martedì 14 luglio 2009

La crisi del Partito democratico  
Lo sciacallo



Se dovessimo indicare un nostro candidato alle primarie per la segreteria del Partito democratico sceglieremmo Bersani. Non tanto per la qualità del personaggio o per quel dice, ma perché dietro di lui c’è D’Alema, l’ultimo dei Mohicani della vecchia guardia, che nel 2005-2006 puntò sull’emancipazione finanziaria dei diessini, e in prospettiva del centrosinistra, dalla stesso establishment bancario-inprenditoriale-mediatico che era ed è contro Berlusconi, ma scegliendo il cavallo sbagliato: Consorte. E così D’Alema e Fassino vennero massacrati con le solite intercettazioni a orologeria di Repubblica e Corriere della Sera.
Ovviamente, si tratterebbe di una scelta di istintiva simpatia per un politico, che non si è mai piegato (alcuni aggiungono "del tutto"...) davanti a Israele. Ma questa è un’altra storia.
Purtroppo la crisi del Pd è molto più profonda. E consiste nel fatto che il Partito democratico non ha alcuna precisa identità politica. Non è un partito di sinistra ma non è neppure un partito di centro... Non è un partito socialdemocratico, né post-socialdemocratico, né democratico-cristiano o post-democratico-cristiano... Non è laico, non è confessionale... In economia non è favore del mercato ma non è neppure contro... E’ un partito indecisionista.
Pertanto, anche la ricerca di autonomia finanziaria dai poteri forti, perseguita da D’Alema (e all’epoca, ad esempio, osteggiata da Rutelli), sarebbe finita "politicamente" in un nulla di fatto, anche in assenza delle intercettazioni a orologeria. Quando non ci sono idee e programmi, i soldi da soli non possono bastare. Come del resto non può bastare il realismo politico, nudo e crudo, di cui D'Alema resta però maestro indiscusso. Ma anche questa è un'altra storia.
Sulla crisi del Pd, che poi non è solo la crisi di un partito, perché si riverbera quotidianamente su un elettore di sinistra, democratico e riformista ma depresso perché privo di una casa-madre, si è abbattuto l’atto di sciacallaggio politico di Beppe Grillo. Che candidandosi alla segreteria Pd, non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco non solo di un partito ormai allo sbando, ma anche di un elettorato democratico, ancora consistente, che avrebbe bisogno di tutto, eccetto che del qualunquismo di un comico in disarmo.

Complimenti. Berlusconi ringrazia.

Carlo Gambescia 

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