Riflessioni
La città giusta
di Giuliano Borghi
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Piero della Francesca – La città ideale
- Galleria Nazionale delle Marche Urbino
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La Città giusta è la conseguenza diretta della volontà e
dell’azione dell’uomo giusto.
L’uomo non può fare che con ciò che ha, ma con ciò che ha può scegliere
come vuole e delle scelte pratiche che compie, oppure non compie, è comunque il
solo responsabile.
Il nemico
è entro l’uomo. Al di fuori dell’uomo “ciò che è” è indifferente ai
desideri e alle manchevolezze umane, sulle quali aleggia beffardo il riso degli
dei.
Per questo, occorre impegnarsi, ancor prima di pensare a ri-formare lo
Stato, ad innescare una preliminare renovatio
antropologica, se si vuole evitare il rischio, trascurandola, di versare il
nuovo vino nei vecchi otri del passato.
- La
Politica è
un’attività autonoma, che ha solo in
se stessa e non fuori di sé, la giustificazione che la legittima: garantire la concordia interna dei cittadini e la sicurezza
esterna dello Stato. Non si può invocare, pertanto, una politica morale, fondata su un principio
eteronomo, non politico. Si può pretendere, però, una indiscutibile morale della politica, che è appunto il bene dei Cittadini e della Città. La Politica, ha, così, una
“morale” e l’uomo di Stato “morale” è colui che sa adempiere nel migliore dei
modi ai doveri che la carica politica gli impone.
E’ quanto insegna il realismo politico di Niccolò Machiavelli, che
“morale”, cioè, è l’uomo politico che
con saggia autorità sa promuovere la grandezza della Città della quale ha assunto il governo. E’ nella sua capacità
operativa di evitare scelte sbagliate e di essere all’altezza del compito
affidatogli che dà “prova morale” del suo agire politico. Governare, infatti,
significa riuscire ad essere efficaci, così che è l’inefficacia ad essere
“immorale”.
Gli uomini hanno accettato, e continuano ad accettare, di vivere
politicamente insieme per vivere meglio.
Alla Politica, dunque, è affidato l’incarico di individuare le forme
migliori e gli attori più capaci a realizzare le condizioni concrete per una vita felice in terra, questa costituendo
la ragione necessaria del vivere insieme.
- Per godere di questa, gli uomini, all’aurora della Modernità, hanno
pattuito volontariamente di obbedire,
in terra, ad altri uomini, nella convinzione certa di avere in restituzione
dell’obbedienza prestata, protezione e
prosperità. E’entro questo preciso patto che hanno fatto rinuncia ai loro
diritti naturali di resistenza e di vendetta. Tutte le pagine di Thomas Hobbes
sono una chiara e vigorosa testimonianza che il “contratto sociale” implica
obbligatoriamente come meta della giusta azione di governo la salus populi, cioè, la protezione e prosperità dei cittadini. E ricordano anche che se
gli uomini continuano a vivere politicamente insieme, è perché trovano un
interesse, un bene, che si presenta loro come la ragion d’essere della
collettività e della loro vita in comune. Al punto tale che se non dovessero
più scorgere bene, oppure interesse, alcuno nel vivere insieme, quello che ne
conseguirebbe sarebbe l’impossibilità stessa dell’unità politica. Alla
Politica, pertanto, i cittadini hanno diritto di chiedere volontà, forza,
capacità per decisioni che perseguano e realizzino il “bene comune”, registrato
quanto meno su quella speciale “amicizia utilitaristica”, indicata da
Aristotele, seppure come ultima, tra le tre autentiche forme di filia capaci di mettere comunque in
forma una società, che si giustifica sull “interesse di tutti”.
- Fine dello Stato è la libertà, ma
nel senso completo che la parola assume, quando con essa si esprima insieme la
meta diretta del benessere materiale e non solo di quello spirituale. E’ il
monito ripetuto nelle pagine di Baruch Spinoza, che sostiene fermamente che non
può esserci vera libertà politica per l’uomo, se a questa non si accompagni
l’affrancamento dalle immediate necessità economiche. Della libertà, infatti,
il criterio discriminante è la sicurezza materiale e morale. Non può esserci,
dunque, vera libertà per il cittadino, se esso non è in grado di godere di una
essenziale autonomia economica. Questa stringenza, a dire il vero, era già nota
fin nell’Atene di Pericle e a questa il legislatore greco aveva dato risposta
con l’introduzione della mistoforia,
cioè con l’elargizione di uno speciale reddito
di cittadinanza, che aveva lo scopo di consentire a tutti i cittadini
ateniesi di esercitare senza preoccupazioni i diritti fissati dalla
costituzione della Polis. Il
calendario politico, in effetti, era diventato oneroso e aveva messo in non
lieve difficoltà i cittadini meno abbienti, che si trovavano combattuti tra il
dovere di partecipare alle sempre più numerose assemblee e il timore di
trascurare, così facendo, le loro necessità materiali. Balza evidente la misura politica, per niente
assistenziale, della mistoforia, in una Polis che faceva della partecipazione
diretta alla vita pubblica il registro eminente dell’essere cittadini, cioè, uomini liberi, al punto che colui che non partecipava non era
considerato un cittadino inutile, bensì un non- uomo.
- Sovrano è colui che
decide. Tutta la magistrale opera di Carl Schmitt è la conferma di questo.
Il cittadino, allora, è davvero sovrano, titolare della sovranità che le
vicende moderne gli hanno conferito in proprio, solamente quando può partecipare direttamente alle scelte
fondamentali della Città alla quale
appartiene e decidere. Se al suo
posto sono altri a decidere, magari
istituzioni bancarie, compagnie assicurative, C.d.A di giornali a queste
fortemente intrecciate, lobby economiche-politiche, consorterie finanziarie
transnazionali poco palesi, è evidente che dire che nella Modernità sovrano è il popolo è un artifizio
retorico e mistificante. Il cittadino,
il popolo, unico titolare della piena sovranità, è costretto a godere, invece
di un mezzo titolo di sovranità e di cittadinanza. In altre parole ad essere
libero a metà. E ancora meno, se non gli dovesse essere restituita anche la
sottrattagli titolarità della moneta,
che gli spetta per definizione e per diritto assieme a quella politica,
economica e giuridica.
Come si può, infatti, chiamare libero un popolo, quando non può disporre della proprietà
della propria moneta?
E quando questa, invece, persiste ad essere in possesso di istituzioni
bancarie private, che badano ai loro profitti privati e mai all’interesse comune dei cittadini ?
- Il bene della Città è uno. Di conseguenza, la
proprietà e il possesso dei beni della Città
è di pertinenza esclusiva dei Cittadini,
che ne potranno concedere il solo uso, sempre revocabile, a quelle istituzioni
politiche, economiche e giuridiche che saranno ritenute di volta in volta
all’altezza che una tale concessione richiede e impone.
- La grande questione di chi debba essere sovrano in “democrazia”, se il
popolo o il denaro, deve avere risposta immediata con una teoria qualitativa della moneta, in opposizione
alle “logiche” imposte dalla finanziarizzazione dell’economia e in deciso
contrasto con la preminenza del sistema bancario. Allora…
***
Per ottenere questo è necessaria una
nuova, più avanzata, definizione della Sovranità: Titolari della Sovranità sono i Cittadini
e la loro sovranità è personale e patrimoniale, cioè
1) I Cittadini hanno la proprietà dei beni ora dello Stato, 2) godono in
comune del reddito del capitale dello Stato come loro diritto soggettivo, 3)
sono i proprietari della moneta.
a) Il possesso e l’uso, cioè l’esercizio della titolarità, è affidato, con
diritto di revoca, dai Cittadini allo Stato in quanto più alta funzione
politica, perché indirizzata per statuto al bene
comune.
Il potere di produrre denaro, sia esso legale o creditizio, deve essere
riservato allo Stato, al quale compete di metterlo in circolazione a seconda
dei bisogni della Città. Per questo,
non ha necessità di finanziare la propria spesa pubblica ricorrendo a prestiti
con tassi di interesse stabiliti dai mercati privati o alle tasse. La funzione
delle tasse, infatti, non è quella di finanziare la spesa pubblica, ma quella
di termometro della salute economica e di intervento strumentale efficace ad
evitare squilibri sociali ed eccessi inflativi acuti.
b) Lo Stato ha tre possibili modi per
sopperire alle sue necessità finanziarie:
- Controllare i servizi pubblici
- Controllare la moneta
- Controllare le finanze
La circolazione della moneta deve riflettere esclusivamente la sua
capacità di produrre ricchezza, le
sue possibilità di sviluppo e di espansione e la necessità di produrre
occupazione. Finalità è la determinazione di una politica economica sana,
sottratta ai vincoli del denaro-debito e
dell’usura. Le banche, oltre alla
custodia attenta del risparmio privato, possono essere dispensatrici del credito sociale. Il denaro, però, è un
semplice strumento di mediazione e quindi non può essere ammissibile che un
mero strumento di transazione come la banca possa perseguire finalità di
accumulazione
E’ abolito il “diritto di signoraggio” e viene introdotta la moneta a
scadenza, non cumulabile.
c) Il finanziamento delle attività
economiche di interesse della Città è
riservato allo Stato e privato di un interesse da pagare per il prestito
elargito. Il denaro non può produrre
denaro
Le banche assolvono una funzione economica e sociale e per questo hanno
diritto ad un equo compenso, ma in
quadro generale dove è lo Stato, in quanto è l’istituzione mediante la quale si
attua lo esercizio della titolarità dei
Cittadini, ad emettere moneta legale e
ad essere il dispensatore del credito,
tramite il sistema bancario.
Il valore del denaro va fatto dipendere essenzialmente dalla destinazione produttiva per la quale
questo denaro viene immesso nell’economia, piuttosto che dalla relativa
abbondanza o scarsità dello stesso rispetto all’insieme di beni e di servizi
che quel denaro, o moneta, ha lo scopo di mobilitare in ogni transazione e
nella sua qualità di “intermediario degli scambi”. In altre parole, è la destinazione qualitativa l’elemento
principale che dà origine al contingente monetario che circola in un dato
momento nell’economia di un dato Paese. Il valore del denaro dipende
fondamentalmente dalla destinazione per la quale tale denaro è stato immesso
nella corrente economica e non per la sua quantità relativa. Di conseguenza,
l’elemento primario per la formazione dei prezzi deve essere la destinazione che viene data ad ogni
“immissione monetaria” .
d) La moneta non va considerata solo
come “intermediario degli scambi”, e come “denominatore comune dei valori”, ma
soprattutto come strumento atto a mobilitare
i fattori produttivi.
In relazione a una politica monetaria qualitativa si
possono prevedere, pertanto, tre forme di credito:
Il credito produttivo, diretto
alla mobilitazione degli eventuali fattori inerti disponibili, vedi, tra altri
possibili, la mano d’opera, per un adeguato utilizzo di essi. Il credito deve
essere dispensato al tasso di interesse
minimo, senza finalità di lucro.
Il credito qualitativo,
destinato alla produzione, deve
essere orientato al raggiungimento della piena occupazione dei fattori
produttivi, in primo luogo del fattore
umano.
Il credito qualitativo, destinato al consumo,
che ha come presupposto fondamentale il risparmio
e beneficiario il singolo cittadino e
non la comunità, deve avere quel tasso di interesse risultante dal punto di
equilibrio tra offerta di risparmio e domanda di risparmio, con finalità di
consumo.
Giuliano Borghi
Giuliano Borghi, docente di filosofia politica nelle università di Roma e Teramo. Ha pubblicato studi su Evola, Platone, Nietzsche, il pensiero tragico e la filosofia della crisi. Si occupa in particolare dei rapporti tra pensiero politico ed economico dal punto di vista dell'antropologia filosofica.