giovedì 14 ottobre 2010

Il libro della settimana: Nikolaj Berdjaev, Schiavitù e libertà dell’uomo, testo russo a fronte, saggio introduttivo, traduzione e note di Enrico Macchetti, Bompiani 2010, pp. 678, euro 30,00.

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Nikolaj Berdjaev, scomparso settantenne nel 1948, non è mai stato un pensatore mainstream, come si usa dire oggi. Già ai suoi tempi poco amato dai materialisti, dialettici o meno, snobbato dagli idealisti, sgradito a storicisti, scientisti e utopisti. Per non parlare di tradizionalisti (di qualsiasi fede, inclusa la cattolica), progressisti e scettici appartenenti alle più diverse parrocchie del pensiero dubitante. Un isolamento mai cessato. Berdjaev, enciclopedico profeta di un indocile esistenzialismo cristiano, resta tuttora per molti un pensatore ingombrante e non classificabile, soprattutto secondo il canone del dominante illuminismo bioetico.
Allora che fare? Non parlane più? Lasciare che Berdjaev resti in soffitta, tra le buone cose di pessimo gusto, per dirla con Gozzano? Mai e poi mai. E qui giunge opportuna, come occasione per (ri)leggerlo e cogliere la forza evocativa del suo pensiero, la bella edizione, curata ottimamente da Enrico Macchetti, di Schiavitù e libertà dell’uomo, (Bompiani, Milano 2010, pp. 678, euro 30,00). Opera uscita nel 1939, durante gli anni dell’ esilio francese, dove il pensatore russo riesce a condensare mirabilmente la sua intera esperienza filosofica.
Il sottotitolo recita: “Saggio di filosofia personalistica”. Per quale ragione? Perché l’esistenzialismo di Berdjaev non rimanda alla pura riduzione dell’esistenza alla pura “cura” di essa, ma allo sviluppo della persona quale immagine di Dio.
Messa così, probabilmente resta piuttosto dura da digerire, soprattutto per il non credente. Comunque sia, il riferimento non è al Dio dei teocrati, ma al Dio della Croce: il Dio evangelico della sofferenza e dell’amore; figura che non può non turbare, almeno emotivamente, tutti, credenti o meno. Certo, l'emozione in sé è poco, ma forse può essere un primo passo.
Scrive Berdjaev, in pagine di grande onestà spirituale:
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“Questo è il personalismo del Vangelo. La liberazione spirituale è la vittoria sul potere dell’estraneità. Questo è il senso dell’amore. Ma l’uomo diviene facilmente schiavo, non accorgendosene. Si libera perché dentro di lui c’è un principio spirituale, la capacità di non essere determinato dall’esterno. Ma la natura umana è così complessa e la sua esistenza è così intricata che l’uomo può cadere da una schiavitù all’altra, cadere in una spiritualità astratta, nel potere deterministico dell’idea generale. Lo spirito è uno, integro, ed è presente a ogni atto proprio. Ma l’uomo non è spirito, soltanto possiede lo spirito, e per questo negli atti spirituali stessi dell’uomo è possibile la disgregazione, l’astrazione, la degenerazione dello spirito. Una liberazione definitiva è possibile soltanto attraverso il legame dello spirito umano con lo spirito di Dio. La liberazione spirituale è sempre un rivolgersi a una spiritualità maggiore che non il principio spirituale nell’uomo, un rivolgersi a Dio. Ma anche il rivolgersi a Dio può essere colpito dall’infermità e trasformarsi in idolatria. Per questo è necessario una purificazione costante” (pp. 627-628).
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Il tema “della purificazione costante” è l’altro aspetto fondamentale del libro (e del suo pensiero). Come difendersi, si chiede Berdjaev, dalle “signoria” delle idee umane che contraddice la dignità della persona? “Signoria” che si incarna nel teocratismo, nel nazionalismo, nell’ utilitarismo e nel sociologismo? In un solo modo: accettando il continuo conflitto interiore con il mondo. Dal momento “che non tutto l’uomo può essere socializzato”. Insomma, la “persona” nasce e si forma grazie “alla contrapposizione al potere del male mondano, il quale ha sempre la sua cristallizzazione sociale” (p.179).
Insomma, siamo davanti a una filosofia per coraggiosi in Cristo, per “persone” capaci di sfidare il potere umano e soprattutto le sue "reificazioni". Una filosofia del coraggio cui però Berdjaev affianca una sociologia del soprannaturale: dove il conflitto con il potere rinvia non alla demoniaca e temeraria tentazione di tramutare le pietre in pane, ma all’ onesta accettazione di una realtà superiore che salva e redime nello spirito. Dunque nell’Al di là, non nell’ Al di qua.
Il che, come Berdjaev ben sapeva, resta tragico ed esaltante al tempo stesso. Proprio come il suo pensiero.

Carlo Gambescia


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