giovedì 4 aprile 2024

Contro il premierato

 


Riteniamo che il premierato sia una pessima idea.  L’evocazione del "Sindaco dell’Italia"  di renziana memoria non è liberale.  Figurarsi sulle labbra di Giorgia Meloni...   Una riforma (per così dire)  che non rispetta le minoranze. Soprattutto quando si punta sul collegamento tra premierato e legge maggioritaria.  Una miscela esplosiva.

Sorvolando, per ora, sui residui poteri lasciati o meno al Quirinale (visto che ancora non si capisce bene…), va detto che il parlamento non è più tale se la decisione scavalca la discussione. Nel senso che la rende inutile, oziosa, grazie all’esistenza di una ferrea maggioranza parlamentare. Altro che il parlamentare come rappresentante della nazione…

Il premierato, anche come surrogato del presidenzialismo, condanna a morte il parlamentarismo. Lo rende schiavo del partito di maggioranza: una macro-fazione. Distruggendo così il concetto stesso di rappresentanza delle minoranze. E come detto di rappresentanza della nazione nel suo insieme, minoranze incluse. Il parlamentarismo chiude il circolo virtuoso liberale, mentre il premierato lo spezza.

Si guardi come funzionano le cose nei grandi comuni italiani. Dove il mix legge maggioritaria ed estesi poteri del sindaco ha tramutato i consigli comunali in aule sorde e grigie, per usare una terminologia cara a Giorgia Meloni. In pratica le minoranze possono solo fare testimonianza: per cinque anni non contano nulla.

Si dirà che la riforma rilanciata dalla destra assicura la governabilità. Cosa significa governabilità? Potere assoluto per cinque anni? Se passerà questa riforma il compito delle minoranze e delle opposizioni sarà simile a quello di un uditore. Cioè di chi, senza essere iscritto, sia ammesso a frequentare le lezioni di un’università o di una scuola, senza tuttavia avere diritto a sostenere esami e conseguire un diploma alla fine dei corsi.

Insomma i parlamentari dell’opposizione rischiano in futuro di “assistere”, senza disporre di alcuna  influenza reale. Per non parlare del potere decisionale, pari a zero.

Un forte esecutivo (del presidente o del primo ministro) può funzionare nei paesi dove tra maggioranza e minoranza non esistono grandi differenze ideali; dove si è d’accordo sui valori di fondo, come ad esempio gli Stati Uniti. Non in Italia, un paese che tra l’altro ha inventato il fascismo, o nelle repubbliche sudamericane che invece  hanno reinventato il caudillo. Dove si è divisi su tutto. E dove governare, per tradizione, storia e cultura, significa non ascoltare nessuno e schiacciare, appena possibile, le minoranze.

In Italia con la scusa di combattere i “ribaltoni” (tra l’altro brutta parola, impropria, tipica dell’antiparlamentarismo di destra, perché il primo ribaltone della storia italiana, fu il connubio cavouriano, che favorì l’Unità d’Italia), si vuole introdurre lo strapotere dell’esecutivo. Che in Italia ha due brutti precedenti: Crispi e Mussolini.

Certo, si dirà che parlamentarismo ed esecutivo debole favoriscono il potere dei partiti annullando quello degli elettori. Quindi giochi di palazzo, camarille politiche, sottobosco, compravendite di voti, eccetera, eccetera.

Non si è capito – o forse non si vuole capire – che non esiste un sistema istituzionale perfetto. Però esistono differenze. Ad esempio il parlamentarismo, pur con i suoi difetti, garantisce margini di libertà superiori per le minoranze a un sistema presidenziale ( o “premierale”), per giunta votato con legge maggioritaria, che invece si mangia in un solo boccone le minoranze.

Qualche parlamentare fa il furbo, cambia casacca? E che sarà mai? Alle successive elezioni l’elettore può mandarlo a casa. L’importante è tornare a votare per punire, se necessario,  il governo precedente.

Perché, in realtà, il punto è un altro: un governo forte gode di una specie di premio di legalità, perciò può "gestire" le elezioni, ad esempio giocando sui tempi di scioglimento  o addirittura “truccarle” legalmente e   persino all'occorrenza rinviarle. 

Sono cose che si possono tranquillamente fare  quando si controllano i nervi del potere. E a maggior ragione quando un governo può evocare,  a dritta e a manca, la sua legittimità, perché  generata da un voto maggioritario del "popolo".  Che poi l'eletto sia Hitler o un altro  non è  un  problema...

Il succo della democrazia liberale è 1) nel rispetto delle minoranze, che non possono essere trasformate in minoranze uditrici, e 2) nella continuità del voto, cioè nella possibilità di tornare regolarmente e liberamente  a votare. Il che significa che esecutivo forte e legge maggioritaria sono l’esatto contrario della democrazia liberale.

Figurarsi poi quando sono nelle mani di ex fascisti…

Carlo Gambescia

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