Fenomenologia della bandiera
Vogliamo parlare seriamente delle bandiere
"bruciate" dal punto di vista di una sociologia dei fenomeni
culturali e collettivi ? Insomma, andare oltre le pure e semplici polemiche
politiche di questi giorni?
Secondo una certa vulgata occidentalista chiunque
profani, magari bruciandola, una bandiera nazionale, o al contrario la esibisca
troppo, fino a sacralizzarla, peccherebbe di tribalismo: sarebbe una sorta di
troglodita. A differenza dell' homo occidentalis, che proprio perché
civile e progredito, sfogherebbe il suo "presunto" bisogno di
simboli, solo comprando abiti e scarpe griffati.
Di riflesso ogni comportamento, come è accaduto di
recente, che si discosti da questa impostazione etnocentrica, viene
regolarmente demonizzato.
La vera questione invece è che un fenomeno così
complesso, come il simbolismo di una bandiera, non può essere spiegato,
degradandolo a una specie di anello concettuale di congiunzione tra la scimmia
e l'uomo.
Prendiamo ad esempio un evento collettivo interessante
come quello delle bandiere della pace, esposte su molte finestre. Questo
fenomeno spiega, come il presunto bisogno tribale di identificazione tra causa
e bandiera sia molto forte, anche in ambienti che fanno del dialogo razionale,
non solo tra le persone ma addirittura tra i popoli, una ragione filosofica e
di vita. Una scelta condivisibile, che tuttavia, qualche volta, e in modo
apparentemente inspiegabile, sfocia in episodi sgradevoli. Come è avvenuto di
recente.
Come spiegare la persistenza di certi comportamenti
collettivi di tipo simbolico? Bandiera e rituali connessi, non sono fenomeni
tribali, ma rinviano a un fondo "animistico", ancora presente e
attivo nell'uomo. Un "basso continuo" che consiste nell'innata
capacità dell'uomo di considerare tutte le cose, animate da spiriti vitali. E
di ritenere il principio o i principi che le incarnano come una specie di forza
superiore.
Ad esempio, tra gli abitanti delle isole del Pacifico
(stando alla documentazione etnografica), come tra cittadini statunitensi (ma
anche tra altri popoli "moderni"), un drappo di stoffa in cima a un
bastone indica psicologicamente lo stesso fenomeno: per i primi, è un simbolo
per celebrare il compimento delle operazioni di piantagione di tuberi
commestibili in una area sacra e di proprietà collettiva; per i secondi è un
simbolo per celebrare ad esempio il Quattro di Luglio, il compimento di un
processo di indipendenza nazionale, che ha come oggetto un'area altrettanto
sacra e di proprietà collettiva: la nazione.
Per i due popoli ogni offesa alla "bandiera" è
un'offesa a quel che c'è di più sacro e inviolabile: un territorio condiviso che
incarna collettivamente - ecco il fondo animistico - un principio superiore di
unità e solidarietà, dotato di forza propria, che si coagula intorno alla
bandiera. Va da sé, purtroppo, che sia gli indigeni del Pacifico che gli
americani puniscono chiunque profani la bandiera, seguendo, certamente,
modalità diverse.
Ma la profanazione rappresenta il rovescio della
medaglia: la consacrazione della propria bandiera non esclude, anzi spesso
implica la profanazione di quella altrui. Sacralità e profanazione vanno di
pari passo. Infatti, solo quel che è ritenuto "sacro" può essere
profanato. E purtroppo non sempre c'è accordo sul valore dei rispettivi
"principi superiori".
Questo spiega perché, non tanto i pacifisti veri, quanto
magari gli strenui difensori di un qualche pseudo-universalismo fondamentalista
(a prescindere dal suo colore ideologico), pur battendosi per abolire ogni atto
di guerra, finiscano inevitabilmente per bruciare le bandiere altrui: un gesto
decisamente contrario a ogni etica pacifista. Ma spesso inevitabile. Dal
momento che la sacralizzazione di ogni bandiera: arcobaleno, rossa, nera, e per
ipotesi, anche quella papalina, implica automaticamente anche il rischio
"antropologico" della profanazione.
Il che non significa che si debba rinunciare a colmare (almeno in parte) nell'essere umano, attraverso appropriati processi di
socializzazione, quella famigerata terra di nessuno tra natura e cultura, di
cui si parla fin dalla notte dei tempi. Anche perché il vero pacifista, in
genere, è una persona che ha ben interiorizzato i principi in cui crede.
Per ora, basterebbe comprendere, che non è facile per
nessuno, "progredito" o meno, rinunciare a levare in alto la propria
bandiera, e qualche volta, "abbassare" quella dell'altro.
Il che, visto che vale per tutti, paradossalmente,
potrebbe rendere tutti più tolleranti.
Carlo Gambescia