martedì 10 gennaio 2006

Harry Potter 

e l'ideologia delle libere professioni 



Il successo mondiale della saga di Harry Potter può essere studiato a due livelli.
Il primo livello riguarda l'esame dei meccanismi editoriali e mediatici che hanno trasformato una delle tante storie per ragazzi in una macchina per fare soldi: un processo, come per altri "prodotti" simili, legato al nesso consumistico libro-film-gadget. Niente di nuovo sotto il sole.
Il secondo livello, quello più interessante, riguarda invece il tipo di messaggio che i libri di Harry Potter "inviano" a un pubblico di adolescenti, e di riflesso a genitori e famiglie. Si tratta di "segnali" molto rassicuranti, "law and order". E che non hanno nulla a che spartire con le accuse mosse alla Rowlings di scrivere libri "intrisi di magia".
Dietro l'intera saga, infatti, non c'è come ideologia-guida la celebrazione della magia ma il culto del "professionismo liberale", quello un tempo veicolato dalle storie a fumetti di Walt Disney: dello "studia sodo, preparati, scegli una professione, molto remunerativa, e divieni esercitandola un pilastro di quella stessa comunità, che fornendo gli "strumenti" di studio (scuole e università), ti ha concesso di diventare uno stimato professionista" . Che poi in realtà nelle nostre società la selezione delle élite segua altri percorsi fiduciari e clientelari, e che spesso funzioni al contrario, provocando sfruttamento, nevrosi, fallimenti, rabbia e violenza, poco importa... Il ruolo di una "ideologia-guida" è quello di fornire un modello di comportamento, come dire, a prescindere dalla realtà effettuale.
Harry Potter è un aspirante mago, professione ben remunerata, e che sicuramente, poiché rivolta al bene, gode della stima della comunità. Inoltre la scuola di Hogwarts, è aperta a tutti (anche ai figli dei "babbani", dei "non maghi", ma anche ai figli dei maghi poveri: ecco un esempio di interclassismo che piacerebbe a un Rawls (sinistra liberale). E che non sarebbe sgradito neanche a un Hayek (destra liberale), dal momento che per accedere a Hogwarts si deve dimostrare di poter raggiungere i più alti livelli di eccellenza: Harry Potter e i suoi compagni di corso, sono perciò scelti perché, già possiedono tali qualità, a prescindere dalla "classe sociale" di appartenenza. E nei sette anni di studio, a poco a poco, i "maghetti" oltre a scoprire di possederle, acquisiranno quell'idea di "professionismo", che una volta diventati "maghi" li renderà a un tempo eguali e diversi: eguali all'interno del gruppo sociale dei maghi (pur nel rispetto delle gerarchie interne) ma diversi, perché professionalmente qualificati, rispetto al resto (e alla "media") della società. Ma al servizio di quest'ultima, nei termini, di uno gnosticismo (in senso sociologico però, come elitismo politico-sociale), a fin di bene...
Si tratta, insomma, di un messaggio socialmente conservatore, che non ha nulla di rivoluzionario. Con in più quel "pizzico" di individualismo, anarchicheggiante, che segna certe improvvise decisioni di Harry Potter ( prese sempre a fin di bene), che piacerebbe al versante anarchico-libertario del liberalismo contemporaneo (non tanto a un Nozick, quanto un Walter Block).
Di qui perciò la volontà mediatica, già intrisa ideologicamente di professionismo liberale (senza per questo parlare di complotti), di dare massima diffusione a una "saga" che indica ai dodicenni, coniugando abilmente "evasione" e consenso, come unica strada percorribile, quella che va verso Hogwarts: quella della divisione sociale e liberale del lavoro. E quindi  del  capitalismo come il migliore dei mondi possibili.

Carlo Gambescia

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