Giunta Raggi, caos in Campidoglio
L’insostenibile
leggerezza del mandato imperativo
A
proposito dei Pentastellati, si legge che a Torino governano bene e che invece a Roma rischiano di rimanere la classica eccezione che
conferma la regola. Forse.
Quel
che però non stupisce di Roma, perché potrebbe essere la "vera" regola, sono i guasti del cosiddetto mandato
imperativo. Tradotto: gli eletti del M5S, una volta al governo di Roma (come altrove), non possono rappresentare tutti i cittadini, ma
solamente coloro che li hanno eletti. È
vero che la Raggi ,
dopo il voto, ha dichiarato di essere “la Sindaca ” di tutti eccetera, eccetera, ma è altrettanto innegabile l’esistenza di un contratto sottoscritto dai candidati che vincola rigidamente gli eletti (di qui il "mandato", sempre revocabile, in caso di violazione delle regole politiche "imperative", sottoscritte dal "rappresentante", ma definite, imposte, condivise da "tutto" il movimento). Contratto, che la cosiddetta base, ovviamente strumentalizzata dagli avversari interni della “Sindaca" (come avviene in tutti i partiti), usa come un randello per bloccare tutto.
Forse
a Torino e altrove, c’è maggiore sintonia ( e minori rivalità interne) tra base e vertici. Fatto è
che il principio del mandato imperativo, quando non c’è feeling tra vertici e
base ( o all'interno di vertici pronti a strumentalizzare la base), impedisce di governare: si tratta, insomma, della via più breve
alla paralisi politica. In particolare, risulta addirittura pericoloso, e molto, dove la base è imbevuta di giacobinismo in formato magnum: giudiziario, moralista e pauperista. Come per l'appunto tra i pentastellati.
Le
grandi democrazie liberali hanno sempre guardato con sospetto al principio del
mandato imperativo, che rinvia tristemente ai tempi più bui della Rivoluzione
francese e al periodo infantile della democrazia rappresentativa. E per una semplice ragione. Perché il mandato imperativo divide il popolo e la nazione in buoni e cattivi. Oltre a reputare, presuntivamente, qualsiasi rappresentante come un potenziale traditore. Non si accetta il principio, di puro e semplice buonsenso, che idee e uomini onesti e intelligenti, non hanno “bandiera politica”. E che un buon governo è tale perché governa per tutti i cittadini. Insomma, il buon governo unisce tutti, dal momento che il buon governante non usa le leggi come un mitra puntato contro l'avversario politico e contro coloro che lo hanno votato. Sicché il mandato imperativo è fonte di divisioni ideologiche, conflitti politici insanabili e tremende rigidità procedurali.
La
nostra Costituzione, così amata (e strombazzata) dai grillini, all’articolo 67, lo vieta. Si dirà: qui si tratta di un Consiglio comunale e non del Parlamento. Giusto. Però
principio sociologico ed effetti politici del mandato imperativo sono gli stessi. Insostenibili, come stiamo vedendo.
Carlo Gambescia
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