domenica 7 giugno 2020

George Floyd e la società  Usa
Il razzista? 
Una guardia bianca della stupidità umana


Nella società statunitense, grosso modo fino all’inizio del Novecento, successo e ricchezza sono stati visti come una benedizione, un segno della benevolenza divina, che premia il meritevole. Ovviamente, la secolarizzazione e la  pratica sociale,   come in altre parti del mondo,   hanno  in seguito eliminato o quasi qualsiasi riferimento ultraterreno al  successo e alla  ricchezza, laicizzandoli, incidendo però sui livelli di loyalty.     
Naturalmente, anche negli Stati Uniti  i meccanismi di redistribuzione del valore individuale ed economico sono imperfetti, perché inevitabilmente dipendono dalle condizioni sociali di partenza, dalle reti fiduciarie, dalla fortuna, sorte o caso.  In ogni società i processi di redistribuzione (attraverso il mercato o attraverso lo stato) creano inevitabilmente scontento: i posti in alto sono pochi, i candidati molti.  Di conseguenza non tutti possono farcela.  Tuttavia,  il tasso di loyalty, ossia di rassegnazione  e di consenso politico e sociale, non può non  dipendere dal grado di coesione sociale verso i valori dominanti, nel caso americano, meritocrazia, successo, ricchezza.     
Il che può creare  "problemi". Perché in qualsiasi società,  se alle  imperfezioni costitutive, ineliminabili a prescindere dal regime economico e politico,  vanno ad aggiungersi altri motivi di scontento,  come l’ideologia e la razza, il consenso intorno ai valori base tende periodicamente a rarefarsi o comunque  a  causare  crisi cicliche di dissenso sociale,  segnate da azioni collettive di voice (protesta democratica) e in alcuni casi di exit (di uscita dal sistema, anche attraverso la violenza rivoluzionaria).
L’ ennesima  crisi che gli Stati Uniti stanno vivendo in questi giorni non rimanda però  a una critica del regime politico liberal-democratico e del sistema economico capitalista, in termini di exit,  ma soltanto alla discriminazione razziale, in termini di voice.  
Detto altrimenti: coloro che protestano scorgono nella discriminazione razziale un fattore  limitante, dal punto di vista meritocratico,  rispetto alla realizzazione di valori americani come successo e ricchezza.   Si tratta quindi di un voice sistemica.
Non è il 1917. Nessuna "crisi finale".  Nonostante quel che riportano erroneamente, soprattutto gli insinuanti mass media  europei  quasi tutti non immuni dal virus dell’antiamericanismo,  la protesta  degli afroamericani, condivisa tra l’altro da numerosi cittadini di origine etnica differente,  rinvia alla voice per una maggiore eguaglianza formale. Si "lotta" per  favorire una migliore selezione meritocratica.  Nella protesta, perciò (a parte alcune “frange lunatiche”)  non c’è  alcuna traccia di quel  veleno  anticapitalista che invece certo antiamericanismo e anticapitalismo di destra e sinistra, soprattutto in Europa,  si ostina a vedere. L’afroamericano che protesta vuole essere integrato, non vuole distruggere alcun "sistema".
Quanto al razzismo, siamo davanti ai residui mentali, al lascito culturale se si vuole, della  società aristocratica e schiavista del Sud, che per sgocciolamento dall’alto  è penetrato  nel resto del Paese, seppure non in misura predominante, soprattutto tra le fasce di popolazione meno istruite a basso reddito.  Tra gli scontenti, spesso cronici.
Parliamo, per le sue linee base,  di una mentalità di tipo feudale, imperniata sul servaggio,  che con il capitalismo  non ha mai avuto nulla a che vedere: anzi il latifondismo sudista ha sempre rappresentato l’antitesi dei  principi capitalistici come dei valori americani, in particolare circa la natura meritocratica del successo e della ricchezza.  
Il razzista -  cosa che deve essere concettualmente chiara - combatte  non per la supremazia di una società aperta e meritocratica,  ma per una società chiusa e feudale. Mancando oggi  i grandi proprietari terrieri sudisti, il razzista, in genere un fallito sociale (quantomeno psicologicamente), è una pura e semplice guardia bianca di un ordine primitivo. Un comportamento, insomma, autolesionistico.  
Da stupidi, come  i poliziotti che hanno ucciso  George Floyd.    

Carlo Gambescia