venerdì 20 febbraio 2009

Divagazioni

Dal nazional-popolare all’internazional-popolare



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Che cos’è nazional-popolare? Il Festival di San Remo? Il Grande Fratello? Assistere commossi alla sfilata del 2 giugno? Un film di Alberto Sordi?  Fare tifo per la nazionale di calcio? Difficile dire. Ci limiteremo ad alcuni spunti veloci. Niente di complicato e definitivo. Un invito all'approfondimento.
Partiamo dai "Maggiori". La teorizzazione di Gramsci del nazional-popolare come capacità dell’intellettuale “progressivo” di farsi interprete delle aspettative delle “classi subalterne”, è oggi superata. Proprio come certi romanzi, pur suggestivi, di Cesare Pavese. Per quali ragioni?
Perché non c’è più alcun partito-principe, al quale l’intellettuale debba essere in qualche modo fedele, non ci sono più masse da nazionalizzare, e cosa più importante, quel che è "nazionale" - come ad esempio l’amor di patria e in subordine il piacere di viaggiare (e “mangiare”) in lungo e in largo per l’Italia – non è più "popolare". Ricerche e sondaggi mostrano che gli italiani si “sentono” sempre più internazionali: cittadini del mondo. Viaggiano all’estero, apprezzano la cucina etnica, eccetera.
Si dirà, sono dettagli. Ma a nostro avviso molto significativi. Per due ragioni.
In primo luogo, perché mostrano l’internazionalizzazione della cultura popolare, quella del cibo e degli usi sociali, come il viaggiare: il livello più basso, profondo e sentito. E qui è sufficiente seguire una qualsiasi conversazione, tra persone comuni, per scoprire come oggi il non viaggiare sia avvertito e sancito socialmente come una diminutio capitis.
In secondo luogo, perché indicano che sarebbe più corretto parlare di cultura internazional-popolare. Ovviamente non in senso gramsciano, ma in chiave sociologica come insieme di valori e pratiche diffusi internazionalmente tra la gente comune. E qui ci riferiamo a quel modello sensistico (di valori, atteggiamenti e comportamenti) condiviso da Roma a San Francisco (se non oltre), incentrato sull’ ubi bene ibi patria e veicolato dal cinema, dalla musica e dai media in genere, attraverso un inglese di base, ormai impadronitosi linguisticamente della cultura audiovisiva.
Pertanto continuare a discutere del nazional-popolare è inutile. Andrebbe invece studiato l’internazional-popolare.


Carlo Gambescia

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