martedì 30 gennaio 2024

Piano Mattei? No, Piano Rauti

 


Il titolo è criptico, soprattutto per i non addetti ai lavori. Però chi avrà la pazienza di seguirci fino in fondo, poi capirà.

Un piccolo inciso. Salvemini una volta definì la Libia italiana, uno scatolone pieno di sabbia. A quei tempi – gli anni Dieci del Novecento – il petrolio non era ancora l’oro nero. Del resto Salvemini negli anni Cinquanta si oppose anche alle autostrade. Pur essendo un acuto storico non aveva mai capito fino il fondo il senso della modernità. Modernità: il lettore prenda appunto.

Comunque sia, la definizione di scatolone pieno di sabbia, quindi di una cosa inutile e pesante, si attaglia benissimo al “Piano Mattei”. Una iniezione di statalismo da manuale, via Eni e altre strutture economiche partecipate, a cominciare dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Per fare il punto sul “Piano Mattei”, di cui in realtà si sa ancora poco, in senso stretto, tecnico, rinviamo a un informato articolo de “ Il Post” (*) .

Anche perché oggi vorremo sottolineare un aspetto sfuggito a molti osservatori. Diciamo culturale, con implicazioni metapolitiche. Si tratta di un passo “rivelatore” racchiuso nell’intervento  meloniano di apertura della Conferenza Italia-Africa, tenutasi a Roma domenica 28 e lunedì 29 gennaio. Si legga qui:

“Un Piano di interventi con il quale vogliamo dare il nostro contributo a liberare le energie africane, anche per garantire alle giovani generazioni un diritto che finora è stato negato, perché qui in Europa noi abbiamo parlato spesso del diritto a emigrare, ma non abbiamo parlato quasi mai di come garantire il diritto a non dover essere costretti a emigrare, e a non dover così recidere le proprie radici, in cerca di una vita migliore sempre più difficile da raggiungere in Europa”(**).

Giorgia Meloni parla del “diritto a non dover essere costretti a emigrare”. Cioè in pratica inventa un diritto – a non emigrare – che in pratica non esiste perché, come sancisce l’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata anche dall’Italia:

“1.Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato; 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese” (***).

Per capirsi: esiste il diritto alla libertà di movimento e di residenza. Punto. Non esistono due diritti contrapposti (di migrare e non migrare), come invece vuol far credere Giorgia Meloni per giustificare una pelosa politica di aiuti economici per convincere il migrante a restare a casa propria. Si potrebbe addirittura parlare di corruzione morale:  nel senso di indurre il migrante in cambio di denaro a rinunciare all’esercizio di un proprio diritto.

Tra l’altro, si introduce  il  concetto di “radici”, tipico della destra nazionalista, ma diciamo pure fascista, perché la norma, se si vuole la regola, del diritto cosmopolita e liberale è altra: “Ubi bene, ibi patria”. Inoltre si dà per scontato che il migrante sia “in cerca di una vita migliore sempre più difficile da raggiungere in Europa”. In realtà la vita del migrante si fa difficile “in Europa”, perché è la stessa destra che si impone di renderla difficile, discriminando, deportando, incarcerando, confinando.

Siamo davanti a un gravissimo deficit culturale: la destra considera il rapporto con il migrante solo in termini di esclusione. Se inclusione deve essere, che sia nei paesi di origine. Insomma, si dà per scontato, in senso antropologico e metapolitico, che il migrante, sia tale per ragioni squisitamente economiche. Una specie di “Homo oeconomicus”. Capito? Altro che destra idealistica... Questo è  "materialismo", e di quello  duro.

Perciò – ecco affacciarsi la ristrettezza mentale e culturale della destra – una volta risolte le questioni alimentari in loco, se ci si  passa la battuta, “Viva il gioco dell’’uva, ognuno a casa sua”. Questo è il senso dello scatolone di sabbia, cioè del “Piano Mattei”.

Non si fanno i conti con la modernità. Che è gusto per la libertà di movimento, per l’avventura, per il nuovo, come provano le indagini sociologiche, fin dai tempi degli studi sorokiniani sulla mobilità sociale. Detto altrimenti, le motivazioni culturali del migrante alla mobilità sono altrettanto importanti quanto quelle economiche.

La destra che ci governa, crediamo ignori tutto questo, per evidenti limiti culturali. In realtà, invece, di "Piano Mattei" si dovrebbe parlare di "Piano Rauti". Perché queste idee antimoderne delle radici comunitarie recise e dell’aiuto in loco, risalgono a Pino Rauti. Intellettuale e politico missino, non banale, che scrisse queste cose addirittura verso la fine degli anni Settanta del Novecento. Rauti allora si riallacciava ideologicamente alla politica mussoliniana che, sebbene priva di risorse, vedeva nell’Africa un serbatoio di energie e ribellioni antibritanniche e antifrancesi (****).

A dire il vero Giorgia Meloni si dichiara dalla parte dell’Occidente. Ma con simili trascorsi ideologici è credibile?

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ilpost.it/2024/01/29/piano-mattei-conferenza-italia-africa/ . Per il testo si veda qui (pp. 13 sgg.): https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2023/11/15/267/sg/pdf . Ma, sugli aspetti “mitologici”, a proposito della figura di Mattei, si veda anche il nostro articolo: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2022/12/giorgia-meloni-e-il-mito-di-enrico.html .

(**) Qui: https://www.governo.it/it/articolo/vertice-italia-africa-linterventi-di-apertura-del-presidente-meloni/24857 .

(***) Qui: https://www.ohchr.org/en/human-rights/universal-declaration/translations/italian .

(****) Qui, un articolo del 2003, in cui Rauti riprende e sviluppa, diciamo pure ingentilisce, idee, come scrive, per le quali “si è battuto da sempre”: http://pinorauti.org/linea-aiutiamoli-casa-loro-verita-sugli-immigrati/ .

6 commenti:

  1. A leggere quanto scrivono pare fuffa e non certo un piano per fare quanto si vende di fare. Forse meglio così? Anche se questo getta ulteriore luce sulla cialtronaggine del gruppo di potere che ci governa. Concordo con lei sul fatto che ignorino le incongruenze delle loro affermazioni sui diritti, ma non hanno nemmeno del tutto il coraggio delle loro idee belle chiare e credono di ritorcere contro gli avversari politici la logica dei diritti per loro poco più che una retorica., Da questo punto di vista risultano imbarazzanti, anche se sono troppo ignoranti e inconsapevoli per provare tale sentimento. Circa immigrazione e liberismo però le chiedo: un liberale non dovrebbe forse dire: venite pure ma una volta qui io non vi sussidio e non organizzo per voi soccorsi speciali, posso solo fare in modo di concedere facilmente i documenti per il soggiorno (nei paesi d'origine), nulla più. Naturalmente però, dopo aver fatto questo, mi riservo di far desistere e combattere i flussi illegali o sbaglio?

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  2. Grazie del commento. A grandi linee concordo. Sebbene continui a preferire le logiche della responsabilità individuale. Quindi lasciar fare, lasciar passare. Accetto l’idea del migrante come sfida culturale, senza rete, per tutti. E quella, che ne consegue, dell’autoregolazione spontanea. Scelta che impone pazienza politica dinanzi ai tempi lunghi delle società. Solo una precisazione : l’idea dei “flussi legali” rinvia alla legalità delle procedure stabilite (cioè si dà per scontato che i flussi debbano essere regolamentati) , ma non è legittima dal punto di vista liberale del lasciar fare, lasciar passare ( che esclude la regolamentazione). Ovviamente anche questo è un mio punto di vista. Diciamo “dottrinario” :-)

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  3. Capisco, grazie per la risposta, pure io concordo, eliminando ogni impaccio di determinare flussi legali le migrazioni avverrebbero e basta,venite pure ma non vi sussidio, ne' vi soccorro, se ce la fate ad arrivare...Come dicono in Sicilia: cá semu! Se poi voglio aiutarvi a venire perché sono un imprenditore e ho bisogno di lavoratori volenterosi ben venga la mia solidarietà e il mio aiuto (nessuno lo impedisca), oppure se sono un'organizzazione che voglio soccorrervi lo faccio, ma senza pretendere diritti particolari e chiedere che lo stato o una qualsiasi collettività si accolli il supporto ulteriore. Mi pare che questa sarebbe logica di responsabilita' e liberale. L'obiezione non dottrinaria e realista potrebbe però essere, se tali flussi creano instabilità, disagio, disordine sociale ecc. Situazione comune in paesi dove si stratificano classi a velocità economiche, culture civili, maturità sociali diverse ma conviventi (tipo Sudafrica) non si potrebbe più tornare indietro (a qualche forma di governo statista dei flussi), si dovrebbe solo sperare nelle magnifiche sorti e progressive che, liberisticamente, riequilibreranno e soddisferanno i crescenti bisogni (come grosso modo e' sspesso avvenuto). Naturalmente sperando che i nuovi arrivati maturino un imprinting liberale capace di non farli diventare 'masse' anelanti l'aiuto di stato.

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  4. Grazie dell'interessante replica. Che soprattutto nella sua ultima parte imporrebbe una risposta impegnativa. Mi limito a precisare che la mia tesi non dipende da una credenza nelle "magnifiche sorti progressive", ma da un approccio - semplificando - alla Hume, che scorge nella storia e nella dinamica un faticoso farsi di istituzioni, credenze, prassi, eccetera, quindi anche conflitti. Un farsi non sempre prevedibile, , spesso invisibile, impalpabile,, che non sempre va a buon fine. Diciamo pure che il mio è un liberalismo, probabilmente contraddittorio, dottrinario e triste al tempo stesso.

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  5. Devo acquistare il suo libro perché ho solo ascoltato la conferenza su YouTube e comprendo di non aver messo a fuoco del tutto il concetto di 'liberalismo triste' che confondevo con un liberalismo realista in costante conpromesso con la statualità. Grazie ancora.

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