mercoledì 24 aprile 2024

Afascismo e anti-antifascismo

 


Nel 1945 ebbe termine una catastrofica guerra mondiale che però salvò l’Europa dalla dittatura nazifascista. Vinsero le forze liberali e democratiche, con l’aiuto a Est dell’ Unione Sovietica, grande potenza che non era né liberale né democratica. Fu una scelta obbligata. Hitler poteva essere battuto solo se attaccato contemporaneamente su due fronti.

Il fascismo italiano uscì sconfitto da un guerra che aveva contribuito a scatenare, prima puntando su ridicoli sogni da grande potenza, che portarono alla “militarizzazione” totalitaria dell’ Italia. Poi assecondando la feroce guerra di conquista di Hitler. E infine macchiandosi di colpe incancellabili come la persecuzione degli ebrei, particolarmente feroce durante il periodo della Repubblica “sociale”, che vide i burattini fascisti tenuti per i fili degli sgherri hitleriani.

Eppure, nel dopoguerra, piano piano i nostalgici del fascismo entrarono in parlamento, poi furono sdoganati dal Cavaliere, e infine, oggi governano l’ Italia. Il che, almeno a prima vista, significa che un terzo degli elettori italiani ha perdonato o dimenticato ciò che fu il fascismo: guerra e rovine.

In nome di questo terzo, in pratica l’elettorato di Fratelli d’Italia, affiancato da quello della Lega e di Forza Italia (che però, a dire il vero, nel complesso si avvicina quasi alla metà dei votanti), qualsiasi tentativo di evocare l’ antifascismo, allo scopo di evitare che il fascismo possa ripetersi, viene liquidato in nome dell’anti-antifascismo.

Si sostiene che l’antifascista sia un comunista mascherato, che con la scusa dell’antifascismo vuole impedire alla destra di governare. Quindi l’antifascismo sarebbe un fenomeno  antidemocratico: una specie di rimasuglio  della  politica estera cominformista sovietica.

Il che non è del tutto falso. I comunisti italiani fecero dell’antifascismo, anche dopo la caduta dell’Unione sovietica e i cambiamenti di nome, un mezzo per discriminare i non comunisti di qualsiasi colore fossero. Insomma, il non comunista (quindi non solo l’anticomunista) come potenziale fascista. Ma questa è un’altra storia…

Anche perché problema di oggi, non è più il comunismo, ma questa destra che non ha mai fatto i conti con il fascismo. E qui va riconosciuto a Gianfranco Fini, almeno un tentativo, il famoso convegno di Fiuggi (anno di grazia 1995), di fare questi benedetti conti.

Per contro Giorgia Meloni ha saltato a piedi giunti l’esperienza, diciamo riformista, di Alleanza Nazionale, per ricollegarsi direttamente al Movimento sociale, come provano il suo spudorato patriottismo di partito e l’ evocazione della tesi tragicomica di un Movimento sociale democratico solo perché presente fin dall’inizio in parlamento. Anche i deputati fascisti prima dell’instaurazione della dittatura sedevano alla camera…

Ovviamente, i “fascisti” di oggi – fascisti perché si rifiutano di fare i conti con il passato fascista- non sono il clone dei bei campioni del Ventennio, ma ne hanno conservato non pochi tratti culturali e politici: la mentalità autoritaria, il gretto conservatorismo sociale, il razzismo, l’anticapitalismo, l’antiliberalismo, il nazionalismo, l’antiparlamentarismo e il culto di un esecutivo semidittatoriale.

Pertanto gli antifascisti, quando elencano, in chiave di anamnesi politica, questi aspetti, pongono questioni serie. Il pericolo esiste. Ovviamente, soprattutto quando di sinistra, gli antifascisti possono strumentalizzare i valori dell’antifascismo, ad esempio evocandoli contro Israele, ma  il grande problema – ripetiamo – del Dna cultural-fascista di  Fratelli d'Italia permane.

E rimane perché Giorgia Meloni, invece di fare i conti con il fascismo – qui viene l’aspetto strategico nuovo – ha adottato la linea dell’afascismo. Cioè di non dichiararsi fascista (anche perché scoprirebbe le sue carte), né antifascista (nel senso di una riflessione sulla lezione del 1945, quindi fare i conti con il fascismo).

E qui viene fuori il punto interessante. L’afascismo incontra il favore di molti italiani, anche di coloro che non votano a destra. Per quale ragione? Innanzitutto perché nel 1943-1945, la stragrande maggioranza degli italiani (secondo Renzo De Felice il 90 per cento) rimase alla finestra, ragionando proprio in termini di afascismo (né fascisti né antifascisti).

Pertanto nella maggioranza delle famiglie italiane si è trasmessa, di generazione in generazione, la visione della Resistenza e della Liberazione, come uno dei due opposti estremismi: il primo antifascista, il secondo fascista. Di conseguenza l’afascismo di Giorgia Meloni va a intercettare l’afascismo del 1943-1945, passato di padre in figlio. Un vera forza storica e sociologica.

Detto altrimenti: il voto che viene dato a Fratelli d’Italia è un prolungamento dello stesso quietismo sociale del 1943-1945 che spinse e spinge, prima a restare alla finestra, per poi schierarsi con il vincitore politico. Così fu nel 1922-1926, con la dittatura, così nel 1943-1948, con la Repubblica.

Si può insistere quanto si vuole sull’egemonia, esercitata dai comunisti sulla Resistenza, anche per scopi propagandistici, ma in realtà le forze dell’afascismo sono risultate più forti. Perché siamo davanti a forze potenti, molto difficili da contrastare: quelle del quietismo sociale, nel senso di un totale e ciclico abbandono, quasi cieco diremmo,  ai poteri di un governo che come un dio mortale vede e provvede.

Il quietismo è una potente forza di consenso e obbedienza sociale. Che, per dirla alla buona, può essere volta a fin di bene, come a “fin di male”.

Pertanto l’anti-antifascismo può contare sulla forza inerziale del bisogno di sicurezza, che rinvia, per dirla in parole povere, al non schierarsi, per evitare di incorrere nella vendetta dei vincitori, e così salvaguardare la propria sicurezza. Si potrebbe parlare di una specie di “donabbondismo” sociale: un misto di pavidità e indecisione che favorisce la formazione e l'obbedienza a qualsiasi ordine sociale e politico purché sia tale.

Si possono ora intuire le ragioni della crisi dell’antifascismo L’appello ai valori della Resistenza, al coraggio e alla libertà, legati alla epocale rinascita, dopo il nazifascismo sconfitto, di un ordine liberal-democratico, sono visti dai quietisti, che sono la maggioranza, come divisivi, quindi pericolosi dal punto di vista della pace sociale.

L’anti-antifascista ragiona come Don Abbondio: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. E cede a Don Rodrigo.

Se le cose stanno così sarà dura liberarsi del nuovo Don Rodrigo, con le unghie laccate di rosso, e dei suoi bravacci dell’anti-antifascismo.

Carlo Gambescia

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