martedì 12 dicembre 2006


Pacs
Legge o sanatoria?



Non è facile affrontare il problema dei Pacs. Troppi pregiudizi ideologici nell’uno e nell’altro senso impediscono un’analisi oggettiva, sotto l’aspetto sociologico. Comunque sia, vale la pena di tentare.
In primo luogo, va liberato il campo da quasiasi posizione di tipo normativo ( “devi” oppure “non devi”). Imporre, o proporre, schemi morali e religiosi non cambia la sostanza economica e sociale della questione. Ma di quale questione? La nostra società, quella scaturita dal cosiddetto riflusso verso il privato degli anni Ottanta, è segnata da due processi: uno di individualizzazione ( nel senso che si tende in tutti i campi a privilegiare l’individuo rispetto al gruppo sociale); e un altro di socializzazione coattiva (nel senso che l’individuo, oltre una certa soglia di resistenza, non può fare a meno di chiedere aiuto al gruppo sociale). Si tratta di un fenomeno che oggi segna in particolare l’economia: si pensi alla precarizzazione del lavoro e al tentativo di regolarla socialmente. Ad esempio, parlare, come accade oggi, di “stabilizzazione dei precari”, significa riconoscere che l’individuo da solo non può farcela. Di qui la necessità se non di intervenire, di fare comunque qualcosa (poi però vedremo come...).
In secondo luogo, la precarizzazione riguarda tutti i rapporti sociali, inclusi quelli legati al “fare famiglia”. Per una serie di ragioni - in primis economiche - ci si sposa sempre meno. Lo sposarsi (ma anche il divorziare…) oggi implica "costi di gestione" elevati. E così risulta difficile fare progetti, quando un giovane su quattro ha un lavoro precario, e due su quattro rischiano di essere licenziati. Di qui la scelta di convivere: più economica, ma fino a un certo punto. Dal momento, che tale scelta può provocare problemi di tipo previdenziale, assistenziale, eccetera, soprattutto se si decide di mettere al mondo dei figli. Certo, un eventuale divorzio non costa nulla… Comunque sia, il fattore economico spiega a sufficienza perché due giovani su quattro (tra i 25 e i 35 anni, la stessa fascia di età colpita da un elevato tasso di precarizzazione) convivono, o hanno avuto, esperienze del genere, anche se di breve durata (spesso meno di un anno).
In terzo luogo, la precarizzazione della vita familiare, ha finito per imporre, come in ambito economico, un progetto “stabilizzazione”. Che è appunto rappresentato dal disegno di legge sui Pacs, del quale si discute in questi giorni. Diciamo, allora, che come nel caso della “stabilizzazione dei precari” si tratta del solito provvedimento legislativo che risponde alla logica dell’emergenza. E spesso le leggi varate in tutta fretta sono pessime leggi.
In quarto luogo, il vero punto della questione è rappresentato dalla precarizzazione economica. Se non si mettono le persone - e soprattutto i giovani - nella condizione socio-economica di scegliere liberamente tra famiglia e coppia di fatto (legalmente riconosciuta), la legge sui Pacs assume il brutto aspetto di una specie di sanatoria, se ci si passa la battuta, che deve porre riparo all' ”abusivismo matrimoniale” (che poi abusivismo non è…). Che non risolve nulla.
In quinto e ultimo luogo, qui non si mette in discussione, il diritto soggettivo delle persone di scegliere, ma semplicemente si richiama l’attenzione su come in realtà, in una società che al tempo stesso predica l’individualismo e priva l’individuo delle necessarie risorse economiche, nessuno sia libero di scegliere. Il che significa che nel tempo (probabilmente basterà una generazione) i rapporti sociali si faranno sempre più precari, e nonostante la retorica individualistica imperante, le persone si sentiranno sempre più sole e a rischio. E la vita di coppia - sotto qualsiasi veste legale - non potrà non risentirne seriamente.
Per riassumere: è il sistema economico che deve fare un passo indietro. Le leggi da sole non bastano.
Ecco il vero problema.

Carlo Gambescia

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