Caro Popolo Italiano,
se invece di dare retta alle gazzette, che ormai non servono neanche più a
incartare il pesce perché l’inchiostro stinge e ti rovina il branzino, leggessi
regolarmente il metacoso, il blog di Carlo Gambescia, non crederesti a tutte le
panzane che ti spacciano, tipo quelle che vanno per la maggiore sul naufragio
della Concordia.
Va bè: per stavolta ti perdono e ti scodello, calda calda e gratis, la verità
sul naufragio della Concordia così come me la trasmettono a mezzo visione
certificata le mie fonti al Santuario di Delfi. La prossima volta, però, mi
bonifichi un centinaio di buoi, che qua le ecatombi mi costano un occhio della
testa.
E via con la vera storia del naufragio della Concordia.
Dunque, intanto la Concordia
non è una nave italiana ma americana, perché nel 1997 gli armatori Costa si
sono venduti per 445 miliarduzzi di lire alla Carnival Corporation che di navi
da crociera ne ha cento, e in crociera ci sono andati loro perché erano
stanchi, poverini. Però visto che gli americani sono persone gentili e il
marchio Italia, Gondola & Mandolino tira ancora, nel settore entertainment
per il popolino, hanno tutti fatto finta di niente, così sembra che sia ancora
roba vostra e ci fate più bella figura.
E’/era un bel bestione, la
Concordia: tredici ponti, intitolati ciascuno a uno Stato
dell’Unione Europea: Olanda, Svezia, Belgio, Greica, Italia, Gran Bretagna,
Irlanda, Portogallo, Francia, Germania, Spagna, Austria e Polonia. Ospita (va)
il più grande Centro Benessere galleggiante del mondo, il Samsara Spa. Samsara
è il nome del ciclo interminabile delle reincarnazioni nella religione indù,
vale a dire la pesantissima catena di colpe e illusioni che impedisce agli
umani di riunirsi a Dio, per chi ci crede cioè forse gli indiani, qua pochini.
Spa non vuole dire società per azioni ma stabilimento termale in tedesco. L’ha
battezzata nel 2005 nei cantieri di Sestri Ponente la modella Eva Herzigova,
badante slava niente male però scema, perché il proverbiale magnum di champagne
non si è rotto contro la fiancata, cosa che notoriamente porta male.
Insomma: la Concordia
sarebbe quella garantita fra gli Stati europei, la bandiera sarebbe quella
italiana, i padroni non “sarebbero” ma sono gli americani, e tutto sto’
baraccone di allegoria da discount è andato a sbattere. Vedi un po’ tu, popolo
italiano, se il megasimbolo in saldo postnatalizio ti interessa. Io per me dico
che non solo non c’è più religione, ma anche i segni del Fato sono scaduti a un
livello da Lumpen e che ci rovinano la piazza, a noi indovini. Alle nostre
proteste, Delfi replica con ciance sulla liberalizzazione delle professioni,
sulle caste, sulla democrazia, sulla libera concorrenza e altri Misteri
Eleusini, però intanto si fa pagare in franchi svizzeri, quando propongo gli
euro cade la linea.
Andiamo avanti. La Concordia
sarebbe naufragata all’Isola del Giglio. Balla clamorosa e anche sfacciata,
perché con l’allusione botanica anche un deficiente mangia (è proprio il caso
di dirlo) la foglia. Giglio, macché giglio! No, bimbi, guardate le cartine:
quella lì è l’Isola dei Lotofagi, celeberrima nei giri più elitari del jet set
mondiale.
Perché celeberrima, chiedete voi che nel jet set non ci state? Perché all’Isola
dei Lotofagi non solo la droga è legale, ma è gratis e non fa male. Cioè, tu
vai lì, entri al bar, dici, “Mario, oggi cosa mi consigli?” e Mario il barman
ti serve uno dei mille cocktail da lui sapientemente ricavati dal principio
attivo del Loto, pianta di esemplare modestia che fa spuntare dal fango (per
non dire dalla emme) il suo fiore d’un bianco virginale, commovente come il
vestito della prima comunione di tua figlia. Tu te lo bevi e sballi
all’istante, ma stai bene, niente problemi di cuore, di naso, di niente! Mai
stato meglio! Perché non solo non pensi più ai tuoi guai di adesso, ma ti
dimentichi di botto tutti i tuoi guai di ieri, di ieri l’altro, di sempre!
Cioè, non ti ricordi più un cavolo! Non ti ricordi più dell’ingiunzione di
Equitalia, della lettera minatoria dell’avvocato della tua ex moglie, della tua
ultima amante che ti ricatta coi filmini porno (tu protagonista), delle
geremiadi lacrimose dei tuoi ex operai rimasti sul lastrico quando hai
delocalizzato, degli anni che passano, del tuo urologo che scuote la testa, dei
tuoi figli che telefonano solo quando gli bloccano la carta di credito, etc.,
etc. Zero ricordi, zero tituli, zero via zero! Capito adesso, popolo, perché il
jet set non ti ci invita, all’Isola dei Lotofagi?
E andiamo avanti con ‘sto svelamento dell’enigma che mi aspettano al
ristorante. Balla numero non mi ricordo più, il capitano della Concordia non si
chiama Francesco Schettino, nome ridicolo ma anche qui pesantemente allusivo.
“Schettino”, cioè un pattino a rotelle solo, ma dai! Mai visto uno che
schettina sull’acqua? Ma neanche quell’ebreo, come si chiama…Gesù Cristo. Con
uno schettino solo, poi, cascherebbe per terra o perlomeno zoppicherebbe, dai!
E qui c’è il trucco, l’allusione sfacciata e arrogante degli inventori di
questa megaballa. Perché dicono i filologi, e Delfo conferma, che c’è un altro,
un ben altro capitano di mare che zoppica! Ci siete? Fuochino? No?! Sveglia,
ragazzi! Lo conoscete anche voi! E’ Ulisse, no? Ulisse è un soprannome, come l’etrusco
Clausus da cui deriva Claudio, e vuole dire zoppo.
Lo so che avete un attention span di tre minuti, ma resistete un altro po’ che
ormai ci siamo, dopo voi potete andare alle pagine sportive e io a mangiare.
Allora: il capitano Ulisse Berlusconi, pardon, Bernasconi, il grande eroe,
santo, poeta, navigatore, cantante confidenziale, oltretutto pieno di soldi,
stava al timone della Concordia, guidandola in un periplo culturale del
Mediterraneo, il Mare Nostrum cioè Vostrum, remember?
Nella quotidiana familiarità con l’umile gregge dei suoi passeggeri – trecento
parrucchieri addetti al suo trapianto di capelli , pensionati ben forniti di
Viagra, lavoratori autonomi ignoti al fisco ma non al suo cuore paterno,
impiegate pubbliche assenteiste e sognatrici, insomma di italiani – il capitano
Ulisse tanto si compenetrò dei meriti e bisogni del popolo a lui affidato, che
un giorno, salito sulla tolda della Concordia, così arringò le plebi: “Je vous
ai compris! Io vi ho capiti, poveri sfigati! Non siete fatti per viver come
bruti, ma per cuccare un po’ di bella vita anche voi! Dov’è Italo, dov’è il
Nocchiero? Ah, sei qua, che parrucchiera ti trombavi? O Italo! O Nocchiero! Fa’
rotta sull’Isola dei Lotofagi!” E zàn, la Concordia alza le vele (si fa per dire, cià dei
diesel che ti spostano il Peloponneso) e fa rotta verso il paradiso.
Artificiale, va bè: ma te cosa credi, popolo italiano, che c’è anche quello
vero? Ah, ecco.
E la nave va. Avvistamento delle coste dell’Isola dei Lotofagi, piccola vedetta
lombarda, “Terra, terra,” etc., solito can can. Sul più bello, ma porca boia,
drin! Squilla il telefonino del capitano Ulisse, maledetto! Numero privato,
numero sacro! Il capitano Ulisse risponde, e capirai se non è Afrodite. “Ve’,
ciccio, qua le Ninfe mi fanno una testa così! Cosa gli vai a promettere
l’Olimpo per due suonatine di flauto, cretino! Quella civetta di Atena è andata
a spiattellare tutto a papà Zeus! Prendi su il libretto degli assegni e vieni
qua subito, sennò te lo taglio!” Tenendosi una mano dove immaginate, il
capitano salta sull’elicottero e sparisce all’orizzonte, salutando con l’altra
manina.
“Belìn!” fa Italo il Nocchiero, “Capitano! Capitano Ulisse, dove va?! Io non la
so mica la rotta! Sulle carte non c’è, porca Era! Qua è tutto uno sco…” E
SBADABAM, detto fatto la
Concordia va a sbattere sul mitico (s)coglione.
Casino tipo Titanic o Mai dire banzai, etc. Un po’ di vecchi ci lasciano la
ghirba, dispiace ma tutto sommato li tiriamo giù dalle spese che l’INPS è
contenta. Sbarco fortunoso di passeggeri ed equipaggio, saltiamo tutta la
descrizione, OK? Che tanto l’avete già visto in TV, come in Lost solo con la
nave invece che l’aereo.
I naufraghi arrancano, arrivano in piazzetta, gran bel posto, di classe, e si
accalcano al bar. Per fortuna c’è Mario il barista, un grandissimo, che non fa
una piega e signoreggia l’invasione barbarica da par suo. “I signori
desiderano?” Mario raccoglie tremilacinquecento ordinazioni diverse senza
prendere appunti, e senza sbagliarne una le serve con eleganza in dodici minuti
netti. Il popolino dei naufraghi fa conoscenza con il prodotto locale,
l’inimitabile Loto, e un istante dopo questa decisiva agnizione non gliene può
fregare di meno del naufragio, della Concordia, dei dispersi, dei morti, della
class action contro gli armatori di cui tutti hanno parlato fitto fitto durante
i perigliosi frangenti appena trascorsi, insomma di tutto.
Da quel fatidico istante, (ex) passeggeri ed (ex) equipaggio della Concordia si
sono piazzati negli alberghi circonvicini al bar di Mario (tanto mica pagano
loro, ci penserà l’assicurazione degli americani) e trincano Loto dalla mattina
alla sera, fatti come biglie e contenti come pasque.
L’unico che un po’ guasta la festa è Italo il Nocchiero, che ha l’inveterata
abitudine di alzarsi prestissimo, prima che apra il bar di Mario. Intanto che
ciondola lì davanti in attesa che Mario tiri su la serranda, parla da solo,
Italo, il rude Nocchiero dal cuore di bambino.
“Belìn, dov’è che andavamo? Dove, dove, dove, per i peli di Poseidone?! Ce l’ho
sulla punta della lingua!” Lunga pausa, con Italo che si accende una meditativa
MS e fissa a bocca aperta l’eterno ipnotico moto delle onde, il volo dei
gabbiani, etc. “Ma sì! Ma certo! Dovevamo tornare a casa, a I…a Ita…”
E lì, Italo butta la cicca e smadonna tutte le Nereidi. “Belìn, non mi ricordo
più! Com’è che si chiamava? Ita…Ita…Itaca? No, no, no Itaca, porc… (bip)”
Poi per fortuna arriva Mario, tira su la serranda, fa entrare il povero Italo,
lo mette seduto al tavolino a leggere il “Corriere dei Lotofagi”, e lo tiene in
chiacchiera intanto che gli mixa un cocktail dei suoi, e glielo serve bello
fresco nel cristallo scintillante.
“Bè? Com’è, Italo?” fa Mario mentre Italo centellina. “Mario, sei un mago!” (è
una coincidenza, Italo non ha letto Thomas Mann) “mi fai passare tutti i
magoni!” gli risponde il Nocchiero Italo, col suo faccione adusto che si
distende in un sorriso beato. “Sai come diceva il mio nocchiero, quand’ero marò
sulla Conte di Cavour? Gennarino Scardamocchia, che marinaio! Quando ci beccavamo
il cazziatone del primo ufficiale, Gennarino diceva sempre: ‘Chi ha dato ha
dato ha dato, chi ha avuto ha avuto ha avuto, scurdammoce o’ passato, simm’ ‘e
Napule, paisà!’ Va là, Mario, fammene un altro e segna in conto, eh?”
Bon, popolo italiano, questa è la vera storia del naufragio della Concordia. Ci
sarebbe un epilogo sul capitano Ulisse in grossi casini perché a casa sua ci
sarebbero certi Proci che gli trombano la moglie e gli rubano tutto, cosa anche
prevedibile avendole egli messo più corna che in un cesto di lumache, ma sono
da un canto voci non confermate, dall’altro cavoli suoi. Fine vera storia del
naufragio della Concordia.
Caro Popolo Italiano, io dixi, et salvavi animam meam. Tu vedi un po’ di
salvare il culo tuo.
Saluti e baci, tuo