venerdì 11 dicembre 2015

Banche fallite e suicidi
Perché gli italiani non sono -  né mai saranno - liberali

Luigi Einaudi, Presidente della Repubblica. Una rondine che purtroppo non ha mai  fatto primavera...

La vicenda delle banche fallite e del mantello protettivo  steso, subito (o quasi), dallo stato,  può essere occasione per ragionare sul perché gli italiani non sono - né mai saranno - liberali. Ovviamente, non siamo i primi a interrogarci sulla questione:  l’ampiezza della bibliografia in argomento è lì a dimostrarlo.
Diciamo subito, stando ai giornali di oggi, che in Italia destra e sinistra pari sono. Infatti, dicono le stesse cose: rimborsare, a spese di tutti, gli avidi e gli stupidi che si sono fatti raggirare -  come scrivevano ieri -  da un imbonitore bancario.   Dopo di che,  ne siamo più che certi,  saranno restituiti quattro soldi tra dieci-venti anni…  Il che  fa parte della commedia (all’italiana).  Però quel che purtroppo passa - parliamo del "messaggio"  -  riguarda l'errato principio che sottende l’operazione sul piano del non detto, del tacitamente accettato, e da tutti: lo stupido (perché l’avidità è una forma di stupidità) va salvato a  prescindere e soprattutto  a spese di tutti, anche di chi non avrebbe mai investito neppure un centesimo nelle obbligazioni di una  banca etrusca. E che quindi stupido non è.
Ora, il liberalismo, dal punto di vista esistenziale -  esistenziale, attenzione, non dottrinario -  non è un modo di vita  per stupidi e deboli.  Si rivolge, in primis,  ai liberi, forti e responsabili. A chi vuole salire in alto nella vita, e che quindi crede nell’impegno dello studio e del lavoro. A chi conta sulle proprie forze ed è pronto ad affrontare ogni sfida, accettando di  pagarne, responsabilmente, le conseguenze sociali, nel bene come nel male. Dal momento che, come ogni buon liberale dovrebbe sapere,  un imprenditore fallito è prima di tutto un uomo morto, socialmente morto. Ma non solo socialmente. In qualche misura, addirittura il suicidio  del pensionato di Civitavecchia,  potrebbe essere interpretato  come resipiscenza, mortale resipiscenza. E perciò essere di esempio per i gestori della Banca dell’Etruria: un bel colpo di pistola alla tempia, nel silenzio di un ufficio, per saldare il proprio debito morale… Altro che le elemosine dello stato…  Disporre  del proprio corpo, fondamentale diritto liberale,  può anche essere, anzi deve essere, soprattutto in questo caso, veicolo di espiazione e di riconquista, ex post, dell'onore sociale.
Come si capisce, un approccio del genere è per pochi, Per uomini speciali, diciamo edificatori.  E questo già è un handicap. Figurarsi in un paese di piagnoni come l’Italia, dove le tradizioni di uno stato padre-padrone sono fortissime, come del resto le attese di cittadini che aspirano contemporaneamente a fare i propri comodi e alla protezione dello stato. Detto altrimenti:  gente che mira a individualizzare i profitti e socializzare le perdite. Si è parlato, a tale proposito, di individualismo assistito. E quel che sta succedendo ne è un chiaro esempio.
Si dirà,  un liberalismo esistenziale, del genere, non esiste da nessuna parte. Giusto, però ci sono  società, dove gli individui (quindi anche politici e imprenditori) sono ritenuti forti, liberi e responsabili, più liberali insomma ( qui pensiamo al mondo anglofono), e  società, come la nostra, dove si piange con un occhio solo e si stende la mano in attesa della carità politica.  E quanto più, in Italia, si indugerà sul falso pietismo a sfondo statale, tanto più si allontanerà la possibilità di edificare - non dall’alto - ma dal basso, attraverso l’interazione, una società  di uomini liberi, forti e responsabili. Il che spiega il nostro pessimismo.
Uomini, liberi, forti e responsabili, che ovviamente saranno sempre pochi, sociologicamente pochi.Ma questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia
         

4 commenti:

  1. Scrivere "imprenditore fallito è prima di tutto un uomo morto, socialmente morto" non è roba da liberale, ma da socialista convinto.

    Chiunque può sbagliare, accettare le conseguenze, e poi provare a rifarsi. Questa è libertà, altro che considerarsi "morti", o suicidarsi, solo perché non si è riusciti a fare qualcosa.

    Solo politiche socialiste idiote o deliri sociali possono portare a considerare una persona "fallita" solo perché non ha avuto successo e ha perso tutti i suoi beni.

    L'economia infatti se ne frega di quante volte hai sbagliato perché se un giorno offri qualcosa che gli altri vogliono, ti premierà.

    A quanto pare siamo così anti-liberali che pure chi avanza la pretesa di essere liberale, e dovrebbe sapere di cosa parla, c'ha il virus dell'anti-liberalismo dormienti.

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  2. A parte il tono - ma ognuno si esprime come può - e l'anonimato - che non mi piace, di solito non rispondo agli anonimi - devo dire che il suo commento è interessante, perché offre, soprattutto ai lettori, una prospettiva differente, con un suo notevole fondamento economico, differente dalla mia, ovviamente, che è, semplificando, weberiana con estrapolazioni sociologiche.
    Sul mio presunto socialismo e sui virus dormienti, lascio a lei la responsabilità delle affermazioni: in tutta franchezza non ho mai puntato ad alcun monopolio della verità, né tantomeno del liberalismo, come del resto mostrato in un mio recente libro. Se anche lei avesse pubblicato in argomento, sarei lieto di leggere qualcosa di suo, per emendare o integrare le mie analisi.

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  3. Ciao Carlo,

    capisco che un suicidio in ufficio da parte di un bancario colpevole potrebbe essere interpretato anche come gesto nobile, ma forse è un po' in contraddizione con la presa di responsabilità piena che prima avevi invocato. Se sono un dirigente bancario che ha sbagliato, non faccio il piagnone, va bene, ma magari verso parte dei miei lauti redditi su un fondo per i risparmiatori o cerco altra azione riparatrice (nei limiti concessi al "riparare", umanamente inteso), prima di cercare nobiltà nel suicidio. Non credi? Di fatto se il buon creatore non mi ha ancora chiamato a sé qualcosa qui lo dovrò pur fare, magari proprio nella direzione di correggere in parte quanto compiuto in maniera avventata, interessata o ignorante.
    Un saluto

    Samuele Anese

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  4. Grazie. Certo Samuele, il suicidio è solo una tra le opzioni ... :-) . In effetti - se vogliamo salire di livello teorico - il problema è complesso, soprattutto sul versante sociologico E concerne, se mi passi il sociologhese, l'incremento dei livelli sociali di approvazione dell'economia di mercato, livelli che dipendono dal comportamento dei singoli; comportamenti che, per quanto riguarda gli imprenditori, sono regolati, è vero, da un’ ottica premiale di tipo economico ("il mercato che se un giorno azzecchi il prodotto giusto ti premia), ma anche - cosa altrettanto vera - da un’ ottica, sempre premiale, però di tipo fiduciario ("il mercato ti premia non solo se azzecchi il prodotto giusto, ma anche se ti comporti in modo onesto): la prima riguarda il successo economico; la seconda le condizioni di riproduzione sul piano dell'approvazione sociale del successo economico; di qui l'importanza dell'onorabilità sociale dell'imprenditore, il quale è vero che può - anzi deve - "riprovare" emendare,emendarsi eccetera, rimettendosi in gioco. Però quel che va tenuto sempre presente è che non può essere data per scontata la perfetta sincronicità dei tempi economici (quelli del successo economico) con quelli sociologici (della riproduzione dell'approvazione sociale). Di qui, quegli interstizi sociali, dove in attesa che il successo economico torni a premiare questo o quell'imprenditore, occorre garantire l'auto-sostenibilità sociologica dell'economia mercato, nel suo insieme, attraverso la premialità fiduciaria. Tutto qui. Ricambio il saluto. P.S. Ma il commento di ieri era suo?

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