martedì 27 marzo 2012


Sul “Barbarossa” di Renzo Martinelli





Due parole sul “ Barbarossa” di Renzo Martinelli. Dunque, abbiamo visto domenica e lunedì l’edizione televisiva del film, probabilmente più lunga di quella cinematografica. Che dire? Il film è indubbiamente spettacolare, senza però raggiungere livelli americani. Ma al tempo stesso risulta rozzo - proprio come un action film statunitense - nell'opera di tratteggio delle psicologie dei protagonisti. Inoltre, non si contano gli anacronismi, a cominciare dall’aver retrodato la caccia alle streghe di almeno due secoli e mezzo. Martinelli è un regista dalla mano decisamente pesante. I suoi film, anche se meritori come “Porzûs”, sono sceneggiati e girati a colpi di ascia. Quanto alla “tesi leghista” tutta giocata dall’inizio alla fine sul riscatto, politicamente post-moderno, delle libertà lombarde, c’è poco da aggiungere… In effetti, Milano correva per sé: i sogni risorgimentali erano lontani "secoli-luce". Se non che (forse per accontentare il neo-paganesimo rusticano dello sponsor Bossi?), si finisce per perdere di vista il profondo legame tra chiesa locale, in primis il basso clero, e rivoltosi. Un aspetto quest’ultimo, che è possibile ritrovare, e capire in tutte le sue conseguenze (soprattutto in chiave di intensa religiosità popolare), nella sempre intrigante Storia della Lega Lombarda, uscita nell'anno di grazia 1848 e scritta da Luigi Tosti. Un monaco di Montecassino, cattolico-liberale, che pur sopravvalutando la natura pre-unitaria (ben sette secoli prima!) di quei moti, ne evidenzia assai bene i risvolti religiosi, del resto tipici della società di quel tempo. Come testimonia e simbolizza, per l'appunto, la religiosissima presenza del Carroccio durante la battaglia, con tanto di altare e sacerdote celebrante una messa in onore del Dio degli Eserciti. Presenza cui sono dedicati nel film pochi fotogrammi e dall’alto… Riassumendo: un film dai caratteri psicologicamente rozzi, non privo di spettacolarità, certamente a tesi, che tuttavia non coglie quel nesso tra fede cristiana e libertà comunali, quindi libertà collettive, mai individuali o “dalla nascita”, come invece rivendica davanti ai suoi accoliti, con anacronistico piglio giacobino, il reinventato Alberto da Giussano del film.

Carlo Gambescia

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