venerdì 16 giugno 2023

Due banalità sociologiche sul youtuber “delle sfide estreme”

 


Il sociologo ragiona per tipologie. Quella di youtuber, usata per giovani “finiti sul giornale”, come si diceva un tempo, può essere una tipologia sociologica?

Proviamo. Chi è il youtuber? A dire il vero, la categoria è piuttosto ampia: esistono youtuber che si occupano di astrofisica e cucina e youtuber, per ora pochi, che investono e uccidono un bambino di cinque anni.

E questo è il caso dei ragazzi finiti sulle pagine dei giornali (altra espressione démodé). Per questo tipo di youtuber potremmo parlare, per usare l’espressionismo sociologico, di una specie di trapezista che lavora nel circo digitale e che non fa uso di reti protettive. Il problema è che senza le reti protettive si rischia di rompersi il collo e di romperlo agli spettatori.

Di che tipo di reti protettive parliamo? Prima però un passo indietro. Inutile prendersela con il «mezzo»: la tecnologia digitale. Che è come la famosa pistola: dipende dall’equilibrio e dalla maturità del possessore. Certo, a chiunque non abbia tutte le rotelle a posto, il porto d’armi può essere vietato. Anche se, a dire il vero, esistono tanti modi per procurarsi un’arma. Quindi divieti e controlli, sanzioni e pene non sempre funzionano. E soprattutto non eliminano il rischio. Perché ci sarà sempre una percentuale, magari minima, di devianti. Di persone che, per varie ragioni, non attribuiscono alla propria vita e a quella degli altri nessuna importanza. E su questo aspetto non c’è scienza che tenga. Si chiama il mistero della natura umana.

Dicevamo delle reti protettive. Potrebbero essere assicurative. Chiunque voglia esercitare la “professione” di youtuber, a qualunque titolo, deve contrarre un’assicurazione, dai costi crescenti in base ai rischi “di esercizio”, fino a raggiungere cifre quasi proibitive. In caso di assenza di assicurazione (perché l' assicurarsi sarà comunque libero), la responsabilità civile sarà a carico del gestore della "piattaforma" digitale.  E secondo le circostanze anche penale.

Certo qualcuno – i famigerati “figli di papà” – si potrà sempre permettere di scherzare con il fuoco. Purtroppo, piaccia o meno, ma una società che privilegia i diritti individuali deve accettare questo rischio. Qui però la questione, si fa anche filosofica, “di mentalità”, perché in una società come quella italiana, dove si crede che lo stato sia una società che assicuri contro ogni tipo di rischio, resta difficile far decollare l’idea di un rischio che deve essere “coperto” individualmente.

Tutto il resto è noia. O se si preferisce moralismo da quattro soldi che veicola una mentalità illiberale e punitiva tra la gente comune che, abituata a non ragionare, si fa facilmente travolgere da un diluvio di emozioni (escluse ovviamente, quelle più che giustificate, dei familiari della vittima).

La categoria del deviante (cioè di chi “devia” dalle norme, di legge e di costume) come nel caso del youtuber “delle sfide estreme”, non può essere cancellata con un colpo di bacchetta magica “statalista”.

L’identità del deviante è invece fornita proprio dalla sua devianza. Il che significa che si rafforza attraverso l’esercizio della devianza. Perciò, per dirla alla buona, più se ne parla, più si favorisce l’identitarismo del Youtuber “delle sfide estreme” e si rafforza quel sentimento di emulazione – di natura mimetica e reiterativa – che resta alla base del novantacinque per cento dei comportamenti sociali. E che in particolare nei giovani esercita un fascino particolare, sfociando in quei processi di iniziazione alla vita,che consistono in prove, spesso pericolose. Processi conosciuti in tutte le società, dalle arcaiche alle moderne.

A differenza di quanto sostengono le mitologie destrorse della “tolleranza zero”, non è stato ancora rilevato alcun nesso strutturale  tra intensità crescente della pena e dissuasione alla devianza. Con il termine nesso strutturale  non ci riferiamo  ai risultati di indagini a campione, limitate nel tempo, spesso finanziate dalle stesse istituzioni repressive.

Quel che abbiamo detto è di una banalità sociologica sconcertante. Eppure in questi giorni si discute di altro.

Carlo Gambescia

Nessun commento: