lunedì 25 ottobre 2010

Simpatie...
Perché ci piace Marchionne


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Nel marasma politico ed economico italiano, dove politici, imprenditori e sindacalisti dicono una cosa e ne fanno un' altra, l’unico che sembra puntare sulla trasformazione delle parole in fatti è Marchionne.
Attenzione, non ci piace per quello che dice, ma per come lo dice… Si prenda l’intervista a Fazio - altro bel campione dell’ipocrisia italiana, languidamente sbilanciata a sinistra e con a casetta (sulla Senna, of course) il filippino in livrea... Bene, Marchionne ha espresso chiaramente il suo pensiero, senza remore buoniste, su una certa idea, chiara e precisa, dell’Italia. E soprattutto sull’innegabile ruolo storico della Fiat, nonché sulla necessaria ma non obbligatoria collaborazione della grande azienda automobilistica con lo Stato. Prendere o lasciare (*). 

Marchionne ricorda nello stile quei borghesi più "leoni" che "volpi", che tanto piacevano a Pareto. Consapevoli di giocare un ruolo di classe e in grado di battersi fino alla morte, senza esclusioni di colpi. E soprattutto in modo coerente rispetto all' ideologia borghese.
Qui perciò servono risposte altrettanto precise e chiare da parte di Stato e sindacato. E non parole vaghe (Sacconi, Uil e Cisl) sui soli benefici della “cassa integrazione” o su pur importanti diritti ma con pochi doveri ( Cgil e in particolare Fiom), magari giocando - solo giocando... - alle obsolete e narcisiste liturgie di massa o all' occupazione delle fabbriche in stile 1920, per scambiare il tutto, alla fine, con il solito osso con pochissima polpa.

Detto fuori dai denti: occorrono una politica industriale degna di questo nome e un sindacato, realmente riformista, capace di imporre impegni precisi, diremmo ferrei, sullo scambio tra aumenti di produttività e crescita dei salari .Il resto è fuffa.
E Marchionne l’ha capito.


Carlo Gambescia


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