giovedì 25 gennaio 2024

Viva la libertà carajo. Il testo integrale del discorso di Javier Milei a Davos

 


Proponiamo il testo integrale dell’intervento di Javier Milei tenuto a Davos lo scorso 17 gennaio. Il lettore sa bene, quanto temiamo il culto della personalità. Quindi è presto per cantare vittoria. Le politiche liberali di Milei stanno incontrando in Argentina forti resistenze, anche all’interno della maggioranza di governo. Però un intervento come quello da noi tradotto e proposto, può aiutare a capire la distanza tra Milei, per preparazione teorica e chiarezza di idee, e larga parte della classe dirigente mondiale. Che sicuramente non avrà gradito il suo intervento, poiché legata a ideali socialdemocratici e  rendite politiche dure a morire.
 

Ciò che desideriamo sottolineare è che ci troviamo davanti a un uomo politico, probabilmente di levatura teorica superiore a quella di Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Ciò che potrebbe fare la differenza,  e in negativo,  è la qualità del contesto culturale, sociale ed economico. L’Argentina è molto lontana dalla più vivace realtà statunitense e britannica, ieri come oggi. Pertanto la missione di Milei, che deve ancora dimostrare  di avere le qualità politiche di Reagan e della Lady di Ferro, se non impossibile è molto complicata. Però piace rendere omaggio a un uomo politico coraggioso se non temerario. Capace di raccogliere in  tempi statalisti, non teneri per i liberali, una bandiera gloriosa, che Milei chiama libertaria. 

Libertari o liberali?  Non è questione di nomi, perché la sola cosa importante è di essere dalla parte della libertà.  Le cui ragioni sono qui ottimamente esposte da Milei.
Buona lettura.

Carlo Gambescia

***

Buon pomeriggio, e grazie a tutti. Oggi sono qui per dirvi che l’Occidente è in pericolo. Ed è in pericolo perché chi dovrebbe difendere i valori dell’Occidente è sospinto   invece a condividere una visione del mondo che – inesorabilmente – conduce al socialismo, quindi alla povertà.

Purtroppo, negli ultimi decenni, sia perché mossi dal desiderio, da anime belle, di aiutare gli altri, sia dal senso egoistico di appartenenza a una casta privilegiata, [per evitare di essere scalzati dal potere, ndt], i principali leader del mondo occidentale hanno abbandonato un modello fondato sulla libertà, per puntare, sulle diverse versioni di ciò che conosciamo come collettivismo.

Siamo qui per dirvi che gli esperimenti collettivisti non possono rappresentare la soluzione ai problemi che affliggono i cittadini del mondo, ma – al contrario – ne sono la causa. Credetemi, non c’è nessuno in grado di testimoniare, meglio di noi argentini, questo fallimento. L’adozione del modello fondato sulla libertà – nel lontano 1860 – in 35 anni trasformò l’Argentina nella prima potenza mondiale. Per contro, dopo che negli ultimi cento anni, abbiamo condiviso la causa del collettivismo, l’Argentina oggi si ritrova al centoquarantesimo posto, i cittadini sono diventati progressivamente più poveri. Ma prima di entrare nel merito della nostra discussione, sarà importante – innanzitutto – osservare i dati che supportano il motivo per cui il capitalismo della libera impresa non è solo un possibile sistema per porre fine alla povertà nel mondo, ma è l’unico sistema – moralmente desiderabile – per conseguire tale obiettivo.

Se consideriamo la storia del progresso economico possiamo vedere come dall’anno zero fino all’anno 1800 circa, il Pil mondiale pro capite è rimasto praticamente costante durante tutto il periodo di riferimento. Se si osservasse un grafico dell’evoluzione della crescita economica nel corso della storia umana, si potrebbe vedere un grafico a forma di mazza da hockey: una funzione produttiva, rimasta costante per il 90% del tempo, aumenta esponenzialmente a partire nel XIX secolo. L’unica eccezione che spicca in questa lunga fase di stagnazione risale alla fine del XV secolo, con la scoperta dell’America. Ma a parte questa eccezione, durante tutto il periodo compreso tra l’anno zero e l’anno 1800, il Pil pro capite, a livello globale, è rimasto stagnante.

Ora, non solo il capitalismo ha generato un’esplosione di ricchezza dal momento in cui è stato adottato come sistema economico, ma se si analizzano i dati si osserva che la crescita ha accelerato durante tutto il periodo.
 

Durante l’intero periodo – dall’anno zero al 1800 – il tasso di crescita del Pil pro capite è rimasto stabile intorno allo 0,02% annuo. Cioè, praticamente nessuna crescita. Invece a partire dal XIX secolo, con la rivoluzione industriale, il tasso di crescita aumenta allo 0,66%. A quel ritmo, per raddoppiare il Pil pro capite, sarebbero occorsi per crescere 107 anni.

Invece, se guardiamo al periodo tra il 1900 e il 1950, il tasso di crescita accelera all’1,66% annuo. Per raddoppiare il Pil pro capite non sono più serviti 107 anni, ma 66. Inoltre se prendiamo il periodo compreso tra il 1950 e il 2000, vediamo che il tasso di crescita ha raggiunto il 2,1% annuo, Il che significa che in soli 33 anni potremmo raddoppiare il Pil mondiale  pro capite. Questa tendenza, lontana dal fermarsi, è tuttora in atto. Se prendiamo il periodo tra il 2000 e il 2023, il tasso di crescita è nuovamente accelerato fino al 3% annuo, il che implica che potremmo raddoppiare il nostro Pil pro capite nel mondo in soli 23 anni.

Ora, quando si studia il Pil pro capite, dal 1800 ad oggi, ciò che si osserva è che, dopo la Rivoluzione Industriale, il Pil pro capite mondiale si è moltiplicato per più di 15 volte, generando un’esplosione di ricchezza che ha sollevato il 90% della popolazione mondiale dalla povertà.

Non dobbiamo mai dimenticare che – nel 1800 – circa il 95% della popolazione mondiale viveva nella povertà assoluta. Per contro tasso di povertà, nel 2020, prima della pandemia, era sceso al 5% . 

La conclusione è ovvia: lungi dall’essere la causa dei nostri problemi, il capitalismo della libera impresa, come sistema economico, è l’unico strumento di cui disponiamo per porre fine alla fame, alla povertà e ai senzatetto, ovunque nel pianeta. L’evidenza empirica è indiscutibile.

Pertanto, poiché non vi è alcun dubbio che il capitalismo del libero mercato sia superiore in termini produttivi,  la vulgata di sinistra ha attaccato il capitalismo per ragioni moralità. Di ingiustizia, secondo i suoi detrattori.

Si dice che il capitalismo sia cattivo perché è individualista, mentre il collettivismo buono perché è altruista. Di conseguenza, si lotta per la giustizia sociale, siccché  questo concetto  – a partire dal Primo Mondo – è ormai diventato di moda. In Argentina è una costante del discorso politico, da più di 80 anni. Il problema è che la giustizia sociale oltre a non essere giusta, non contribuisce neppure al benessere generale. Al contrario, è un’idea intrinsecamente ingiusta perché violenta. È ingiusta perché lo Stato si finanzia attraverso le tasse. E le tasse vengono riscosse in modo coercitivo. Qualcuno di noi può asserire di pagare le tasse volontariamente? Ciò significa che lo Stato si finanzia con la coercizione e quanto maggiore è la pressione fiscale, tanto maggiore è la coercizione. E di conseguenza tanto minore la libertà.

Chi promuove la giustizia sociale parte dall’idea che l’intera economia sia una torta che può essere distribuita secondo modalità differenti. In realtà, quella torta non esiste. Si tratta di ricchezza che si genera, attraverso ciò che Israel Kirzner – ad esempio – denomina come un processo di scoperta del mercato. Se il bene o il servizio offerto da un’azienda non è desiderato, l’azienda fallisce a meno che non soddisfi le richieste del mercato. Se invece  si produce un prodotto di buona qualità a un prezzo buono e interessante, si farà bene e  si produrrà di più.

Pertanto il mercato è un processo di scoperta in cui il capitalista trova la giusta direzione strada facendo. Di conseguenza se lo Stato punisce il capitalista per aver avuto successo e blocca questo processo di scoperta, distrugge i suoi incentivi. Perciò si produrrà di meno e la torta sarà più piccola, causando danni alla società nel suo insieme.
 

Il collettivismo, inibendo questi processi di scoperta e rendendo difficile l’appropriazione di ciò che viene scoperto, lega le mani dell’ imprenditore e gli rende impossibile produrre beni migliori e offrire servizi migliori a un prezzo migliore. Com’è possibile, allora, che il mondo accademico, le organizzazioni internazionali, la politica e la teoria economica demonizzino un sistema economico che non solo ha fatto uscire il 90% della popolazione mondiale dalla povertà assoluta? E lo fa, sempre più velocemente, ma è anche giusto e moralmente superiore?

Grazie al capitalismo della libera impresa, oggi il mondo è al suo meglio. Non c’è mai stato, in tutta la storia dell’umanità, un periodo di maggiore prosperità di quello in cui viviamo oggi. Il mondo di oggi è più libero, più ricco, più pacifico e più prospero di qualsiasi altro periodo della nostra storia. Questo vale per tutti, ma soprattutto per quei paesi che sono liberi, dove sono rispettati la libertà economica e i diritti di proprietà degli individui. Perché i paesi liberi sono 12 volte più ricchi di quelli dove domina la repressione economica . Il decile più basso della distribuzione dei paesi liberi vive meglio del 90% della popolazione dei paesi soffocati economicamente. Questi paesi  hanno  25 volte meno poveri, in forma relativa, e 50 volte meno poveri in forma assoluta. E se ciò non bastasse, si può asserire che i cittadini dei paesi liberi vivono il 25% in più rispetto ai cittadini dei paesi dove le libertà economiche sono strangolate.
 

Ora, per capire cosa dobbiamo difendere, è importante definire di cosa parliamo quando parliamo di libertarismo. Per definirlo, torno alle parole del più grande eroe argentino delle idee di libertà , il professor Alberto Benegas Lynch che osserva: "Il libertarismo è il rispetto illimitato del progetto di vita degli altri, basato sul principio di non aggressione, in difesa del diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà, le cui istituzioni fondamentali sono la proprietà privata, i mercati liberi dall’intervento statale, la libera concorrenza, la divisione del lavoro e la cooperazione sociale".

In altre parole, il capitalista è un benefattore sociale che, lungi dall’appropriarsi della ricchezza altrui, contribuisce al benessere generale. In definitiva, un uomo d’affari di successo è un eroe.

Questo è il modello che proponiamo per l’Argentina del futuro. Un modello basato sui principi fondamentali del libertarismo: la difesa della vita, della libertà e della proprietà.

Ci si potrà chiedere: se il capitalismo della libera impresa e la libertà economica sono stati strumenti straordinari per porre fine alla povertà nel mondo, e se oggi ci troviamo nel momento migliore della storia dell’umanità, perché asseriamo  che l’Occidente è in pericolo?

L’Occidente è in pericolo proprio perché in quei paesi che dovrebbero difendere i valori del libero mercato, della proprietà privata e delle altre istituzioni del libertarismo, interi settori dell’establishment politico ed economico, in parte a causa di errori di formulazione teorica e di quadro normativo, in parte per pura ambizione di potere, stanno minando le basi del libertarismo, aprendo le porte al socialismo. Condannandoci così alla povertà, alla miseria e alla stagnazione.

Perché non bisogna mai dimenticare che il socialismo conduce alla povertà, sempre e dovunque. Un esperimento fallito nei paesi in cui è stato tentato. Parliamo di un fallimento economico, di un fallimento sociale e di un fallimento culturale. Infine, cosa non secondaria, il socialismo ha ucciso più di 100 milioni di esseri umani.

Il problema essenziale dell’Occidente è che oggi non dobbiamo solo confrontarci con coloro che, anche dopo la caduta del Muro e la schiacciante evidenza empirica, continuano a lottare per la causa del pauperismo socialista, ma anche con quei leader, pensatori e accademici che, al riparo di un un quadro di regole erroneo, minano le basi del sistema che ci ha dato la più grande espansione di ricchezza e prosperità della storia umana.

Il quadro teorico a cui ci riferiamo è quello della teoria economica neoclassica, che progetta uno strumento che, involontariamente, finisce per essere funzionale all’ingerenza dello Stato, al socialismo e al degrado della società. Il problema dei neoclassici è che, dal momento che il modello di cui si sono innamorati non corrisponde alla realtà,  si preferisce  attribuire l’errore a presunti fallimenti del mercato invece di rivedere le premesse del loro stesso modello.
Con il pretesto di un presunto fallimento del mercato, vengono introdotte regolamentazioni che generano solo distorsioni nel sistema dei prezzi, che impediscono il calcolo economico e di conseguenza il risparmio, gli investimenti e la crescita.

Questo problema risiede essenzialmente nel fatto che neppure gli economisti, che si dichiarano libertari, comprendono cosa sia il mercato, poiché se lo comprendessero veramente, avvertirebbero subito l’impossibilità del fallimento del mercato.

Il mercato non è una curva di domanda e offerta su un grafico. Il mercato è un meccanismo di cooperazione sociale in cui le persone scambiano beni e servizi volontariamente. Pertanto, data questa definizione, il fallimento del mercato è un ossimoro. Non esiste alcun fallimento del mercato.

Se le transazioni sono volontarie, l’unico contesto in cui può verificarsi un fallimento del mercato è se vi è coercizione. E l’unico che ha la capacità coercitive in modo generalizzato è lo stato che dispone del monopolio della violenza. Di conseguenza, se qualcuno ritiene che sia possibile fallimento del mercato, consiglierei di verificare se  dietro non vi sia un intervento statale. E se per caso se ne  scopre l'assenza, si consiglia  di ricominciare da capo, perché evidentemente l’analisi è sbagliata. I fallimenti del mercato non esistono.

Un esempio dei presunti fallimenti del mercato descritti dai neoclassici  è ravvisato nelle strutture concentrate dell’economia. Tuttavia senza funzioni capaci di conseguire rendimenti di scala crescenti, la cui controparte sono le strutture concentrate dell’economia, non saremmo in grado di spiegare la crescita economica dal 1800 ad oggi.

Si noti una cosa: dal 1800 in poi, con la popolazione che si moltiplicava più di 8 o 9 volte, il prodotto pro capite crebbe più di 15 volte. Si sono registrati rendimenti crescenti che hanno portato la povertà assoluta dal 95% al 5%. Tuttavia, questa presenza di rendimenti crescenti implica strutture concentrate, quello che verrebbe chiamato monopolio.
 

Come può essere che qualcosa che ha generato tanto benessere, sia invece giudicato dal teorico neoclassico come un fallimento del mercato? Gli economisti neoclassici si rifiutano di uscire dai loro schemi. Quando il modello fallisce è inutile prendersela con la realtà: si deve invece cambiare il modello.

Il modello neoclassico si trova perciò dinanzi a un dilemma: per un verso asserisce di voler perfezionare il funzionamento del mercato, attaccando quelli che sono considerati fallimenti del mercato: per l’altro, in questo modo, non solo apre le porte al socialismo, ma minaccia anche la crescita economica.

Ad esempio, regolamentare i monopoli, distruggere i profitti e distruggere i rendimenti crescenti distruggerebbe automaticamente la crescita economica.

In altre parole, ogni volta che ci si impone di correggere un presunto fallimento del mercato, o perché non si sa bene cosa sia il mercato o perché si è innamorati di un modello fallito, si aprono inevitabilmente le porte al socialismo. In questo modo si condanna il popolo alla povertà.

Tuttavia, di fronte alla dimostrazione teorica che l’intervento statale è dannoso, e all’evidenza empirica che esso ha fallito – perché non potrebbe essere altrimenti – la soluzione che i collettivisti continuano a proporre non sarà una maggiore libertà ma piuttosto una maggiore regolamentazione. In questo modo però si genera una spirale discendente di regolamentazioni che impoverisce la gente e ne fa dipendere la vita dalle decisioni di burocrate seduto in un ufficio di lusso.

Dopo il clamoroso fallimento dei modelli collettivisti e gli innegabili progressi del mondo libero, i socialisti sono stati costretti a cambiare l’ agenda politica. Hanno abbandonato la lotta di classe basata sul sistema economico per sostituirla con altri presunti conflitti sociali ugualmente dannosi per la vita comunitaria e la crescita economica.
 

La prima di queste nuove battaglie è la ridicola e innaturale lotta tra uomo e donna.

Il libertarismo dà per scontata l’uguaglianza tra i sessi. La prima pietra del credo libertario rinvia all’idea fondamentale che tutti gli esseri  umani sono creati uguali e che tutti hanno gli stessi diritti inalienabili concessi dal Creatore, tra cui la vita, la libertà e la proprietà.

In realtà, l’unica cosa alla quale l’ agenda femminista radicale ha condotto è il maggiore intervento dello Stato per ostacolare il processo economico, dando lavoro a burocrati che non contribuiscono in alcun modo alla produttività sociale: sia nella veste di  ministeri dedicati alla questione femminile, sia di organizzazioni internazionali dedite alla promozione di questa agenda.

Un altro dei conflitti sollevati dai socialisti è quello dell’uomo contro la natura. Si sostiene che gli esseri umani danneggino il pianeta e che di conseguenza debba  essere protetto a tutti i costi, arrivando addirittura a sostenere meccanismi di controllo della popolazione o  di sostegno  al  programma  dell’aborto, programma sporco di sangue.

Sfortunatamente, queste idee dannose hanno fortemente permeato la nostra società. I neomarxisti sono stati capaci di manipolare il senso comune dell’Occidente. E vi sono riusciti grazie all’appropriazione dei mass media, della cultura, delle università e anche delle organizzazioni internazionali.

Fortunatamente, non pochi iniziano ad alzare la voce. Finalmente si comprende che se non si combattono frontalmente queste idee, l’unico destino possibile è quello di subire il crescente interventismo dello stato. Sicché più regolamentazione, più socialismo, più povertà, meno libertà e, di conseguenza, un tenore di vita peggiore.

L’Occidente, purtroppo, ha già iniziato a percorrere questa strada. Sappiamo benissimo che a molti può sembrare ridicolo affermare che l’Occidente si sia rivolto al socialismo. In realtà, ciò può essere giudicato ridicolo solo nella misura in cui ci si limita alla tradizionale definizione economica del socialismo,   che ne parla  come di un sistema economico in cui lo Stato è proprietario dei mezzi di produzione.

A nostro avviso questa definizione va aggiornata alle circostanze attuali. Oggi gli stati non hanno bisogno di controllare direttamente i mezzi di produzione per controllare ogni aspetto della vita degli individui.

Purtroppo, con strumenti come l’emissione monetaria, il debito, i sussidi, il controllo dei tassi di interesse, il controllo dei prezzi e le normative per correggere i presunti “fallimenti del mercato” si possono controllare i destini di milioni di esseri umani.

Si è arrivati al punto in cui, pur con denominazioni o forme diverse, buona parte dell’ offerta politica generalmente accettata nella maggior parte dei paesi occidentali rinvia a varianti collettiviste. Sia quando  ci si dichiari apertamente comunisti, socialisti, socialdemocratici, sia quando  ci si presenti come  cristiano-democratici, neokeynesiani, progressisti, populisti, nazionalisti o globalisti.

Fondamentalmente non vi sono differenze sostanziali: tutti insieme sostengono che lo Stato debba dirigere tutti gli aspetti della vita degli individui. Tutti difendono un modello contrario a quello che ha portato l’umanità al progresso più spettacolare della sua storia.

Siamo qui oggi per invitare altri paesi occidentali a ritornare sulla via della prosperità: la libertà economica, un governo limitato e il rispetto illimitato della proprietà privata sono elementi essenziali per la crescita economica.
 

Questo fenomeno di impoverimento prodotto dal collettivismo non è una fantasia. Né frutto del fatalismo. È una realtà che noi argentini conosciamo molto bene.

Perché lo abbiamo già vissuto. Ci siamo già passati. Perché come ho detto prima, da quando abbiamo deciso di abbandonare il modello di libertà che ci aveva reso ricchi, siamo intrappolati in una spirale discendente che ci fa diventare ogni giorno più poveri.

Lo abbiamo già vissuto. E siamo qui per mettere in guardia su ciò che può accadere se l’ Occidente che si è arricchito puntando sul modello della libertà continuerà il suo cammino sulla strada della servitù.

Il caso argentino è la dimostrazione empirica che non importa quanto sei ricco, quante risorse naturali hai, non importa la quantità di  popolazione, né quanto sia istruita, né quanti lingotti d’oro ci siano nelle casse della banca centrale.

Se si adottano misure che ostacolano il libero funzionamento dei mercati, la libera concorrenza, i liberi sistemi dei prezzi, se si ostacola il commercio, se si attacca la proprietà privata, l’unico destino possibile è la povertà.
 

Voglio infine lasciare un messaggio a tutti gli imprenditori qui presenti e a coloro che ci osservano da ogni angolo del pianeta.

Non lasciatevi intimidire dalla casta politica o dai parassiti che vivono a spese dello Stato. Non arrendetevi a una classe politica che vuole solo restare al potere e mantenere i propri privilegi.

Siete benefattori sociali. Siete degli eroi. Siete gli artefici del periodo di prosperità più straordinario che abbiamo mai vissuto. Non bisogna permettere che nessuno dica che nutrire ambizioni sia immorale. Se un imprenditore si arricchisce è perché offre un prodotto migliore ad un prezzo migliore, contribuendo così al benessere generale.
 

Non si ceda all’avanzata dello stato. Lo stato non è la soluzione. Lo Stato è il problema stesso.

Sono gli imprenditori i veri protagonisti di questa storia e sappiate che d'ora in poi  avrete nella Repubblica Argentina un alleato incrollabile.

Grazie a tutti e viva la libertà carajo (*).

Javier Milei (54° presidente della Repubblica Argentina)

(*) Traduzione di Carlo Gambescia (per i diritti di copyright sulla traduzione). Per la versione originale qui: https://www.casarosada.gob.ar/informacion/discursos/50299-palabras-del-presidente-de-la-nacion-javier-milei-en-el-54-reunion-anual-del-foro-economico-mundial-de-davos . Il termine “carajo” (cazzo, fanculo), può essere tradotto, secondo il senso dell’espressione, ad esempio, “Si apra la porta cazzo”. Come dire, “Viva la libertà cazzo”, oppure “Viva la libertà fanculo”, o ancora, “Viva la fottuta libertà”. Nell’incertezza, diciamo così, abbiamo preferito lasciare il termine in lingua originale…

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