Che il Venezuela sia nelle mani di una specie di dittatore nazional-socialista è un dato di fatto. Si noti però un cosa. Nel mondo occidentale si protesta, anche oggi, però i riferimenti all’eredità socialista e nazionalista, lo stesso mix del fascismo storico in Italia e in Germania, non fanno notizia per così dire. Né si critica lo statalismo, all’ultimo grado della scala Mercalli politica, del regime di Maduro. Che cinicamente fornisce alimenti e medicinali ( e ovviamente armi) solo ai suoi sostenitori dichiarati.
Cosa vogliamo dire? Che la protesta internazionale, contro la dittatura venezuelana, a parte alcune rare eccezioni di parte liberale, non ha un saldo fondamento culturale, di critica culturale diciamo. Si evoca un generico ritorno alla democrazia, soprattutto a sinistra, quando non si tace addirittura (si pensi a tetri personaggi come il grillino Di Battista), perché l’abisso in cui sta precipitando il regime di Maduro non può più trovare alcuna giustificazione.
Riassumendo: la sinistra riformista evoca la democrazia, senza entrare nei dettagli di ragioni e cause della crisi, la sinistra radicale tace o si accoda ai riformisti, fischiettando come se in passato non avesse mai difeso prima Chávez poi Maduro. Per non parlare nel mito politico cubano, tuttora vivissimo.
E la destra? O si batte, più o meno apertamente, per la non ingerenza, oppure, critica il dittatore venezuelano occultandone però il nazionalismo: in pratica si critica soltanto il rovescio socialista della dittatura nazional-socialista di Maduro. Insomma, nella migliore delle ipotesi, anche a destra, soprattutto tra i moderati si evoca un generico ritorno alla democrazia, senza indagare troppo sulle cause della crisi. Si chiudono invece gli occhi sul fenomeno populista, storicamente caratteristico dell’America Latina, da sempre terra dei fuochi per lo sviluppo di velenosi nazional-fascismi, più o meno locali, più o meno sociali, più o meno rossi.
Per capirsi, la democrazia senza liberalismo, cioè senza stato di diritto, o meglio la “mentalità” da stato di diritto, non funziona. Non basta cacciare via Maduro. Deve prima cambiare “il cervello” delle classi dirigenti latino-americane, politiche ed economiche. Di conseguenza la vuota evocazione del ritorno alla democrazia, senza alcuna empatia verso le istituzioni liberali (mercato, parlamento, diritti politici e civili), può solo tramutarsi nel grande inganno politico, tristemente rappresentativo di un disgraziato universo politico dove la democrazia è sempre stata intesa in chiave plebiscitaria. Cioè di schiacciamento del perdente politico.
Il Cesare locale è chiamato Caudillo: un capo supremo, in genere un alto militare, che promette riforme al popolo che lo appoggia, che calpesta ogni forma di opposizione, che crea il culto della sua personalità, e che governa fino a quando la morte naturale o violenta non mette fine al suo potere. L’esatto contrario della democrazia liberale, fondata sull’alternanza tra maggioranza e opposizione e soprattutto sul rispetto delle minoranze politiche. La lista dei dittatori è lunga. Risale agli anni dell’ indipendenza dalla Spagna. Probabilmente in Europa, il nome di Perón, grande ammiratore di Mussolini, è quello più famoso.
Pertanto la grande questione è quale democrazia? Plebiscitaria o rappresentativa? Con o senza mercato, diritti civili, politici, eccetera? Esiste in Venezuela, al momento, una cultura liberale diffusa? Cosa ha fatto finora l’Occidente per promuovere la cultura liberale nel Sud del continente americano?
Il silenzio della sinistra o i proclami democratici a scoppio ritardato non aiutano. Ma neppure le riserve politiche, ad esempio sull’economia di mercato, di una destra nazionalista che liberale non è.
Ripetiamo: il problema non è cacciare via Maduro (o comunque non solo), ma come favorire un cambio di mentalità. Si potrebbe parlare di una transizione al liberalismo. Di come porre le basi per una società aperta. Milei in Argentina, pur in modo non del tutto limpido, sta tentando.
Va onestamente ammesso che l’equilibrio tra istituzioni politiche ed economiche liberali non è facile da perseguire. Richiede tempo, pazienza, interiorizzazione del concetto di rischio. Processi lunghi. E spesso la gente comune alla libertà preferisce una mezza promessa di sicurezza immediata.
Del resto nel Cile di Pinochet, dopo un disastroso esperimento socialista, ci si accontentò di introdurre solo elementi di libero mercato, rinunciando però alla libertà politica. Più o meno quel che ha cercato di fare Bolsonaro in Brasile. Sono cose che non possono essere accettate.
E qui nasce un dubbio. Che liberalismo e America Latina siano incompatibili?
Carlo Gambescia
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