mercoledì 4 dicembre 2013

Letta e Giovannini
 Populismo statistico 



«Abbiamo visto lo scandalo di chi andava all’università in Ferrari»,  fatti  che «feriscono i tanti che hanno bisogno» dei servizi del welfare.  Così il premier Enrico Letta,  a proposito del nuovo Isee varato dal  Governo. E questo sarebbe il linguaggio di un nemico del populismo? Anche Giovannini Ministro del Lavoro non scherza: «Riformare l’Isee è un atto a forte valenza etica, in un momento in cui l’emergenza sociale impone di orientare le risorse disponibili a favore di chi è in uno stato di reale necessità» (http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2013/03/19/Colle-sapiente-rinnovamento-Carta-_9452089.html ).  
Roba da pazzi. Inutile perciò entrare nel merito del provvedimento,  perché intendiamo evidenziare  la logica aberrante che è alla base delle diverse forme di "riccometri": termine di solito preferito dalla stampa compiacente. Perché quello di redditometro (per non parlare della nomenclatura tecnica come nel caso dell'Isee)  è di minore impatto mediatico.
Il ragionamento di Letta e Giovannini   è il seguente :  lo stato  deve aiutare i poveri, ma sulla condizione di  povero decide lo stato… Ecco la “formula”, neppure tanto magica,  del populismo statistico,   dal momento che,  in linea di principio, basta  un solo euro  di differenza,  per passare dalla povertà  alla  agiatezza. Et voilà ,  il miracolo è compiuto,  grazie a un qualche  riccometro,  Già  il nome è tutto programma...  Cosa dire? Che si favorisce, e  stupidamente,  la lotta di classe in una società dove le classi in senso ottocentesco non esistono più. Non solo:  si penalizza   il ceto medio  ritenuto presuntivamente ricco ed  evasore, colpendo intere categorie di soggetti sociali, che  magari solo per una differenza statistica di pochi euro vi rientrano. E per contro si idealizza il "povero", ossia  chi, sempre per pochi euro,  ne  resta fuori. E, cosa più grave, si dimentica che il ceto medio  rappresenta  il  sale della moderna democrazia rappresentativa e di  un'economia aperta.     
Parole forti?  Cerchiamo allora  di ragionare: se i diritti sociali sono universali, come si afferma impugnando la Costituzione alla stregua di un martello, allora devono fruirne  tutti i cittadini, a prescindere dal reddito. Se invece i diritti universali  non sono  così universali,  allora non può  goderne nessuno. 
E invece no: perché  l’universalismo costa, mentre, per così dire,  il privatismo fa perdere voti, almeno in Italia... Cosicché  ci si inventa il  "riccometro",  misura da  presentare  in chiave populista  come etica.  A che scopo?  Decidere  per legge  chi sia povero o meno  sulla base di valori statistici,  tra l'altro manipolabili (il solo euro, cui abbiamo accennato).  Il che, come scientificamente dimostrato dalla scuola italiana di scienza della finanze  più di un secolo fa, accresce il numero di leggi (per salvaguardare le eccezioni introdotte da altre leggi,  dilata la burocrazia addetta ai controlli,  umilia e impoverisce  i cittadini costringendoli a  ricorrere  alla cosiddetta  evasione di sopravvivenza.
I due fenomeni (burocratismo  ed evasione)  finiscono per rinforzarsi a vicenda, cosicché  le casse dello stato restano vuote come le tasche dei cittadini perseguitati dal fisco.  E i servizi  -  si pensi alla sanità italiana - gestiti in chiave di  pubblico-privato continuano ad essere di pessima qualità e terreno di corruzione e scandali.   
Ciò, ripetiamo, spiega perfettamente  il  ricorso di  Letta e Giovannini  al populismoper non perdere voti e  tenere buoni -  mentre li si  spenna -   i cittadini,  di volta in  volta statisticamente trasformati  in soggetti agiati o poveri,  secondo i voleri di un un governo, ma anche di uno stato,  nelle mani  di burocrati (non per nulla Giovannini proviene dall'Istat...),  che continua, a settant'anni dalla caduta del fascismo,  ad autodefinirsi "etico".   


 Carlo Gambescia          

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