lunedì 15 maggio 2006

La fabbrica delle passioni
Calcio




Quel che sta (ri)accadendo nel mondo del calcio italiano può suscitare due tipi di di reazioni.
La prima di natura morale (o peggio moralistica) di condanna della corruzione e dell'affarismo che vi imperano, in nome del "ritorno" a una mitica età dell'oro. Dove finalmente si giocherà non per vincere ma per il piacere di partecipare, e nel più totale rispetto dell'avversario e delle regole.
La seconda è invece di natura più profonda e impegnativa: cercare di capire perché periodicamente il mondo del calcio, mediatizzato e globalizzato di oggi, dia il peggio di sé.
In primo luogo, corruzione c' è sempre stata, basta sfogliare qualsiasi storia del calcio, non solo italiano... Nella stessa misura lo sport (calcistico) novecentesco è segnato dall'ascesa e dal consolidamento del professionismo. Una società fondata sulla divisione capitalistica del lavoro, come la nostra, ha funzionalmente bisogno di attori sociali capaci di svolgere , ciascuno nel suo campo, e dunque "professionalmente", il proprio lavoro. Il che implica valori di riferimento ( ciò che buono e cattivo per e nel calcio), istituzioni di gestione e controllo (squadre professionistiche, tornei organizzati, dirigenze specializzate, giustizia sportiva, eccetera). E infine un processo di selezione di giocatori, dirigenti, arbitri (delle élite: dai calciatori al funzionariato sportivo), come avviene di regola in tutti i gruppi sociali.
In secondo luogo, e questo è il dato interessante, il calcio ha sempre più svolto una funzione sostituitiva sul piano delle "passioni sociali" collettive. Può sembrare banale ma ha funzionato, e in misura crescente, soprattutto nel secondo dopoguerra, come fabbrica di nuovi valori e comportamenti collettivi (per usare la terminologia di Moscovici). Meno pericolosi, meno vendicativi, di quelli politici... Gradualmente il calcio, in particolare dagli anni Sessanta, è però diventato non solo strumento di evasione dalla realtà, ma quasi la realtà stessa. Processo che, dopo la parentesi del Sessantotto, si è accentuato negli anni Ottanta, con la ripresa della globalizzazione economica e della conseguente mediatizzazione pubblicitaria della vita sociale, e dunque anche dello sport, e in particolare del calcio.
Mancano analisi precise, ma sembra che oggi il calcio, come argomento di conversazione, preceda la politica e il lavoro. Il che comprova (almeno tendenzialmente) come il calcio stia sostituendo la realtà. Il fenomeno del cosiddetto tifo sportivo politicizzato da gruppi di estremisti, è un altro segno della "mutazione" in atto: non indica infatti un ritorno della politica, come movimento sociale negli stadi, ma l'esatto contrario: la fine della politica come passione collettiva, come desiderio di cambiare il mondo, tipico di ogni autentico movimento collettivo.
Come hanno influito sul calcio (non solo italiano) la mediatizzazione e la globalizzazione economica? Ovviamente si tratta di un processo in corso: la mediatizzazione ha posto il calcio al centro della vita delle persone, trasformandolo, come si è detto, in fabbrica delle passioni; la globalizzazione ha trasformato le società di calcio - come qualsiasi altra impresa economica (come prova la nascita delle spa e l'ingresso in Borsa) ) - in macchine per competere e vincere a tutti costi: il calcio, dunque, come "fabbrica delle vittorie" a qualunque "prezzo". Soprattutto quest'ultimo fenomeno - sul quale ovviamente ha influito anche il calcio "fabbrica delle passioni" - ha provocato una diversa selezione del personale dirigente che ha condotto al potere personaggi privi di scrupoli come quelli che ora sono sulle prime pagine dei giornali.
Il calcio come fabbrica delle passioni e delle vittorie rappresenta oggi il nuovo universo di valori (sulle cui basi si decide appunto quel che è buono e cattivo per e nel calcio: chi vince e bravo, buono, giusto, bello, eccetera, mentre chi perde non lo è...). E le élite del calcio, una volta messo da parte Moggi, continueranno a essere scelte sulla base degli stessi valori, comportamenti e moventi mediatici ed economici.
Perciò per il momento è meglio rassegnarsi. Il calcio di oggi esprime una precisa fase della globalizzazione capitalistica. E fin quando durerà questa fase ( e i valori, comportamenti e moventi che esprime) la situazione difficilmente cambierà.

Carlo Gambescia

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