sabato 1 febbraio 2014

La politica estera di Berlusconi 
"Giri di valzer",  
fino a quando?


Come valutare la politica estera di Berlusconi? Da profani, diciamo che andrebbe giudicata dal punto di vista degli interessi geopolitici, storici e attuali, di una media-grande potenza, com'è appunto l'Italia: dell’aderenza o meno alle costanti geopolitiche che ne hanno dettato la politica estera dall’Unità ai nostri giorni.
Ora, sotto tale profilo la politica estera del centrodestra (come quella dei governi di centrosinistra), continua a muoversi lungo i tradizionali binari mediterranei e balcanici. L'Italia, pur dichiarando, come in passato, di essere fedele agli alleati di riferimento (dalla Triplice Allenza alla Nato), continua a guardare, come ha sempre fatto nella sua storia, a Est e Sud. Ferma restando l’opzione "ufficiale" per l’Occidente (rovesciata, solo una volta, e con risultati disastrosi, nella seconda metà degli anni Trenta).
Berlusconi vi ha aggiunto di suo un maggiore attivismo, tipico dell'imprenditore e dell'uomo. Infatti, pur confermando l’opzione americana e israeliana, il Cavaliere ha continuato a sviluppare, a ritmo piuttosto intenso, rapporti economici con la Libia, l’Iran, la Russia e gli stati balcanici e caucasici. Nonché con la Turchia.

Gli statunitensi, per ora sopportano l’attivismo soprattutto geo-economico di Berlusconi (in verità l’attuale amministrazione Obama-Clinton un po’ meno), a causa dell’utile presenza militare italiana in Afghanistan e in altri scenari caldi. Mentre gli europei, in particolare britannici e tedeschi, un po’ meno.
Gli inglesi non vedono di buon occhio l’attivismo italiano in Medio Oriente, e i tedeschi quello verso Russia e Turchia. Anche qui sono in gioco le storiche opzioni geopolitiche di inglesi e tedeschi. Mentre i francesi, per il momento stanno a guardare (come fanno almeno da novant’anni, dalla pace di Versailles). Pur non digerendo del tutto la presenza italiana in Libano.
Ora, qualsiasi dichiarazione politica di Berlusconi (che, a tutti gli effetti, è il Ministro degli Esteri, altro che Frattini…) va letta come rivolta a guadagnare spazio per la sua attiva politica geo-economica. Come ad esempio, da ultima, l’idea dell’ ingresso di Israele nella Ue. Che, difficilmente avverrà, e che per gli alleati europei rischia solo di risolversi, come Berlusconi sa benissimo, nella famigerata “patata bollente”. Mentre consente all’Italia di poter continuare, presentandosi ufficialmente come alleato fedele di Israele, i suoi “giri di valzer” con i nemici mediorientali di Gerusalemme. E tutto ciò è sicuramente molto abile.
Tuttavia vanno segnalati due limiti.
In primo luogo, la politica estera di Berlusconi è di natura geo-economica piuttosto che geopolitica in senso proprio. E questo per ragioni oggettive: le risorse italiane, militari e di materie prime, sono da sempre poca cosa. Di qui la necessità di fare buoni affari con tutti... O almeno con chi eventualmente "ci stia".
In secondo luogo, i “giri di valzer”, sebbene all’interno di quelle che sono le costanti geopolitiche italiane dall’Unità ai nostri giorni, non possono durare all’infinito. Prima o poi la storia mette davanti a scelte precise. Semplificando al massimo: nel 1915, l’Italia scelse l’Occidente, nel 1940 l’anti-Occidente, nel 1945, l’Occidente. Ora, dopo il biennio 1989-1991 i giochi si sono riaperti. Quindi Berlusconi e i governi che seguiranno (anche di segno opposto) dovranno fare, prima o poi, una scelta precisa.
Barcamenarsi all’infinito, anche in modo brillante, quando non si hanno sufficienti risorse militari e di materie prime, non è possibile. Il tenersi in equilibrio tra nazioni e alleanze opposte, implica prima o poi la prova di forza. E una potenza militarmente medio-grande resta tale. Da sola non può farcela. Anche se ogni tanto mostra i muscoli (ma anche questo rientra nei calcolati "giri di valzer" berlusconiani...). Come è accaduto di recente con l'invio all’isola di Haiti della portaerei Cavour. Scelta che ha irritato gli americani (altro che le dichiarazioni di Bertolaso...).

Perciò, ripetiamo, l’Italia prima o poi dovrà schierarsi.

Carlo Gambescia

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