lunedì 5 luglio 2010

Alcol  per droga, 
di male in peggio...


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I mass media non ne hanno parlato più di tanto, quindi ritorniamo volentieri sull'argomento. Ci riferiamo ai dati governativi di una decina di giorni fa sulla diminuzione nei giovani del consumo di droga, cui pare si stia accompagnando in controtendenza la crescita del consumo di alcol ( si veda qui http://www.ansa.it/legalita/visualizza_fdg.html_1844799304.html )". Pare", perché prima di intraprendere qualsiasi analisi, andrebbe fatta chiarezza su metodologia e campioni di ricerca. (per alcune giuste osservazione in materia si veda qui : http://social.tiscali.it/articoli/collaboratori/saletti/10/06/droga.html ).
Comunque sia, anche a voler dare per buoni i dati, la vera questione della possibile “permuta” (alcol per droga), non può avere solo natura economica (ad esempio, si consumerebbe più alcol perché a causa della crisi sarebbe più "conveniente" della droga...). Gli approcci economicisti da soli non sono sufficienti, né va condivisa la tesi del "male minore" (meglio l'alcol che la droga...) . In realtà, l’uso di droghe o alcol è legato a due fattori sociologici. Ovviamente, come è nostro solito, la prendiamo da lontano.
Da un lato lo sviluppo della sottocultura dello “sballo”, nel senso di un insieme di valori che caratterizza l’universo giovanile. Ma solo apparentemente, come vedremo. Dall’altro lato, l’incapacità della cultura “adulta” di fornire ai giovani valori e modelli di comportamento maturi e credibili. Perché?
In realtà, il vero problema è che tra “sottocultura dello sballo” e “cultura adulta” c’è anche troppa comunicazione… Quindi sarebbe più giusto parlare di “cultura collettiva dello sballo”. E non solo per la complice permissività su ore piccole e “paghette”. Ma per la comune condivisione degli stessi valori “divertentistici” e “giovanilistici”. E quanto più gli adulti si comportano da giovani tanto più la situazione rischia di precipitare, accrescendo nei ragazzi il senso di insicurezza e irresponsabilità. Un cammino del gambero negli adulti che finisce per rafforzare nei giovani il richiamo “dello sballo”. Parliamo di quel “giovanilismo” diffuso che rende inutile qualsiasi appello a valori “borghesi” o “tradizionali”: modelli culturali in cui non credono più neppure gli adulti, oggi solo desiderosi di bere alla fonte dell’eterna giovinezza. E succedanei...
E qui va chiamata in causa anche famiglia. Che non soffre, come sostengono i conservatori, di una crisi di autorità, ma manca di “autorevolezza”.
Infatti, piuttosto che sull’ autorità, oggi si dovrebbe insistere sull’ autorevolezza dei padri e delle madri. Autorevolezza che nasce dalla “distanza” tra padri e figli: distanza che non può essere eccessiva ma nemmeno inesistente. Ora, se la “distanza” - sociologicamente necessaria - è venuta meno, la responsabilità va imputata a certa superficiale pedagogia, che da cinquant’anni raccomanda ai genitori di comportarsi coi figli da “amici” e non come “padri e madri”: ma tra amici, di solito non vi è mai distanza. E dove manca la distanza, come differenziazione qualitativa dei ruoli (da una parte c’è colui che insegna e dall’altra chi apprende), non c’è autorevolezza. Certo, esiste anche il pericolo contrario: spesso l’autorevolezza, se non si incarna in esempi credibili, rischia di trasformarsi in autoritarismo: in pura e semplice coercizione psicologica e spesso anche fisica. Ma non è questo il nostro caso.
Ricapitolando, come si combatte “la cultura collettiva dello sballo”? Ritrovando il giusto equilibrio, ossia la giusta distanza padri-figli: tra adulti veri, capaci di dare l’ esempio, e giovani bisognosi di regole e non di padri vestiti come Vasco Rossi.
Servirebbe però una società diversa. Ma questa è un’ altra storia. 
Carlo Gambescia

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