lunedì 21 agosto 2023

“Inarcare il sopracciglio”. Una risposta a Gianfranco Rutigliano

 


Gianfranco Rutigliano, da anni mi segue, da molto prima che aprissi la pagina Fb. Sempre puntuale nei suoi commenti, anche critici, ma sempre in modo garbato. Averne di lettori (pubblici) così.

Ieri, a proposito dell’articolo sulle polemiche scatenate dal libro del generale Vannacci (*), ha posto un problema importante. Riporto qui il commento.

«Pur essendo d’accordo, mi chiedo: fino a che punto però posso ignorare fenomeni di un certo tipo? Perché Vannacci è un episodio isolato di una narrazione che è molto più ampia e viene chiamata “far right”. Che ha nei mezzi di massa una visibilità contro la quale il sopracciglio inarcato dei pochi al massimo fa il solletico.
È ovvio che la lezione liberale è quella che ci garantisce tutti per davvero, però di fronte all’avanzare di movimenti affini nel secolo scorso, non è stata particolarmente efficace, purtroppo…»
 (*)

«Inarcare il sopracciglio». Magnifico. Non si poteva rendere in modo migliore il concetto. Perfetta sintesi dello “snobismo liberale”. Titolo che ho ripreso da un libro di Elena Croce (figlia del filosofo), un bel testo, uscito molti anni fa, che però si occupava più di costume che di politica. Comunque da leggere o rileggere.

È vero, siamo davanti un preciso limite della scuola liberale, dettato però dalla consapevolezza sociologica, che al di fuori del liberalismo, che giustamente teme gli eccessi democratici, non c’è salvezza.

La gente comune è tagliata fuori. Dal momento che non può essere liberale, nel senso del grande partito massa, proprio perché il liberalismo o è aristocratico o non è. La questione, per dirla brutalmente, riguarda le élites. Non può riguardare il popolo che ragiona sempre in termini di maggioranze che devono schiacciare le minoranze. Nella migliore delle ipotesi (si fa per dire) il popolo è dalla parte della democrazia maggioritaria, quindi figurarsi se può capire il rispetto delle minoranze che rinvia all’essenza politica del liberalismo.

Pertanto dinanzi a masse che vedono il mondo in bianco e nero, un liberale ha già perduto la sua partita in partenza.

Quando si scatenano le polemiche, come quella sul libro del generale, le idee liberali vengono strumentalizzate, dalle parti in conflitto, per vincere e schiacciare l’avversario, in chiave maggioritaria. Un poco come facevano i grandi proprietari terrieri dell’Ottocento, mescolatisi con l’aristocrazia e la chiesa, gli stessi che poi nel Novecento alimentarono il fascismo. Si fingevano democratici per prendere i voti dei piccoli proprietari e dei famigli, entrare in parlamento e sopprimere la democrazia. La storia francese dell’Ottocento ( e non solo) ruota intorno quest’opera di dissimulazione politica.

Di conseguenza, il patto liberale dovrebbe concernere solo le élites dirigenti: “Coloro che sanno”. Essere tutti d’accordo, per togliere il microfono, staccare la spina, ai nemici del liberalismo. Che usano la democrazia per illudere il popolo di cui sopra, e poi, una volta al potere, cancellarla insieme alle ultime tracce di liberalismo.

Essere d’accordo, significa evitare quei colpi bassi che favoriscono le divisioni delle élites dirigenti (politiche, economiche, culturali), affinché possano presentarsi unite contro il nemici della liberal-democrazia.

In Europa (ma sta cedendo anche negli Stati Uniti) questa coesione, con la “calata” dei populismo in politica e il trionfo di un pericoloso tersitismo mediatico e digitale,  è venuta meno. Destra e sinistra hanno impugnato la clava. Sicché viviamo immersi in un clima demagogico che rischia di sfociare nella dittatura. Non sarà per domani, ma una serie di fattori da “democrazia emotiva” (Geiger), stanno spianando la strada ai peggiori “arruffapopoli”, a destra come a sinistra. Inutile citare esempi specifici, ne ho già tanto parlato e scritto.

A fronte a tutto ciò “inarcare il sopracciglio” è perfettamente inutile. Ha ragione Rutigliano. Per “staccare la spina” -   come dice giustamente Giuliano Compagno (idea condivisa, mi sembra, anche dagli amici Saccone e Pompei) -  deve esistere un’armonia di idee, che allo stato presente latita.

Purtroppo, e qui rispondo a Rutigliano, non sono un uomo politico (né ho mai voluto esserlo). Però come studioso posso mettere i politici sull’avviso. Se si vuole salvare la liberal-democrazia dal populismo politico-mediatico-digitale, si deve “staccare la spina” ai suoi nemici, ma per staccarla si deve essere uniti a livello di élite dirigente. Dal momento che non è possibile essere al tempo stesso pro e contro la liberal-democrazia, nel senso di usare lo stesso feroce apparato propagandistico, il cui uso è rimproverato all’avversario. Insomma, di essere liberal-democratici solo quando conviene.

Si dirà che la mia risposta è fiacca. Probabilmente lo è sul piano dell’azione politica immediata, non però su  quello dell’analisi metapolitica. Diciamo pure della logica metapolitica che spiega che A non può essere B e viceversa.

Cosa voglio dire? Semplice: o lasciare che il cattivo uso del liberalismo uccida il liberalismo, o staccare la spina ai suoi nemici. Tertium non datur . Non si può essere liberali e antiliberali al tempo stesso.

Si dirà pure che la mia è la solita risposta dello studioso. E sia. Ma, al di là di ogni simpatia ideologica, il compito dello studioso non è quello di tramutarsi in profeta o in capo carismatico. Il suo unico compito è di spiegare il senso ultimo, in termini metapolitici, dell’agire politico: se si farà questo, si otterrà questo, se si farà quest’altro, si otterrà quest’altro, e così via.

Al momento, lo ribadisco  da studioso, quindi non da liberale, stiamo andando  al macello della liberal-democrazia. C'è bisogno di aggiungere altro? 

Carlo Gambescia

(*) Qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2023/08/caso-vannacci-solo-lo-snobismo-liberale.html .

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