Finalmente il Comune di Roma ne ha fatta una giusta: ha ordinato il ritiro dei manifesti razzisti della Lega, apparsi nella Capitale per celebrare il cosiddetto Decreto sicurezza, fortemente voluto da Giorgia Meloni (*).
Chissà, però, cosa accadrà nelle città dove comanda la destra…
Il Campidoglio ha fatto riferimento all’art. 12-bis del Regolamento comunale in materia di pubblicità, che vieta esposizioni pubblicitarie il cui contenuto contenga stereotipi legati all’appartenenza etnica (**).
Infatti, i manifesti leghisti hanno un esplicito contenuto razzista: colpevolizzano esclusivamente migranti e Rom. Roba da KKK (***).
Attenzione, la questione è grave — non tanto per il contenuto immediato (lo slogan muscolare, la retorica del “grazie alla Lega”) — quanto per il messaggio implicito, che rivela il vergognoso degrado concettuale nel quale è precipitato il discorso pubblico italiano.
Una precisazione: se si commettono reati, è giusto intervenire. Ma il problema, qui, non è il richiamo all’ordine in sé, bensì la strumentalizzazione dell’ordine come feticcio ideologico. Non si tratta più di far rispettare la legge, ma di costruire un nemico sociale funzionale alla narrazione del potere.
Il volto del “colpevole” viene scelto con cura: straniero, povero, marginale. L’inquadratura fotografica lo inchioda, senza processo, nel tribunale visivo della pubblicità politica. È un ordine che non rassicura, ma divide. Che non educa, ma punisce. Che non cerca la giustizia retributiva (che ciascuno “paghi” il suo peccato), ma il capro espiatorio (che uno “paghi” per i peccati di tutti).
Come? Puntando sull’acquisizione di un consenso totalitario attorno a una visione del mondo punitiva, avvelenata dal sospetto — una vera e propria presunzione di colpevolezza — basata sul colore della pelle.
Per fare un altro esempio, negli Stati Uniti gli sgherri dell’immigrazione, al servizio di Trump, fermano per strada le persone in base al colore della pelle, olivastra nei latinos…
È una semplificazione brutale, tipica della destra: non si discute perché si occupi una casa, perché si scivoli nella microcriminalità, perché si entri illegalmente. Nessun accenno a politiche abitative, esclusione sociale, dispersione scolastica, disagio giovanile, persecuzioni politiche.
Tutto ciò che è complesso viene espunto dalla destra, lasciando spazio a un’etica binaria: o di qua o di là. Per farla breve: “onesti contro criminali”, “italiani contro stranieri”, “noi contro loro”.
Non è un’idea di giustizia quella che viene proposta, ma una forma primitiva di repressione: una giustizia tribale, scenografica, spettacolare, priva di diritto e di ragione. Una giustizia da cartellone stradale, utile solo a rassicurare i più timorosi e a galvanizzare i più rancorosi.
Siamo davanti a un linguaggio che non costruisce ordine, ma lo mima in modo grottesco, riducendo la complessità del vivere civile a una sequenza di slogan e fotografie preconfezionate sul piano digitale.
Per inciso, la Lega ha replicato sostenendo che il Campidoglio sarebbe addirittura contro l’Intelligenza Artificiale… I leghisti non hanno nemmeno il senso del ridicolo. Neppure Hitler e Mussolini lo avevano. Da ultimi: Trump, Putin, Orbán,Erdoğan. Cosa ancora più grave perché chi non sa ridere di se stesso è pericoloso, dal momento che prende ogni dissenso come una minaccia, ogni critica come un affronto personale, ogni battuta come una dichiarazione di guerra.
L’autoironia è il primo argine contro l’autoritarismo.Dove manca la capacità di mettersi in discussione, fiorisce la propaganda, marcisce il dialogo, si irrigidisce il potere. Chi è incapace di ridere è incapace di pensare liberamente. E tende a voler impedire anche agli altri di farlo.
Ricapitolando: l’occupazione abusiva, la microcriminalità urbana, l’insicurezza reale sono problemi concreti. Ma affrontarli con la brutalità semantica di un manifesto è come voler spegnere un incendio dettandovi sopra la benzina.
In questo senso, la sicurezza non è più un bene comune, ma una merce avariata elettorale, venduta al prezzo della dignità altrui. Chi governa in nome dell’autorità dovrebbe sapere che la legittimità del potere non nasce dalla forza, ma dal libero consenso.
Consenso che, a sua volta, porta alla giustizia.
Giustizia che non si persegue con i manifesti, né con i proclami di piazza.
Si dirà: “Ma la gente ha paura”. E sia. Ma un governo responsabile non alimenta la paura: la governa.
O peggio ancora, come accade, non lavora sulla percezione della paura, che in questo caso è frutto di una vergognosa propaganda razzista.
Si crea così una specie di spirale, rivolta — come detto — contro un nemico immaginario.
Non reale, ripetiamolo. Ma percepito come tale. Se questa è sicurezza, allora non ci resta che temere la sua ombra.
Chi governa seminando divisioni non porta ordine: prepara il terreno al caos. Chi strumentalizza la giustizia per fini di consenso, tradirà sempre la giustizia. E chi tace di fronte a questi manifesti — o peggio ancora, li approva — non è un cittadino consapevole: è un complice.
Carlo Gambescia
(*) Un nostro articolo in argomento qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/06/decreto-sicurezza-basta-non-essere-rom.html .
(**) Consultabile qui (p. 27): https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/Regolamento_Pubblicit_e_pubbliche_affissioni__DAC_141_2020.pdf .
(***) Qui una sintesi della vicenda: https://www.adnkronos.com/politica/roma-manifesti-lega-decreto-sicurezza-stop-campidoglio_2hbsz7Pvo0OSWo5Z3OgdPv .

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