martedì 24 dicembre 2013


Il libro della settimana:  Antonio Gnoli  e  Gennaro Sasso, I corrotti e gli inetti: conversazioni su Machiavelli, Bompiani, Milano 2013, pp. 196. euro 11,00. 
(Recensione  a cura  di Teodoro Klitsche de la Grange).



Ricorre in questi giorni il 500° anniversario della stesura del “Principe”. L’indifferenza con cui s’era avviata la ricorrenza si è un poco ridotta. Qualche libro, qualche evento – ma non risulta a carattere pubblico “solenne” – che comunque rompono l’assordante silenzio con cui l’Italia stava dimenticando uno dei suoi pensatori (ed opera) più letti da cinque secoli.
Tra questi è da considerare il libro-intervista di Antonio Gnoli a Gennaio Sasso, uno dei più noti studiosi di Machiavelli.
Scrive Gnoli nell’introduzione che l’analisi di Sasso “rivela, nell’acuta indagine con cui l’interrogato sollecita i testi machiavelliani, una sostanza drammatica che qui vorremmo quanto meno segnalare. Fra i tanti fili, che il lettore potrà tirare, ce ne è uno infatti che Sasso privilegia: il tema della decadenza. Machiavelli ne è interamente compreso”. In effetti Sasso sostiene che “Machiavelli è uno scrittore che ha riflettuto sempre all’interno di una situazione di decadenza. L’atmosfera mentale e al contempo la situazione reale in cui si muoveva, lo indussero a pensare che il problema centrale della politica fosse sì la costituzione di uno Stato, ma, soprattutto, la sua difesa contro la decadenza” e vi ritorna più volte sia col ritenere che “la decadenza è un fenomeno tanto difficile da diagnosticare nelle ‘cagioni’ che la producono, quanto lo è nell’apprestamento degli strumenti indispensabili alla sua risoluzione” e sia sostenendo che occorre un aggiustamento della prospettiva da cui si guarda il pensiero del segretario fiorentino, che negli anni ’40 era considerato soprattutto nel suo rapporto con l’etica e con lo Stato;  mentre secondo Sasso “Machiavelli mi rivelava un volto che si sarebbe lasciato meglio penetrare nel suo carattere se, invece che al tema dell’autonomia della politica o della sua risoluzione nell’eticità, lo si fosse messo in relazione a quello della precarietà e del rischio, nella cui prospettiva la questione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, acquistava un rilievo del tutto particolare. In tal modo, senza averne all’inizio nessuna esplicita consapevolezza, nel Segretario fiorentino scoprii la presenza di un tema alternativo a quelli elaborati dalla filosofia idealistica, che non riusciva, nelle sue formulazioni più rigorose, a concepire l’idea di decadenza”. Hegel, prosegue l’intervistato, ha” un’idea ‘servile’ del negativo, ossia orientata a prospettarlo sempre e comunque nella sua risoluzione positiva in vista di questa”; onde la decadenza è “la laboriosa gestazione del nuovo che alla fine ne sarebbe emerso nel segno della positività”. Machiavelli era assai lontano da ciò, perciò era poco utile a intenderlo “Machiavelli non è un uomo di sintesi, ma semmai di antitesi, di opposizioni, di lacerazioni le quali, posto che si ricompongano, sono sempre esposte al rischio di riprodurre se stesse al di fuori di ogni superiore garanzia sintetica. Da quel momento in poi, il tema della decadenza non mi è più uscito di mente, e si è svolto variamente”.
Tema che Sasso ha dovuto ricomporre con l’altra idea (ricorrente) di Machiavelli, ossia il rapporto tra “costanti” e”variabili” della politica. Per cui il mondo e l’uomo è sempre uguale a se stesso, tant’è che per capire la politica moderna, il segretario fiorentino ne cerca le chiavi interpretative in quello greco-romano. E si meraviglia perché tutti ammirassero opere letterarie ed artistiche degli antichi, ma non si servissero degli insegnamenti che se ne potevano trarre per l’agire politico. Ma accanto alle “costanti” del politico, vi sono le “variabili”: carattere (dei popoli e dei capi); situazioni esterne ed interne, collocazione geo-politica (e altro). Risponde Sasso: “Ai suoi occhi, eterna era la cornice, giacché il mondo non era stato creato da Dio, ma c’era da sempre. Al suo interno le generazioni vanno e vengono, ribadendo, con il loro variare, l’eternità della cornice. E nel variare che si inscrive la decadenza”.
Nell’ultimo capitolo Gnoli sollecita Sasso sulla utilizzabilità dei giudizi e dei consigli di Machiavelli nella successiva storia nazionale, fino ai nostri giorni.
Sfilano le interpretazioni del segretario fiorentino date da De Sanctis, Gramsci, e del Risorgimento come valutato da Gobetti. L’intervistato annuisce alla domanda che la differenza fondamentale tra l’Europa moderna e l’Italia è che manca da noi una concezione statuale e alla domanda successiva “Quelle concezioni statuali sappiamo che daranno vita alle prime forme di assolutismo politico”… risponde “Anche, passando poi per tutte quelle altre forme politiche che l’Europa ha conosciuto con la rivoluzione democratica. Ma in Italia tutto questo non c’è stato. Solo un  lungo sonno della politica”. La mancanza di “sintesi”, che era poi quel che Machiavelli considerava il principale difetto delle classi dirigenti italiane, è continuata “L’inclinazione di questo paese mi pare abbastanza chiara e va nella direzione del ‘tirare a campare’”. per cui “È mancato un potere che sapesse prendere delle decisioni. La politica è anche questo”.
Mentre il Principe di Machiavelli “pur agendo per le spicce, conservava una grandiosa tragicità”. Al contrario i governanti italiani hanno spesso il connotato di un’involontaria comicità, mascherata da una pomposa autoreferenzialità (che non è però carattere esclusivo della classe politica, ma s’estende anche all’aiutantato burocratico, e contagia larga parte della classe dirigente). Per cui gli italiani, dice Sasso, hanno confuso la Mandragola con il Principe: là si perseguivano interessi individuali e privatissimi, qua il Principe può essere crudele ma comunque deve comunque conseguire quello pubblico.
Chi scrive non è d’accordo con le tesi espresse nella chiusura dell’intervista: alla domanda se il “Principe possa essere una buona bussola”; per l’oggi, Sasso risponde distinguendo “l’idea suggestiva che la politica sia forza e che non bisogna essere ipocriti come coloro che vi colgono solo la persuasione e l’edificazione morale, questoIl principe ancora oggi lo insegna. Poi, è chiaro che, se la politica è forza, questa si esprime in vari modi. Ma resta un requisito necessario. La debolezza della politica italiana è che non ha mai saputo usare la forza se non in modo degenerato e mai nel senso giusto, per far vivere le istituzioni”. Perché la forza è “l’energia per costituire un ordine civile”; con ciò non si può che essere d’accordo perché un ordine che non comporti un tasso di coercizione non s’è mai visto al mondo.
Ma si dissente quando Sasso sostiene “No, se si ha presente il quadro di riferimento politico istituzionale. No, perché l’Italia di allora non era in niente simile a quella di oggi”. Nella realtà e in particolare sul concetto di decadenza così attentamente analizzato dall’intervistato (ma non solo) le idee di Machiavelli, non solo quelle esposte nel Principe - sono un ottimo paio di occhiali  per interpretare l’attualità. In particolare quella italiana del secondo dopoguerra.
Il concetto di ciclicità – e quindi di decadenza – è adoperato dal Segretario fiorentino più volte, in particolare in relazione alla successione “classica” delle forme politiche, con periodi ascendenti e periodi di decadenza, cui succede una nuova forma (aristocrazia dopo monarchia; democrazia a seguito della caduta dell’aristocrazia e così via). Le èlites di Pareto e la formula politica di Mosca erano la trasposizione ri-elaborazione in termini moderni di questa ciclicità. Ora, ad applicarla all’Italia dal1945 in poi appare evidente che gli ottimi occhiali di Machiavelli consentono di notare due circostanze fondamentali, l’una descritta nel VII capitolo del Principe “Coloro e quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica diventono, ma con assai si mantengono; e non hanno alcuna difficultà fra via, perché vi volano:ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti”; e per l’appunto la classe dirigente dell’ultimo dopoguerra fu intronizzata “alienis armi et fortuna”, a seguito di una sconfitta militare e per volontà dei vincitori. L’altro e più generale che se la natura umana è sempre la stessa (regolarità) le circostanze cambiano (variabilità); mentre la classe politica al potere dal dopoguerra – o meglio quel non molto che rimane dei partiti ciellenisti - da un lato non ha tratto le conseguenze del momento storico successivo, cioè del crollo del comunismo che ha fatto cessare la precedente opposizione amico-nemico (e non solo), e dall’altro fa mostra di credere a una bizzarra eternizzazione (imbalsamazione) della forma politica, espressa nella Costituzione vigente, alla quale Sasso non risparmia critiche assai centrate. E che avrebbe espresso anche il Segretario fiorentino, se nostro contemporaneo.
                                                                                    
Teodoro Klitsche de la Grange
                                                                                                


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (http://www.behemoth.it/). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013)

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