giovedì 11 marzo 2010

Il libro della settimana: Anders Chydenius, La ricchezza della nazione, introd. di Francesco Forte, Liberilibri, pp. XXVIII-50 , euro 13,00. 

http://www.liberilibri.it/anders-chydenius/167-la-ricchezza-della-nazione.html

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In principio era Adam Smith… E invece no. A ritenerlo è Francesco Forte nella sua densa introduzione a Anders Chydenius, La ricchezza della nazione (Liberilibri, pp. XXVIII-50 , euro 13,00). Un notevole volumetto pubblicato per la prima volta nel 1765, undici anni prima della famosa Ricchezza delle Nazioni, al plurale, di Adam Smith.
Ma chi era Anders Chydenius? Diciamo, intanto, che non lo si trova nell’indice dei nomi delle maggiori storie del pensiero economico, a partire dall’enciclopedica, purtroppo incompiuta Storia dell’analisi economica del grande Schumpeter. Perciò, grazie anche all’immaginazione editoriale di Liberilibri, siamo davanti a una vera e propria scoperta culturale.
Anders Chydenius, nasce nel 1729 a Sotkamo in Finlandia, allora provincia svedese. Figlio di un pastore luterano, di cui seguirà la vocazione. Muore nel 1803. Da attento osservatore della società del suo tempo, si dedica allo studio dell’economia, all’epoca non ancora - e fortunatamente - disciplina autonoma. Di qui, in lui, quella felice sintesi di senso morale, spirito critico e liberalismo che caratterizza il “protoeconomista” settecentesco: un geniale “volatile” da biblioteca di cui Adam Smith resta comunque esempio classico.
Ma in che cosa Chydenius anticipa il papà della “mano invisibile”? Nel rapportare la ricchezza della nazione al libero commercio, e non alla pura e semplice accumulazione di metalli preziosi a danno dei partner commerciali stranieri, come invece pretendeva il mercantilismo seicentesco. L’idea di fondo che anima il pensiero di Chydenius e Smith non è quella dello scambio di mercato dove una parte perde e un’altra vince, ma dove entrambe vincono, arricchendo le rispettive nazioni.
Sulla bontà di questo laissez faire, per così dire, giusto e solidale (sulla scia dell’idea del commercio che ingentilisce i popoli, adombrata in Montesquieu), ci sarebbe molto eccepire. Ma il punto non questo. Quel che conta è che Chydenius anticipa Smith. E ciò che il pensatore scozzese disperde in un migliaio di pagine, il finlandese lo sintetizza in quaranta. Gli studenti sono avvisati.
Ma c’è un punto particolarmente interessante de La ricchezza della nazione che suona di monito per tutti coloro che alle virtù presunte del mercato oppongono, idealizzandole, quelle dello stato. Dove Chydenius, parlando dell’interventismo pubblico, si lascia andare alla seguente considerazione:

“Ma anche se fosse possibile avere tutta la conoscenza necessaria… potrebbe nonostante ciò accadere che la buona volontà venga a mancare in coloro che gestiscono tale questione… Potrebbe facilmente succedere che essi stessi [gli uomini al governo] traggano qualche vantaggio dall’indirizzare le persone in quello o quell’altro settore particolare, e per questo lo sostengano. Cos’altro potrebbe verificarsi allora se non che il settore più proficuo verrebbe privato di lavoratori con un’irreparabile perdita per la nazione?” .
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Hayek sarebbe d’accordo. Anche perché si tratta di una “buona volontà” che sembra mancare anche oggi. Che però pone un problema, prima che economico, antropologico. Questione sfuggita anche a Chydenius. Quale? Che se la buona volontà morale “viene a mancare” nei dirigenti politici, perché viziata dall’interesse privato, non si capisce perché lo stesso interesse privato, che sembra prevalere come costante “antropologica” fra “tutti” gli uomini (politici e non), debba condurre allo scambio a somma positiva fra privati teorizzato da Chydenius e Smith. Delle due l’una: se l’interesse privato è moralmente buono, allora i dirigenti politici nel perseguire il proprio interesse sono nel giusto; se invece l’interesse privato è moralmente cattivo, allora non esistono scambi giusti e solidali, neppure a livello di singoli individui privati, operanti sul mercato. Si tratta di una questione non risolta da Chydenius e neppure da Smith. E accantonata dagli economisti venuti dopo. Ma questa è un’altra storia. 

Carlo Gambescia

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