A proposito della morte di Robin Williams
Quando un "mi piace"
distrugge
la morale
di Carlo Pompei
«Tu, solo tu, avrai delle stelle che nessuno ha... Io
abiterò in una di esse. Io riderò in una di esse. Allora per te sarà come se
tutte le stelle ridessero. Quando guarderai il cielo di notte, tu, solo tu,
avrai delle stelle che sanno ridere. Ti
voglio bene. Mi manchi. Proverò a continuare a guardare in su». Zelda, una delle figlie di Robin Williams, ha scritto questa
frase su un social network per
ricordare il padre, riportando
approssimativamente (e imprudentemente) un passo de Il
piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. Questa sembra essere
stata la leva che ha aperto le dighe del fiume di commenti dei "cinici a
comando" della rete. Migliaia i messaggi inviati da frustrati, invidiosi,
livorosi o semplicemente stupidi.
Sì, stupidi, perché non vogliamo affatto raccontarvi quanto
fosse bravo o buono Robin Williams (cosa nella quale peraltro crediamo, forse
ingenuamente), ma soltanto ricordare a chi se ne fosse dimenticato che vi è un
momento nel quale importa soltanto il rispetto per una persona che non è più
tra noi, almeno fisicamente.
E questo a prescindere dal fatto che fosse miliardario e
paradossalmente meno attaccato alla vita di quanto non lo sia il bambino
africano o palestinese di turno, luoghi comuni spesso tirati in ballo senza
cognizione di entrambe le cause (Milan Kundera ci scuserà se rivediamo la sua
insostenibile leggerezza dell'essere, ma a volte occorre distinguere).
E questo a prescindere dal fatto che i potenti mezzi di
comunicazione scriteriatamente messi a disposizione di qualsiasi imbecille usi
un cellulare, gli diano la sensazione che egli stesso possa divenire un
opinionista dimostrando un livello di sensibilità etica e morale pari o
inferiore a zero. Essendo questi parametri ineluttabili per essere
"classificati" - appunto - "opinionisti", verrebbe
spontaneo concludere che i commenti di codeste persone risultino ininfluenti;
invece, purtroppo, sono dannosi. Sempre di più.
Per questo motivo non ci abitueremo mai a queste
manifestazioni di stucchevole idiozia o di immotivata cattiveria. Accadono in
occasione di ogni lutto che abbia una certa risonanza e vengono ravvivate ogni
qualvolta un sostenitore di questo o quel personaggio defunto lo ricordi in
concomitanza di anniversari, come se una persona scomparsa sia più importante
di un'altra.
Questi "opinionisti" cadono, infatti, nella
"contraddizione egualitaria", cioè a dire che, siccome non si può
celebrare pubblicamente ogni suicida (o presunto tale), non si dovrebbe parlare
neanche dei noti, dimenticando che accendere una luce su un illustre depresso
potrebbe illuminare anche tutti gli altri.
Un modo di pensare che scaturisce da un materialismo
putrefatto il quale permea questi commenti di uno strato di cinismo egoistico
aberrante mosso da invidie malcelate. Queste si appellano ad un buonismo
d'accatto verso vittime terze, delle quali, peraltro, gli estensori dello
stesso se ne fregano, ma le sfruttano ignobilmente.
Da Elvis Presley a Marilyn Monroe, da Jim Morrison a John
Lennon, da Freddie Mercury a Michael Jackson, da Lady Diana a Steve
Jobs, da JF Kennedy a Martin Luther King, da Malcom X ad Amy Winehouse –
soltanto per citarne alcuni – vi è una tifoseria di "santificatori" e
di "rottamatori" pronta a darsi battaglia verbale sulla morte, per la
quale il silenzio è sempre il miglior commento.
Pertanto scusateci se ne abbiamo parlato.
Carlo Pompei
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