domenica 7 aprile 2024

Eugenio Scalfari o dell’eterogenesi dei fini

 


Ieri, sei aprile, la sinistra ha celebrato i cento anni di Eugenio Scalfari, scomparso nel 2022. Questa mania dei compleanni post mortem, anche se indorata con la scusa del centenario, è un’ usanza ridicola, come gli appalusi ai funerali.  Una persona quando è morta è morta. C’è poco da applaudire o celebrare.  Non si  è a teatro. La morte merita rispetto.

Ma non è questo il punto. Chi era Eugenio Scalfari? Per gli amici il più grande giornalista del XX secolo, per i nemici un voltagabbana epocale.

In realtà Eugenio Scalfari resta innanzitutto un arciprofessore di educazione civica:  un teorico dell’italiano nuovo, secondo la frase attribuita a Massimo D’Azeglio. “ L’Italia è fatta, ora dobbiamo fare gli italiani”.

Scalfari fu un severissimo costruttivista politico e sociale. Il che spiega perché fu prima fascista, poi liberale di sinistra, infine socialista. Sempre però con un’idea giacobina nella testa: fare tabula rasa, trasformare gli italiani, ricostruirli moralmente anche a pedate se necessario. Scalfari sognava l'italiano perfetto.  Voleva trasformare  cafoni, guappi  e lazzari,  in  cittadini modello,  come  tentarono  i martiri della   rivoluzione napoletana del 1799.

“La Repubblica”, il quotidiano da lui fondato, era ed è una specie di catechismo del comportamento civico di sinistra. Spopolò, e non è una leggenda, tra le professoresse di sinistra. Che ne commentavano gli articoli in classe.

Oggi “Repubblica” continua nella sua opera, però gli italiani votano a destra. Qualcosa non ha funzionato: nel giornale, nella sinistra, nell’Italia in generale.

Probabilmente la colpa è di ciò che si può definire il didascalismo pedagogico-politico tipico di Scalfari e di certo giornalismo di sinistra, totalmente convinto di avere in tasca le chiavi della storia e del progresso. Un giornalismo antipatico e saccente sempre pronto a sottolineare con la matita rossa e blu gli errori altrui, tacendo sui propri. Perché così imponeva e impone, come da contratto, il senso della storia.

Un giornalismo da caccia al refuso morale, poi degenerato, negli anni Novanta nell’antiberlusconismo, padre di rimbalzo dell’esagitato populismo di sinistra.

Ci spieghiamo meglio. L’articolo di “Repubblica”, letto in classe da almeno due generazioni di professoresse, diciamo a fin di bene (la riforma degli italiani, eccetera), ha prodotto il male degli ex studenti che, non paghi del galateo civico scalfariano, hanno poi votato in massa il truculento Grillo.

Si chiamano effetti perversi delle azioni sociali. Un filosofo sociale tedesco parlò di eterogenesi dei fini. Cioè le buone intenzioni non bastano. Insomma, i fini realizzati sono sempre diversi da quelli che gli individui si propongono.

In sintesi: Scalfari arcinemico del populismo di destra, ha favorito la rinascita del populismo di sinistra. Che a sua volta, ha scatenato la rivincita del populismo di destra.

Detto alla buona: uno compra “Repubblica”, adora Scalfari perché vuole riformare l’Italia, e si ritrova con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.

Che ci sarà mai da celebrare?

Carlo Gambescia

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