giovedì 11 giugno 2009

Il libro della settimana: Mario La Ferla, L’altro Che. Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante, Stampa Alternativa, Viterbo 2009, pp. 216 , euro 14,00.


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Dispiace non poter recensire positivamente L’altro Che. Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante, (Stampa Alternativa, Viterbo 2009, pp. 216 , euro 14,00), scritto da un bravo giornalista come Mario La Ferla, già inviato speciale dell’ “Espresso”. Forse perché, dopo per aver letto alcune recensioni favorevoli, ci aspettavamo troppo. Pertanto La Ferla non ce ne voglia. Del resto nessuno è perfetto, incluso l'autore di questa recensione.
Si tratta di un libro, per dirla subito fuori dai denti, che rappresenta il meglio e il peggio di certo giornalismo culturale. Dedito alla celebrazione feticista del come eravamo, senza preoccuparsi troppo del come siamo diventati.
Ma veniamo al dunque.
Lato positivo: La Ferla si occupa in modo post-ideologico e sciolto di un tema caldo, quello del mito del Che nella destra fascista e postfascista.
Lato negativo: lo svolge però in modo impolitico. Trascura le differenze politiche tra destra e sinistra, diluendole nel solito brodo generazionale comune, targato Sessantotto, in bilico, come per decreto legge, tra il c’eravamo tanto armati e il c’eravamo tanto amati.
Da questa angolatura quelli che hanno letto Fascisti immaginari di Luciano Lanna e Filippo Rossi (Vallecchi 2003), vera e propria enciclopedia del destro-pensiero in stile "Gambero Rosso", non troveranno nulla nuovo. Anche in termini di un' atmosfera, molto romanesca, all'insegna del "volemose bene, semo tutti sessantottini, pure i fasci"...
Oddìo, sempre meglio delle bombe. Però si muore anche di diabete.
Mentre quelli che non hanno neppure spulciato il Lanna-Rossi, scopriranno con stupore il cuore nazionalrivoluzionario di Pier Francesco Pingitore, fondatore del Bagaglino, che scrisse nel 1967 una toccante canzone in memoria del Che, cantata con voce non ancora arrochita da Gabriella Ferri: Addio Che/la gente/come te/ non muore/ nel suo letto/ non crepa di vecchiaia. Addio Che/sei morto nella valle/e non vedrai morire/la tua rivoluzione. E cosi via, lungo le corde del sincero e ribelle rimpianto per un eroe di sempre.
Ma veniamo alla “ciccia” del libro. Rappresentata da un non banale capitolo sulla passione per il Che di Gabriele Adinolfi, già Terza Posizione e tante altre cose, oggi lucido ideologo di un argomentatissimo fascismo postmoderno. Un bel pezzo di giornalismo d’inchiesta che però va a incagliarsi in un testo a tratti prolisso e dall’andamento discontinuo, se non caotico . Che fa pensare a una specie di lunghissimo articolo, dilatato fino a superare le duecento pagine.
Perché - in contrasto con il pronunciato ecumenismo del libro - proprio la cristallina passione adinolfiana per il Che, fa capire come a destra il mito del Comandante, sviluppatosi negli anni Sessanta all’interno del fascismo di sinistra, sociale, rivoluzionario e antiamericano, sia tuttora vissuto e coltivato dagli ultimi moicani, di un fascismo immenso e rosso, come una cameratesca propaggine del romanticismo fascista. Un Che assai diverso da quello marxista, terzomondista e antimperialista, caro alla sinistra, pur con sfumature differenti, dettate dal tempo, dagli incerti della storia e dai Veltroni di turno. Ma comunque sia, esito di due di concezioni della politica e della società molto diverse: gerarchica a destra, egualitaria a sinistra.
In Adinolfi, di cui vengono citati alcuni scritti importanti sul Comandante, il mito del Che, eroe romantico (comunista per caso, pare di capire), poggia su una visione guerriera e differenzialista, per usare un lessico più alla moda, che piacerebbe a Lanna. E solo i guerrieri, come nell' antica Sparta (altro mito, fascistissimo...) , sono eguali tra di loro... Insomma l'eguaglianza è fra guerrieri, non fra proletari e guerrieri. E il punto purtroppo non è colto da La Ferla. Il quale sembra più attento a scorgere le superficiali somiglianze modaiole tra una destra e una sinistra "post-tutto", che le importanti diversità di fondo, politiche e sociologiche, qui ricordate.
Quanto al Mito del Che all'interno di An, oggi PdL in tenuta extralarge Fini-Berlusconi, La Ferla sembra accettare la versione del Lanna-Rossi (da lui considerato come una specie di "Castiglioni-Mariotti" della lingua post-fascista ...) , di un Che digerito e inserito a pieno titolo nel Pantheon della destra, in particolare giovanile.
Cosa in parte vera e in parte falsa. E non lo si può capire se non si coglie, come appunto succede a La Ferla, la differenza politica e ideologica tra quel che resta della destra extraparlamentare, dura e pura, e quella parlamentare e giornalistica, dedita al modernariato politico. Ci spieghiamo.
Se per Adinolfi il Che resta un eroe guerriero in carne e ossa, il cui mito potrebbe tornare buono, per la rivoluzione prossima ventura; per Lanna e Rossi, ormai sedutisi, e da un pezzo, il Che è più che altro un gadget, da esibire insieme a Tex Willer e Corto Maltese sul paginone del Secolo d'Italia. Un eroe di carta. Anzi una miniatura in plastica di un improbabile "Subbuteo" delle idee, con cui divertirsi e far divertire, qualche ragazzotto incravattato e in rigato che studia da parlamentare o da ministro del PdL. Sempre ammesso che apra il Secolo.
Povero Che. Da Castro a Berlusconi.

Carlo Gambescia 

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