Un tempo “Il Sole 24 Ore” era un giornale liberale. Chi scrive, a dire il vero, preferiva “Il Fiorino”, minori ambizioni ma diretto da un professore di scienze politiche, di genio, Luigi d’Amato, con la passione del giornalismo.
Però non è di questo che desideriamo parlare oggi. Dicevamo “Il Sole”. Si noti il titolo: si parla di “svolte”. E di sicuro non liberali Perché assecondare l’Ue sul “diritto alla riparazione” (*)? Cioè sul diritto alla riparazione dell’elettrodomestico, del cellulare, eccetera, eccetera.
L’Ue fa un ragionamento socialista. Di principio, che va oltre il prodotto elettronico. Dal quale un quotidiano economico liberale dovrebbe tenersi alla larga. Anzi smascherarlo. Al posto del direttore de “ Il Sole” avremmo titolato così: La sapete l’ultima? Il diritto alla riparazione. Insomma, quasi a un barzelletta. E non un cinguettante titolo da commercialisti-portiamoci-avanti-il-lavoro… O se si preferisce da vigili urbali del sistema statalista. Ovviamente, con contenuti in linea con il decalogo del buon contribuente o del buon automobilista fiscale.
L’ Ue, come vedremo, parte dalla tesi balzachiana (“Dietro ogni grande fortuna c’è un delitto”) che le imprese programmino l’ obsolescenza di un determinato bene per costringere il consumatore a comprarne uno nuovo.
Inoltre l’ “irriparabilità”, dicono socialisti ed ecologisti (una miscela politica tossica, non meno di quella rappresentata da una destra altrettanto, statalista), accresce la quantità di rifiuti, non favorisce il riciclo, perciò fa male al pianeta. Di conseguenza: 1) Vanno obbligate le imprese a fornire prodotti riparabili, tassando la produzione degli irriparabili; 2) Vanno varati aiuti di stato per favorire prezzi di manutenzione più bassi.
Abbiamo semplificato, ma il principio e le forme sono questi. Puro statalismo.
Sospendiamo il giudizio sulla salute della Terra. Ognuno di noi è libero di credere o meno alla vulgata ecologista. Però va anche detto che oggi socialismo ed ecologismo vanno a braccetto.
Concentriamoci invece sugli aspetti economici. L’obsolescenza di un bene , al di là delle truffe che vanno perseguite penalmente (ma è un’altra storia), è legata all’ economia di scala (più si produce, più i costi di produzione si abbassano) e contrasta con l’economia dell’innovazione ( più si innova più il mercato crea nuove opportunità di profitto). Però, attenzione, quanto più un mercato è di massa tanto più resta difficile innovare, perché l’innovazione implica gigantesche ristrutturazioni. Quindi costi.
Però poi, in un’economia di mercato, le rivoluzioni innovative,
piacciano o meno, esplodono comunque, si pensi al digitale, e le
economie di scala devono perciò adeguarsi. Dopo di che, diciamo così,
gli innovatori si addormentano sugli allori, vivacchiano, anche
benino, diciamo di rendita, sulle economie di scala, fino alla
successiva rivoluzione tecnologica. Dopo di che il giro ricomincia. Il capitalismo funziona così: cari lettori non fidatevi dei rivenditori di auto usate, socialiste, fasciste, socialfasciste, e così via secondo il noto campionario delle pericolose scemenze ideologiche.
In sintesi: l’economia di scala semplifica le parti di un prodotto, l’innovazione le cambia. Un processo per forze contrarie che rappresenta il sale del capitalismo. Di conseguenza, un capitalismo che ricicla, non produce più beni di massa, né innova, se non all’interno di un’economia statica. Per la cronaca: l’economia del riciclo socialista-ecologista è di tipo statico non dinamico. Per dirla con Schumpeter, non c’è più distruzione creativa, e perciò ricostruzione, eccetera, eccetera,
Detto questo, l’obsolescenza incide sulla qualità? E sia. Ma sta al consumatore regolarsi di conseguenza. Come? Ad esempio comprando prodotti riparabili. Per ora non esistono? C’è la congiura? I produttori sono tutti d’accordo, eccetera, eccetera? Oppure ci si trova davanti a false innovazioni, di dettaglio? Il consumatore non compri. Lanci un segnale forte. La merce invenduta è una terapia shock per la pigrizia imprenditoriale.
Ma, si dice, le imprese che non vendono, licenziano… Certo. È Il capitalismo bellezza. Però con le vere innovazioni arriveranno nuovi posti di lavoro. Nasceranno nuovi lavori e professioni, eccetera, eccetera. Il rischio è implicito al capitalismo. Se si vuole sicurezza, unita però alla mediocrità, e spesso alla povertà, si deve imboccare la strada del socialismo. In Europa abbiamo inventato il welfarismo, che è una via di mezzo altrettanto perniciosa.
Insomma, delle due l’una. O il consumatore è sovrano. E allora deve essere lasciato libero di sbagliare. Si chiama pedagogia liberale. Che ognuno di noi sia libero di decidere, e quindi sbagliare, dal consumatore al produttore. O, al contrario, il consumatore non è sovrano, come non lo è neppure il produttore. Quindi consumatore e produttore devono essere aiutati a non sbagliare. E qui interviene la pedagogia socialista che legifera nuovi diritti, obbliga, vieta, tassa.
Sicché siamo di nuovo davanti a un bivio. Liberalismo o socialismo?
Sotto questo aspetto “Il Sole 24 ore” ha già scelto, e da un pezzo, da quale parte stare. Di sicuro non quella liberale.
Carlo Gambescia
(*) Per approfondire il concetto si legga qui: https://www.europarl.europa.eu/topics/it/article/20220331STO26410/diritto-alla-riparazione-l-azione-ue-per-riparazioni-piu-convenienti .
Le Sue Prediche inutili mi piacciono ogni giorno di più.
RispondiEliminaVorrei stuzzicarla con un quesito o "puzzle weberiano": ritiene proprio impossibile un socialismo non statalista? Detto forse meglio, le sembra improbabile che una redistribuzione possa avvenire associativamente senza la creazione e l'intervento di gabbie d'acciaio burocratiche? Buona settimana
Grazie innanzitutto per l'accostamento a Luigi Einaudi. Che non merito. Quanto al "puzzle weberiano" sul socialismo non statalista, mi permetto di rinviarla, sempre su queste pagine alla mia recensione del libro di Fabio Massimo Nicosia, eccellente studioso, diciamo "partecipante", della questione. Il libro tocca queste tematiche. Poi magari ne riparliamo. Però prima deve leggere la recensione e - ancora meglio - l'interessante libro di Nicosia: "L'abusiva legittimità. Dallo stato ai common trust" (De Ferrari Editore, Genova 2017).
RispondiEliminaGrazie
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