martedì 1 febbraio 2022

Un anno dopo (ma sarebbero due...)


 

Ecco cari amici lettori quel che scrissi sul blog nel gennaio del 2021. Poi pubblicato nella chiusa del mio Metapolitica del Coronavirus (*).
A voi il giudizio.

Carlo Gambescia

SABATO 30 GENNAIO 2021
UN ANNO DOPO…

Ieri pomeriggio sono tornato nello stesso ufficio postale di un anno fa, stesso giorno, stesso orario, stesse bollette (più salate, magari). Che cosa ho trovato? Una lunga fila di persone, tutte in mascherina, fuori in attesa; turisti, giapponesi o meno, neppure a pagarli oro; controllo della febbre all’ingresso, personale seminascosto da paratie in plexiglass.

L’anno scorso, i meccanismi autodifensivi del sociale, che scattano sulla base di giudizi di realtà dettati dalla legge di Thomas, avevano creato il vuoto intorno a due ragazzi giapponesi, scambiati per cinesi. Quest’anno, scorgo invece che il vuoto è cresciuto fuori e dentro di noi: oltre me, all’interno dell’ufficio tre persone, o “utenti”, occhi sopra le mascherine che si guardano sospettosi.

Quanto si potrà andare avanti così? Il governo risponde che le cose andranno così fin quando non saremo tutti vaccinati. Però, non c’è ancora una data precisa. Si parla dell’autunno. Forse.

In realtà la questione preoccupante è dettata dall’incrociarsi tra normalità e anormalità. O per meglio dire, un’anormalità di vita (nel lavoro, nella libertà di movimento, nella vita di relazione, eccetera) che viene presentata come normale, come qualcosa di ineludibile. Ci si sente rispondere che è per il nostro bene. E che comunque sia, e lo si dice con tono tra l’imperativo e il premuroso, come con i bambini, è così e si deve fare così.

Un’anormalità di vita che implica una regressione collettiva verso l’infanzia, verso una condizione di minorità che annulla una libertà faticosamente guadagnata. Un processo di cui pochi sembrano essere consapevoli. La sicurezza, almeno sul piano collettivo, maggioritario se si vuole, sembra preferita alla libertà.

Non parlerei però di una svolta antropologica, l’uomo, tranne alcune storiche fiammate, spesso dettate dalla disperazione, ha sempre mostrato di preferire la rassegnazione alla ribellione. Le radici sociali dell’obbedienza sono in quell’ “È così e si deve fare così”. È sempre più facile dire sì che dire no.

In verità, se proprio di svolta si vuole parlare si tratta di una svolta politica e sociale: il vero pericolo per il futuro è rappresentato dalla cultura politi¬ca del precedente.

D’ora in avanti, ammesso e non concesso che si esca da questa emergenza, esiste il rischio, più che fondato, che dinanzi a ogni epidemia futura si evochi e implementi, come modello di intervento, il precedente delle misure coercitive anti-Coronavirus come unica soluzione. Ovviamente, molto dipenderà dall’evoluzione della situazione in atto. Ma, come già si sente dire, il modello coercitivo, tra l’altro mutuato dalla Cina (non propriamente un modello di liberal-democrazia), funziona, quindi basterà solo qualche ritocco…

Il che potrebbe significare stabilizzazione ed estensione, a livello di protocollo da applicare inflessibilmente al minimo accenno epidemico, di misure coercitive all’insegna del protezionismo sanitario in tutti gli ambiti, dalla sfera pubblica a quella privata. Misure “protocollari” che potrebbero essere prese da un governo di destra, di sinistra, di “unità nazionale” o tecnico. Insomma da un Conte, da un Salvini o da un Draghi…

Come si può capire, in un anno sono cambiate tante cose. E osservando la piega presa dagli eventi politici, economici e culturali, a dire il vero, sembra proprio che al peggio non vi sia fine. Del resto gli esseri umani si abituano a tutto. Oppure no?

Carlo Gambescia

(*) Carlo Gambescia, Metapolitica del Coronavirus. Un diario pubblico, postfazioni di Alessandro Litta Modignani e Carlo Pompei, Edizioni Il Foglio 2021, pp. 145-146 (https://www.ibs.it/metapolitica-del-coronavirus-diario-pubblico-libro-carlo-gambescia/e/9788876068287 ) .

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