Cominciamo dalla destra. Nel prossimo fine settimana si riuniranno a Firenze, sotto l’alto patrocinio di Matteo Salvini, gli alleati di Identità e Democrazia, gruppo di destra, rappresentato al Parlamento Europeo. L’obiettivo, probabilmente è quello di un programma unico, da proporre alle elezioni europee del prossimo anno.
Non pochi dei suoi membri, provenienti da tutta Europa, per un verso si definiscono liberali, come ad esempio l’olandese Geert Wilders, per l’altro però sono contrari a un aspetto fondamentale della concezione liberale, la mobilità spaziale. Cioè alla possibilità di migrare individualmente da un paese all’altro in cerca di fortuna.
Si dirà che le migrazioni, che sono un fenomeno di massa, proprio per questo fatto privilegiano il gruppo sociale rispetto all’individuo: gruppo che, come per il migrante islamico, propugna idee integraliste, quindi l’esatto contrario del neutralismo-relativismo religioso condiviso dal pensiero liberale. Di qui l’appropriatezza – si dice – della posizione liberale. Ovviamente, secondo il punto di vista del liberale spostatosi a destra, che, come aggiunge Wilders, respingendo il migrante di fede islamica, difenderebbe la libertà di religione.
Si dirà pure che quanto asseriamo ha il valore di una inutile disquisizione dottrinaria (roba da fin troppo raffinati storici delle idee) e che, liberalismo o meno, le società devono pensare a difendere la propria identità, nel caso europeo quella cristiana, dall’alieno di fede islamica. Altrimenti – ecco però il nocciolo duro delle ideologie identitarie di destra – si rischia la “sostituzione”, cioè di subire la trasformazione dell’Europa in un lago ideologico islamico. Queste le tesi, tra l’altro, sono il cavallo di battaglia di Salvini, altro personaggio politico che ama definirsi liberale.
In realtà ogni vero liberale non può non condividere l’idea individualistica dell’ ubi bene, ibi patria. E quindi il lasciar fare, il lasciar passare, uomini e beni liberamente. L’autentico liberale rifiuta qualsiasi feticistico concetto politico di identità (bandiere, divise, proclami, adunate eccetera), come pure l’idea stessa di religione unica, cristiana o islamica che sia. Per contro politici come Wilders e Salvini identificano il liberalismo con il cristianesimo alla stregua del fondamentalismo islamico che non scorge alcuna distinzione tra religione e politica. Siamo davanti perciò a due forme di integralismo, ossia di prevalenza, sul piano delle idee, del gruppo sociale sull’individuo.
Purtroppo il problema è di fondo. Pseudo-liberali come Wilders e Salvini non credono più nella forza dell’individualismo: nella possibilità di trasformazione dell’arcaico contadino – come mostrano i grandi mutamenti sociali otto-novecenteschi – prima in arcigno operaio, poi in placido cittadino di ceto medio.
Non si può perciò escludere a priori che anche il migrante scopra, prima o poi, la forza dell’individualismo liberale. Già il fatto che il migrante guardi all’Europa e all’Occidente come possibilità di una vita migliore è un sintomo sociale – semplificando – di una pulsione individualistica. Una propensione che non si coltiva sbattendo la porta in faccia come propugnano le destre pseudo-liberali.
Veniamo ora alla sinistra che, pur essendo favorevole all’accoglienza, sembra rifiutare al pari della destra l’individualismo liberale.
Infatti la sinistra vede nel migrante non un individuo libero che vuole migliorarsi, ma un assistito, se si vuole una specie umana da proteggere a vita. Se si fosse applicata la logica pietista della sinistra di oggi agli uomini, alle donne e bambini che “fecero” la Rivoluzione industriale, e che centocinquant’anni dopo sarebbero divenuti ceto medio, la Rivoluzione industriale non sarebbe mai avvenuta.
Perciò accoglienza sì, assistenza a vita no. Ovviamente, si tratta di una enunciazione che va poi articolata concretamente. E questo è compito dei politici. Però, si badi, esiste, concettualmente parlando, un punto fermo, dal quale mai desistere: l’individuo deve essere lasciato libero di fare le sue esperienze, nel bene come nel male. Quindi di migrare, trovare un lavoro, confrontarsi o scontrarsi con realtà, eccetera, eccetera.
Insomma, di poter liberamente forgiarsi, come individuo, attraverso le inevitabili avversità che caratterizzano i processi di selezione sociale che implicano l’esclusione come l’inclusione, una regolarità, quest’ultima, metapolitica.
Il rifiuto di questo aspetto, schiettamente liberale, è l’inevitabile portato dell’aprioristico rifiuto della destra e della sinistra dell’individualismo liberale.
Sul punto si pensi solo alla metafisica del welfare, una forma di individualismo assistito che è l’esatto opposto dell’individualismo liberale. Cosa accade infatti? Che la destra razzista vuole che a fruirne siano solo i cittadini autoctoni, la sinistra solidarista pretende invece che sia esteso anche gli allogeni.
Concettualmente parlando, non cambia nulla. Perché per la destra come per la sinistra resta comunque centrale la figura dell’assistito: di colui che vive della pubblica assistenza. E che perciò mai riuscirà a formarsi come individuo attraverso la selezione sociale. Dietro la metafisica del welfare si nasconde una logica castale rivolta contro l’individuo in favore della casta degli autoctoni (destra) o della casta degli autoctoni e allogeni insieme (sinistra). Nei due casi, sociologicamente parlando, l’identità del gruppo assistito prevale su quella del libero individuo.
Perciò, come abbiamo già detto, accoglienza sì, assistenza a vita no. Questa è la risposta dell’individualismo liberale. Che non è di destra né di sinistra.
Carlo Gambescia