sabato 24 giugno 2017

È morto il professor Rodotà, tarataratatà, tarataratatà …





Per la sinistra, nelle sue varie sfumature,  il professor Stefano  Rodotà,  emerito di diritto civile,  è roba da “Santo (laico) subito”.  Basta leggersi i coccodrilli  di  “Repubblica”, “Il Fatto”,  “il Manifesto”.    
Quel che però  è curioso è che  il giurista  viene celebrato  quale  difensore dei diritti individuali, per dirla in romanesco,  sia  dai “quattrinari" di “Repubblica”  sia  dai “manettari” del “Fatto”,  che invece detestano i "quattrinari", (o "quatrinari"...).  E dulcis in fundo,  osannato,  come profeta dei “beni comuni”, sorta di prosecuzione del socialismo con altri mezzi,  dai “compagni” del “Manifesto”. Qualcosa, evidentemente non torna. Oppure sì.
Soldi, manette e benicomunismo  - basta chiedere a Salvini e Meloni - sono i must  della sinistra al caviale. Della quale - è verissimo -  il professore non si perdeva un vernissage, un manifesto da firmare,   una sdegnata  denuncia pubblica, un richiamo tonitruante alla  Costituzione "più bella del mondo".      
Basta così? No.  Bisogna andare oltre  reazioni  tipo “ cuore a sinistra, portafoglio a destra”, degne di   “Libero”, “Giornale”. “Tempo” e compagnia insultante.  Si deve  andare più a fondo.  E per fare questo, consigliamo, a chi  desideri approfondire, di leggere  due libri del professore: Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata (il Mulino, di recente riedito accresciuto di  alcuni saggi à la page sui beni comuni) e  La vita e le regole. Tra diritto e non diritto (Feltrinelli), un must  per il progressismo bioetico digitale,  Il primo è del 1981  il secondo del 2006.  
Ora, i due volumi, scritti a venticinque anni di distanza l’uno dall’altro, compendiano molto bene, sul piano dell’approccio,  il pensiero di Rodotà.  E ci aiutano -  ecco il punto fondamentale -  a capire i tic cognitivi di una sinistra al tempo stesso, "quattrinara", "manettara" e “benicomunistara”.    
Secondo  Rodotà,  il diritto in quanto forma giuridica deve rincorrere  i contenuti della vita, che però cambiano in continuazione.  E non sempre in meglio. Che fare?  Ecco l'escamotage:   il diritto deve adeguarsi alla vita,  ma solo quando la vita, nel suo svilupparsi, quindi a livello di  contenuti,  non entri in conflitto con  le moderne libertà sociali.  Di qui, secondo Rodotà,  la necessità per la gente comune di seguire il cammino indicato dalle élite  illuminate, le sole in grado di correggere i vizi dell’ ”uomo medio”, così volgare e reazionario, perché attaccato alla proprietà:  diritto “terribile” (la definizione è di Cesare Beccaria), perché condannato a tramutarsi, lungo un percorso ascensionale che va, fortunatamente (però sull'avverbio Beccaria non sarebbe d’accordo), dal diritto liberale,  proprietario,  al diritto comunitario, collettivista, dove tutti hanno accesso a tutto.  Insomma, il socialismo che verrà, come prolungamento del liberalismo. Vecchia tesi,  tuttora cara anche ai reazionari. Quindi, detto per inciso,  i due estremi finiscono sempre per  toccarsi.
Ma se “l’uomo medio” (il “buon padre di famiglia” del diritto civile, concetto  avversato da Rodotà, perché vi scorge  il rapace proprietario),  non è capace di scegliere “il progresso” giuridico, chi ne sarà in grado? Forse, la microsocietà “riflessiva” delle élite?  Che stabilisce, in modo illuminato,  ciò che è giusto o sbagliato?  Rodotà tace, quindi acconsente.  Che dire? Viva la democrazia socialista…
Ma torniamo alla dicotomia forma/contenuto, tema  che Rodotà sviluppa particolarmente ne La vita e le regole.  L’idea di libero sviluppo della personalità umana è forma o contenuto? E’ norma “giuridica” o fatto “sociale”? Sul  punto Rodotà sembra  tentennare, salvo alla fine   propendere per l’ identità tra sviluppo umano e regola giuridica,  ovviamente quando e se “illuminata”: l’uno rimanderebbe all’altra.  E insieme  all’idea di progresso giuridico e sociale, idea  insita in quella di sviluppo umano… E che cos’è lo sviluppo umano?  Ecco la  la risposta di Rodotà:  quel che impone il progresso...  
E’ evidente che siamo dinanzi a  un ragionamento circolare. Non solo:  si  invoca un principio extra-logico di autorità,  quello del progresso. Una vera manna, sociologica,  per  "quattrinari", "manettari" e "benicomunistari"… Che dentro il sacco vuoto  del progresso mettono tutto ciò che vogliono: il maggiordomo filippino,  il magistrato d'assalto, i centri sociali, i compagni che sbagliano ("finanzievi" esclusi), eccetera, eccetera. E possono permetterselo, perché sono  tutti rigorosamente di sinistra. Quindi, dalla parte progresso, delle manette e pure della libertà,  tarataratatà, tarataratatà.  Proprio come Rodotà, tarataratatà, tarataratatà.
A proposito, dimenticavamo:  che la terra gli sia lieve.      

Carlo Gambescia