mercoledì 22 giugno 2011


Un libro (discutibile) di  Gustavo Zagrebelsky 
A scuola di democrazia? 
Sì, ma con giudizio




La domanda non è tra quelle che spingono a leggere un post… Ma noi ci proviamo lo stesso: la democrazia può essere insegnata e quindi imparata da cittadini-studenti? Non è facile rispondere. Si può dire, semplificando al massimo, che a differenza degli antichi, che preferivano studiare la democrazia e le sue degenerazioni, i moderni hanno preteso, da subito, senza troppi approfondimenti, di insegnare la propria a tutti cittadini, come la migliore e l’unica. Un esempio del primo tipo è dato dall’opera politica di Aristotele. Mentre del secondo, dal pesante pedagogismo liberal di Dewey, uno dei padri del pragmatismo filosofico americano.

Quanto all’Italia, si pensi a certa pedagogia politica democratico-risorgimentale, non sempre di buona lega. Il che non significa che tra i moderni siano mancate figure dedite allo studio della democrazia. Ne citiamo solo uno, croce e delizia, di generazioni di studenti di storia delle dottrine politiche: Charles-Louis De Secondat, Barone di Montesquieu. Un pensatore affascinato dallo studio della “natura” e del “principio dei Governi”, spesso malamente assimilato, proprio dagli studenti …Non desideriamo però annoiare il lettore con spocchiosi rimandi e citazioni o con un generico invito a potenziare lo studio dell’Educazione civica a scuola. Prima di tutto, infatti, rimane un problema di mentalità democratica da risolvere. Perciò facciamo subito un esempio. Ecco, si prenda, il libro di Gustavo Zagrebelsky, Imparare democrazia (Einaudi), scritto appunto da un giurista, vero nume tutelare, ideologicamente parlando, del “Partito” rappresentato dal quotidiano la Repubblica, alle cui pagine, come si usa dire, laiche, democratiche e antifasciste, il professore attivamente collabora.
Zagrebelsky può essere definito un “moderno”, perché interessato alla pedagogia della democrazia. Però ne parla, senza dare alcuna preventiva definizione del politico in senso puro, schmittiano. Insomma, senza il necessario riferimento all’ astoricità e universalità - pardon, per i paroloni - delle tre categorie di individuazione del nemico, decisione e conflitto. Il che, purtroppo, non facilita lo sviluppo di una pedagogia democratica né di una matura teoria della democrazia, né di una mentalità sinceramente democratica. Certamente, Zagrebelsky, forse proprio perché giurista, ha una visione nobile della democrazia come idea regolativa, fondata sull’ uguaglianza e sull’ espansione dei diritti. E soprattutto, come missione che riguarda da vicino ogni cittadino responsabile. Di qui, a suo avviso, l’importanza di una pedagogia democratica, tra uguali, basata sull’esempio e sulla diffusione di una comune consapevolezza civica e civile: la « sua ricompensa [dell’ideale democratico] sta nello stesso agire per realizzarlo», così scrive, lapidario.
Tuttavia l’ analisi di Zagrebelsky, resta sospesa tra la norma (come deve essere la democrazia) e la descrizione dei fatti (com’è in realtà). Non c’è ponte tra i due aspetti, come del resto tuttora mostrano tanti manuali scolastici di Educazione civica, vuoti e retorici. Per quale ragione? Perché l’impianto normativo-pedagogico del suo pensiero non può consentirlo. Ad esempio, si pensi all’accento posto da Zagrebelsky sull’importanza ideale del dialogo tra eguali in democrazia, come fattore pedagogico per eccellenza. Il che è vero in teoria, ma non sempre in pratica. Esistono, infatti, all’interno della nostra stessa cultura politica sostenitori di altre forme di democrazia: socialista, locale, diretta, federale, eccetera. I quali hanno idee profondamente diverse dell’eguaglianza: economica, sostanziale, territoriale, eccetera. Vanno insegnate anche queste ultime, soprattutto a scuola, oppure no? Inoltre, si pensi alle questioni ecologiche, sulle quali spesso le popolazioni locali insorgono in nome di interessi particolari. Sono anche queste forme di democrazia degli uguali, oppure no? Per non parlare del conflitto in atto fra le democrazie occidentali e fondamentalismi religiosi. I quali si appellano, a loro volta, a un’idea di democrazia “comunitarista”, totalmente differente, o comunque non uguale alla nostra…
A queste domande Zagrebelsky non risponde… Salvo porre l’accento sulla bontà assoluta dei valori occidentali, quale base minima (ed egualitaria…) per stabilire un proficuo dialogo universale. Il che è veramente paradossale. Perché si tratta di valori-base non condivisi da tutti. Ecco allora - se ci si passa la rozza metafora - rientrare dalla finestra, il conflitto, in precedenza, fatto uscire dalla porta principale. Che ne facciamo, professor Zagrebelsky dei cattivi studenti in democrazia occidentale? Li convertiamo, “dialogando” a suon di bombe e missili?
Ricapitolando, si può insegnare ( e quindi imparare) la democrazia? Sì, ma con giudizio. E in che modo? Confidando nell’idea che quella che si sceglierà di insegnare (e quindi imparare), sarà sempre una, tra le tanti forme esistenti di democrazia, e non l’unica o la definitiva. La democrazia, in ultima istanza, è dialogo tra diversi, mai tra uguali.

Carlo Gambescia

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