazione. E spesso i più deboli finiscono per soccombere.
Comunque sia, si pensi a quei giovani - non per forza “bamboccioni” - obbligati a vivere in famiglia, perché condannati da un mercato avaro a svolgere lavoretti scarsamente retribuiti. E quindi non soddisfatti di se stessi e a rischio di nevrosi. Ma anche, ad esempio alle numerose coppie che, pur di non affrontare una costosa e rischiosa separazione giudiziale, preferiscono continuare a vivere insieme, ma da separati in casa. E non sempre in mondo armonioso…
Per esaminare un caso particolare, quali sono i modelli che la società propone alle cosiddette “mamme-funambole”, divise tra lavoro e famiglia? Parliamo di donne spesso con i nervi a rischio... E, secondo alcune indagini, potenzialmente capaci di gesti violenti, spesso autolesionistici. Certo, la donna è sicuramente la parte più debole... Ma non è suggerendo modelli culturali intrisi di violenza, seppure in termini simbolici, che si potrà risolvere la questione.
Ad esempio, qualche anno fa la pubblicità di una casa automobilistica, enfatizzava un gruppo di “mamme-funambole”, pronte a darsi al carica ogni mattina, ricorrendo al grido Maori, riscoperto dalla società dello spettacolo, grazie ai successi della squadra di rugby neozelandese. Una specie di rito guerriero, primordiale, ma necessario per affrontare gli impegni giornalieri divisi tra lavoro, la cura dei figli, cura della casa…
In certo senso, in quella pubblicità si proponeva uno stile di vita aggressivo e di successo… Si chiedeva alle mamme-funambole di farsi muscolose, cattive e violente, come un massiccio giocatore di rugby…
Insomma, la logica del colpo su colpo. Questo oggi passa il convento. E francamente, non aiuta. O no?

Carlo Gambescia

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