martedì 5 dicembre 2006


Analisi 
Viaggio al termine 
della televisione



La televisione, quanto a programmi, sembra essere entrata in una specie di kali-yuga (l’età oscura degli Indù), che però non volge mai alla fine: ogni nuovo “prodotto” è peggiore dei precedenti: il caos finale non giunge più e neppure la catarsi… Per parafrasare Céline, il nostro viaggio al termine della televisione dura ormai da troppo tempo.
Che dire infatti dell’ultimo nato, almeno in Italia, il reality show ? Di cui alcuni già annunciano la morte… Solo male.
In effetti, il buon McLuhan non si sbagliava: il “villaggio globale” esiste. Non tanto ( o solo) in termini di riduzione delle distanze, quanto di “pettegolezzo globale”. Perché se il mondo è divenuto un villaggio, grazie ai mass media, allora la tivù pettegola del “Grande Fratello e cloni vari, né è il necessario compimento. Dal momento che il pettegolezzo è la tipica manifestazione di ogni società “chiusa”.
Non stiamo andando fuori tema. Perché, con buona pace di Popper, la nostra è una società chiusa, appiattita solo su alcuni valori: successo, denaro, sesso. E che appunto non possono essere discussi, pena la scomunica politico-mediatica. Sono però i medesimi valori intorno ai quali gira il reality show: E grazie ai quali (ecco la forza del pettegolezzo: solo storie di liti, di sesso, ecc, tra i suoi protagonisti), tiene incollate al video persone di ogni età e condizione (ecco il controllo sociale: se il mondo viene fornito a domicilio, perché cercarne uno migliore fuori).
Certo nel reality il pettegolezzo ha una funzione indiretta: Non si tratta del gossip classico (diretto), rivolto ad allontanare il consenso da chi ne è oggetto: “si dice” che un tale ha rubato o tradito per evitare che certi comportamenti antisociali proliferino. Col reality show il pettegolezzo serve a coagulare interesse su chi ne è il portatore: la televisione, che guarda caso, “vende” spettatori ai pubblicitari, e questi alle imprese. Insomma, da una parte ci sono i protagonisti, più o meno famosi, che mettono in piazza i propri tic, più o meno sinceri. Dall’altra, il telespettatore ipnotizzato, che partecipando al pettegolezzo, s’illude di controllare, ma che invece è controllato, dal Grande Fratello, quello autentico…
Vanno perciò sottolineati due aspetti.
In primo luogo, se è vero che i pettegolezzi da reality sulle vicende dei protagonisti, creano reti di solidarietà tra i telespettatori (parteggiano, nascono club, riviste, siti, eccetera), è altrettanto vero che si tratta di forme di interazione che non trascendono la realtà (la reality), ma vi si immergono (diremmo, sguazzano): per le folle solitarie televisive il mondo inizia e finisce con Taricone (in senso archetipico), e tutte le altre figure e figurine… Si solidarizza intorno alle “chiacchiere” perché si rifiuta (con la complicità di programmisti e analisti televisivi, ben pagati per fare questo), di risalire al “fondamento”, alla domanda di fondo: che ci faccio io davanti alla tivù? Quando la vera vita è altrove…
In secondo luogo, come abbiamo giù accennato, ogni pettegolezzo, oltre a sminuire l’immagine dell’interessato ( il divetto o la divetta del reality di turno) fa acquistare più potere a chi lo racconta: la televisione. O meglio al potere economico-mediatico che vi è dietro. Potere che si presenta come garante delle abitudini sociali e degli stereotipi sociali condivisi. E oltre i quali non è possibile andare: si può criticare o celebrare il divo in voga, ma non mettere in discussione lo stereotipo del giovane affamato di successo, denaro, eccetera.
C’è pero un ultimo fatto. La valorizzazione del pettegolezzo, da parte dei media televisivi, ne tradisce certa insicurezza di fondo. Dal momento che come insegna la sociologia del gossip, il pettegolezzo rivela la fragilità di chi lo fa, perché chi è socialmente forte non ha bisogno di acquisire consenso sparlando dell'avversario.
Allora, fine del viaggio o del kali-yuga? Difficile rispondere. Per ora restano due possibilità: o il progressivo intensificarsi della tivù-spazzatura, fino a toccare il fondo (se un fondo esiste…); oppure la graduale fusione tra potere politico ed economico-mediatico. In ogni caso, tra i due scenari, non sapremmo indicare il peggiore.
Quanto all’Italia, siamo sulla buona strada, per un brutto ibrido: tivù-spazzatura più concentrazione dei poteri.

Carlo Gambescia

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