martedì 1 luglio 2014

Uccisi i   tre ragazzi israeliani rapiti
La  terribile  
logica della guerra



“Un insensato atto di terrore”.  Per una volta  siamo d’accordo con Barack  Obama.  Naturalmente,   il radicalismo neocomunista e neofascista,  da sempre schierato con la Palestina,  tirerà fuori le  solite storie ripugnanti. Quali?  Dalla mano dei servizi israeliani al "sacrosanto atto di giustizia" in nome dei bimbi palestinesi uccisi dai “nazisti" israeliani.  Come del resto, dall’altra parte,  i fondamentalisti filo-israeliani  grideranno vendetta, invocando epocali ed esemplari  punizioni.       
In realtà, il conflitto  tra  israeliani e  palestinesi, proprio alla luce di quest'ultimo terribile episodio, può essere  un interessante banco di prova per riflettere sui meccanismi della pace e  della guerra. Ovviamente "applicati" alla situazione mediorientale. Pareto parlerebbe di  verifica, attraverso i fatti, di una certa teoria.   
La guerra (anche fredda)  è un meccanismo a spirale dotato di forza propria  che, una volta messo in moto dall’uomo, non si ferma fino  al soggiogamento o  distruzione di uno dei contendenti. Ovviamente,  implica fasi calde e fredde, come dire armistiziali: non c’è guerra ma si è sul piede di guerra, armati, non solo in senso fisico, fino ai denti. La guerra non impone alcuno sforzo perché  è una naturale costante (in senso sociologico) della condizione umana.  Il polemos in qualche modo, se ci si perdona la banale metafora sartoriale,  è un abito su misura che l’uomo indossa volentieri.    
Invece la pace è un meccanismo gestito totalmente  dall’uomo.  Non è una “macchina” a fin di bene, come  crede  in modo ingenuo  il costruttivismo:  una "macchina"  delle meraviglie che una volta avviata procederebbe  da sola,  autoalimentandosi  fino all’instaurazione del “paradiso in terra”...  In realtà,   la pace (soprattutto il mantenimento della) impone sforzi sovrumani, perché  si tratta di  una scelta  culturale piuttosto che di una costante naturale (sempre in senso sociologico).  Per restare in metafora, la pax è un abito poco gradito all’uomo, perché,  sempre,  di  un paio di  misure più stretto.  
Sotto questo aspetto  il  conflitto  israelo-palestinese -  proprio perché tale, anche per definizione  -    non è mai finito  Anzi, è decisamente in atto.  Perciò tutte le  pompose frasi,  che leggiamo,  sul processo di pace che sarebbe in corso, hanno sì un valore, ma - ecco il punto -  solo all’interno di una situazione conflittuale (calda o fredda).  Insomma,  più che di processo di pace  si dovrebbe parlare di processo armistiziale:  dal momento che finora i due contendenti  non hanno mostrato di avere   alcuna voglia di fare quel  “salto” culturale  dalla guerra alla pace, di cui si diceva. 
Di qui però,   il susseguirsi di azioni e reazioni, secondo l’inevitabile  spirale del  meccanismo bellico, anche nella sua spietata versione terroristica, come nel caso dei tre ragazzi rapiti  e uccisi. Quindi,  prepariamoci a una dura reazione israeliana. Alla quale seguirà una replica dei palestinesi, e così via...  
Purtroppo,  l’uomo, se offeso,  non porge mai  naturalmente l’altra guancia.  Colpisce a sua volta.  Per alcuni l’occhio per occhio rappresenta la più antica ed elevata  forma di giustizia. Il che è vero, ma rinvia a una logica bellica o polemica. Mai dimenticarlo.

Carlo Gambescia

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