venerdì 21 marzo 2025

Gli opposti estremismi. Ancora sul Manifesto di Ventotene

 


Altro che “buttarla in caciara”. Il nome in copertina di Corrado Augias, odiatissimo dalle destre, ha fatto perdere la tramontana a Giorgia Meloni. Detta anche Isterix. Perché di Spinelli, Rossi e Colorni e relativo Manifesto di Ventotene, la Meloni sapeva e sa meno di zero.

Probabilmente qualcuno tra i suoi consiglieri si è ricordato all’improvviso di un libretto in argomento, revisionista, L’inganno europeo (2006). Un piccolo testo, per capirsi all’insegna della critica “alla marmaglia antieuropea di Ventotene”. Autore Enzo Erra, già giornalista del “Secolo d’Italia”, fascistissimo, ma non privo di cultura storica (benché a senso unico), scomparso qualche anno fa. E così è cominciata la caccia alla citazione ad hoc da sottoporre alla onnipotente fondatrice di Fratelli d’Italia.

Come abbiamo scritto ieri (*)il Manifesto di Ventotene è un testo liberal-socialista, scritto in uno dei momenti più bui della storia europea, da uomini, come Spinelli e Rossi, che avevano sulle spalle almeno dieci anni prigione e confino . Colorni sarà addirittura ucciso dai fascisti nel 1944.

Un appello a costruire, una volta sconfitto il nazifascismo, un’ Europa libera dalla lebbra nazionalista, finalmente pluralista sotto il profilo economico e sociale, rigorosamente anticomunista (non semplicemente antistalinista), capace di coniugare socialismo e liberalismo, evitando sia la paralisi statalistica, sia la logica predatoria dei grandi monopoli privati. Contro i quali Rossi, liberale einaudiano, lottò tutta la vita.

La dottrina liberal-socialista – perché di questo si tratta – una volta assicurati alcuni diritti fondamentali, punta sull’auto-organizzazione del sociale, su basi pluralistiche e decentralizzate, rispettando sia i diritti di proprietà che i diritti associativi, le libere imprese come le libere associazioni di mestiere. Insomma pubblico e privato insieme. Ma non per decreto. Si chiama, ripetiamo, liberal-socialismo.

Questo in teoria, perché – ecco il senso della parola “dottrina” – l’ idea liberal-socialista non è mai discesa fino in terra dalle nuvole delle grandi dottrine politiche.

Sotto questo profilo l’Unione Europea, non si può definire liberal-socialista, ma neppure una specie di reincarnazione dell’Unione Sovietica, come pretende Giorgia Meloni.

Siamo invece davanti a un’esperienza welfarista, che punta sullo scambio protezione sociale-obbedienza, dai risvolti inevitabilmente burocratici, che accomuna, sia la destra che la sinistra. Con un differenza, che la sinistra vuole che il welfare sia esteso anche i migranti. La destra no.

Pertanto, oggi come oggi, Spinelli, Rossi e Colorni, non si riconoscerebbero nel revanscismo nazionalista di Giorgia Meloni. Anzi fiuterebbero subito la venefica pista fascista. Ma neppure sposerebbero, pur favorendo l’accoglienza, la causa del welfarismo burocratico. Inoltre, se ci  si passa l’espressione, schiferebbero Trump e Putin per schierarsi al fianco dell’Ucraina.

L’equivoca pace evocata dalla piazza di sabato non sarebbe cosa per loro. Colorni, che pubblicò il Manifesto in una Roma occupata dai nazifascisti, cadde con le armi in pugno. Venne fermato in via Livorno, vicino piazza Bologna. Dove nel dopoguerra, l’odiata demoplutocrazia italica, permise al Movimento Sociale di aprire una sua sezione. Per la cronaca, frequentata (sembra) da Maurizio Gasparri, oggi senatore di Forza Italia.

Pertanto, se da una parte c’è una Giorgia Meloni che strumentalizza il Manifesto, da faziosa e ignorante fascista, dall’altra non si può non rilevare un uso improprio del liberal-socialismo, qualcosa di lontanissimo dalla melassa welfarista di Bruxelles, che per giunta viene usato per giustificare una equivoca manifestazione sulla pace in nome di un’Europa, che oggi tutto è eccetto quella vagheggiata da Spinelli, Rossi e Colorni.

È vero, che peggio del fascismo non vi è nulla, però è altrettanto vero che non lo si combatte e vince con le menzogne.

Gli opposti estremismi non giovano alla buona politica liberale.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/03/giorgia-meloni-sputa-contro-il.html .

giovedì 20 marzo 2025

Giorgia Meloni sputa contro Il Manifesto di Ventotene

 


Perché stupirsi del veleno sputato da Giorgia Meloni contro Il Manifesto di Ventotene?

“Sputato”. Non conosciamo termine migliore. Lo sputo è una ostentazione di disprezzo verso qualcuno a qualcosa. Nel caso della Meloni metaforico. Ma sempre di disprezzo-sputo di tratta.

Dicevamo, perché stupirsi? L’ Italia è il paese che ha inventato il fascismo. Una delle invenzioni politologiche del XX secolo. Come la democrazia rappresentativa lo fu del XIX. Ovviamente, il fascismo sta alla democrazia liberale, come l’invenzione della dinamite al vaccino contro il vaiolo.

Non è facile liberarsi, anche dopo ottant’anni, dalle scorie fasciste. Cosa che diventa ancora più complicata quando un partito, mai integratosi nel sistema liberal-democratico, se non in modo passivo e opportunistico come il Msi-An-Fdi, governa addirittura l’Italia.

Chi scrive ha studiato a fondo Il Manifesto di Ventotene e trova che si può discutere in alcuni punti legati a certo pedagogismo politico e all’articolazione economica e sociale della futura società europea. Resta invece fuori discussione l’anticomunismo, e diremmo antitotalitarismo, degli estensori: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi (condannati a durissime pene detentive), Eugenio Colorni (quest’ultimo ucciso dai fascisti nel 1944).

In sostanza tre liberal-socialisti (Rossi meno), tesi a coniugare socialismo e libertà; contrari a qualsiasi forma di statizzazione dell’economia e soprattutto, ripetiamo, negatori dell’ utopia comunista.

Si legga qui:

Comunismo:

Col predicare che la loro «vera» rivoluzione è ancora da venire — costituiscono, nei momenti decisivi, un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre, la loro assoluta dipendenza dallo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di svolgere alcuna politica con un minimo di continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per andare poi facilmente in rovina insieme con i fantocci democratici adoperati; poiché il potere si consegue e mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico e vitale alla necessità della società moderna” (p. 43-44).

Statizzazione dell’economia:

La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista; ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia” (p. 61) (*) .

Sputando sul Manifesto di Ventotene Giorgia Meloni si è rivelata per ciò che è: una fascista ignorante e faziosa.

Ignorante perché non ha letto a fondo Il Manifesto, faziosa perché ha citato in modo acontestuale, soprattutto dal punto di vista storico. Fascista perché ignorante e faziosa.

Dopo anni di carcere,   in un’ Italia e un’Europa che celebravano le pagliacciate di Mussolini e scritto nel periodo in cui i nazifascisti vincevano su tutti i fronti,   gli estensori continuavano a interrogarsi caparbiamente sulla complicità dei popoli con la reazione fascista. 

Di qui il pedagogismo, talvolta rigido, di uomini costretti dal fascismo a vivere in isolamento o dietro alle sbarre. Ignorati da masse  giubilanti vendutesi a Mussolini per un tozzo di pane.

Giorgia Meloni, attaccando Il Manifesto di Ventotene, rimprovera a Spinelli, Rossi, Colorni certo pedagogismo rigido, che ripetiamo non rappresenta la nota dominante del Manifesto, frutto inevitabile di anni di dura prigione e delle asprezze patite ingiustamente.

Giorgia Meloni non si interroga sul fatto che le dittature, e in particolare quella fascista, possono alterare momentanemente anche gli uomini migliori. Che certo pedagogismo può essere il frutto venefico di quel fascismo, con il quale la Meloni non ha mai fatto i conti.

Sicché se la prende con Spinelli, Rossi e Colorni come se fossero venuti dal nulla. Come se nel 1941, alla stregua di certi film fascisti dei telefoni bianchi, si vivesse in pace e in una fatata Ungheria.

E questo accade in un Paese, che, come dicevano, ha inventato il fascismo, cosa che tuttora non pochi rivendicano con orgoglio, e che in larga parte ignora Il Manifesto di Ventotene. E che quindi pende dalle labbra di una fascista ignorante e faziosa.

Che cosa più grave, a differenza di Spinelli, Rossi e Colorni, è cresciuta in un clima di libertà. E che quindi non ha scuse.

Carlo Gambescia

(*) Per il testo integrale qui: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/repository/relazioni/libreria/novita/XVII/Per_unEuropa_libera_e_unita_Ventotene6.763_KB.pdf?fbclid=IwY2xjawJIk3dleHRuA2FlbQIxMAABHWLMpBcYINz06uTUcl-jz4QDoBfPsGbzqCFVD7b0LhaSzZCvm3dyjQzZeg_aem_XC8B0FylguKF1nwc_Lv-6w .

mercoledì 19 marzo 2025

Stati Uniti. Il realismo politico zoppicante di Giorgia Meloni

 


Un esempio di realismo politico strumentale? Zoppicante o addirittura fasullo, per essere più espliciti? Si legga qui:

“Chi ripete ossessivamente che l’Italia dovrebbe scegliere tra Europa e USA lo fa strumentalmente, per ragioni di polemica domestica o perché non si è accorto che la campagna elettorale americana è finita, dando a Donald Trump – piaccia o no – il mandato di governare e di conseguenza ai partner occidentali di fare i conti con questa America”.

Così Giorgia Meloni ieri al Senato (*) .In quel “piaccia o no” c’è il trucco. A dire il vero di strumentale c’è solo il ragionamento di Giorgia Meloni.

Si sostituisca al nome di Trump quello di Hitler, di Mussolini o di qualche altro dittatore e si faccia lo stesso ragionamento. Poiché “Tizio” è al potere bisogna tenerne conto.

Facilissimo, no? E invece si tratta della stessa logica pseudo-realista che spinse negli anni Trenta del secolo scorso Gran Bretagna e Francia a “fare i conti” con Hitler. Come? Cedendo. Fino a quando non invase Polonia. E finalmente si comprese qual era il gioco del dittatore nazista.

Il realismo politico, cioè tenere conto dei rapporti di forza, è importante, ma ancora più importante è il non snaturare i propri valori politici. Per capirsi: se l’interesse spinge all’ alleanza con il diavolo, i valori sono lì per fare da freno, agire come una specie di spirito del bene che non può favorire il suo contrario, lo spirito del male.

Si dirà: 1) Trump non è Hitler; 2) L’Italia ha tutto da perdere da un conflitto, dal commerciale al politico, con gli Stati Uniti; 3) L’Italia, può tranquillamente tenere i piedi in due staffe, anzi addirittura in tre, addirittura quattro, Russia, Ucraina (e cinque) con Israele. Senza dimenticare (sei) la Cina. Roba da saltimbanchi.

Vediamo meglio.

Si noti al punto 3), una specie di ecumenismo bilaterale, in linea – quando si dice il caso – con il bilateralismo, a sfondo nazionalistico, rilanciato da Trump.

Quanto al punto 1), Trump ha lo stesso approccio aggressivo di Hitler alla politica interna e internazionale. Inoltre ha la stessa capacità del Führer di imbrogliare le acque: di parlare di pace agendo da uomo di guerra che approfitta dei deboli. Inoltre, la visione politica di Trump è decisamente autoritaria, se non addirittura dittatoriale.

Trump non accetta alcun tipo di freno (costituzionale, giudiziario, politico, mediatico, politico) al suo potere. In questo momento i giudici americani si stanno interrogando, e con grande preoccupazione, sull’ipotesi, molto realistica, che Trump punti a ignorare i controlli di legittimità costituzionale sugli ordini esecutivi per andare avanti come un treno nell’implementazione del suo progetto politico chiaramente eversivo. Cosa gravissima.

Infine al punto 2) è certamente vero che, sul piano dell’interesse, l’Italia avrebbe tutto da perdere da un conflitto politico-economico con gli Stati Uniti, però è altrettanto vero che sul piano dei valori, assecondare il progetto trumpiano, significa prendere le distanze dalla liberal-democrazia e dalla stessa Europa liberale.

Facciamo solo un esempio: le indiscrezioni sulla telefonata di ieri tra Trump e Putin confermano l’assenza di qualsiasi accenno al ruolo dell’Europa. Americani e russi la giudicano un soggetto passivo, come la stessa Ucraina del resto. Territori da spartire.

Cosa vogliamo dire? Che se l’Europa è giudicata da Trump res nullius, figurarsi l’Italia. Pertanto buon senso imporrebbe legami più stretti con l’Europa liberale. Proprio per difendersi, tutti insieme, dal progetto trumpiano di nullificazione politica dell’Europa, dell’Italia e ripetiamo dell’Ucraina. Al momento qualcosa si muove (riarmo e coalizione volenterosi), ma l’Italia frena.

Trump, con sguardo rapace, scorge nell’Europa occidentale un ricco giacimento finanziario off shore dal quale drenare denaro e risorse. Le stesse tesi di Hitler.

Qui però viene alla luce la natura strumentale del realismo politico di Giorgia Meloni. Che non potendo condividere i valori liberali europei, perché come ex missina, quindi neofascista, non li ha mai amati, evoca il realismo politico come scudo per favorire la strategia di Trump. Del quale invece condivide i valori, anche se evita di ammetterlo ufficialmente. Inutile ricordare gli abbracci, anche ideologici, con Bannon, Musk e lo stesso Trump.

Giorgia Meloni, con la scusa di un realismo politico, ufficialmente attento agli interessi dell’Italia, difende invece valori antiliberali, che condivide con Trump.

In realtà il gioco della Meloni è ancora più subdolo. Perché mescola realismo politico e concetto di pace. Il suo pseudo ragionamento è questo: Trump lavora per la pace, quindi tenere conto di Trump, significa lavorare per pace. Il problema è che non è universalmente riconosciuto che Trump lavori per la pace. Quindi la premessa maggiore è a dir poco zoppicante.

Al di là di questo, è interesse dell’Italia legarsi al carro di Trump, che poi sembra essere lo stesso di Putin?

E qui di nuovo gli interessi rinviano ai valori. Quindi, detto per inciso, non è vero che in politica estera gli interessi debbano avere la meglio sui valori.

Perché se si crede nei valori liberali, si deve dire no a Trump, come un tempo lo si disse, seppure in ritardo, a Hitler.

Se invece si crede nei valori autoritari, ci si può accodare, pronti a raccogliere le briciole che cadranno dalla tavola dei padroni.

Come il duce a Salò.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.dire.it/18-03-2025/1133639-il-monito-della-premier-meloni-chi-allontana-usa-e-ue-indebolisce-loccidente-mai-messo-in-dubbio-il-sostegno-allucraina/ .

martedì 18 marzo 2025

Trump e i nazisti dell’Illinois

 


Si legga qui:

“Tramontato, almeno per tutta la durata della presidenza Trump, il sogno ucraino di entrare nella Nato…” .

Il passo è tratto dal sito Ansa (*). “Sogno ucraino” a parte (purtroppo), il brano riflette un’opinione abbastanza comune. Cioè che Trump sia un presidente” normale” e che fra quattro anni rinuncerà al potere e tornerà a vita privata.

Va detto che negli Stati Uniti persino gli oppositori di Trump pensano la stessa cosa. Insomma si attribuisce una presuntiva lealtà istituzionale a un Presidente che l’attore, Robert De Niro, tra i pochissimi a cantarle fin troppo chiare al magnate, ha definito un gangster politico

In effetti rischio Al Capone è enorme. Anche perché mancano gli anticorpi.

Crediamo infatti che Trump, già espressosi a favore, punti almeno ad altri quattro anni. Riteniamo che Trump ritenga fattibile, attraverso l’introduzione di un nuovo emendamento, l’abrogazione del 22° (1951), che vieta il terzo mandato, per assicurarsi un periodo più lungo di tempo

Si respira un clima di intimidazione. Molti democratici potrebbero votare per lui. Per non parlare dei repubblicani sotto ipnosi. E così conseguire – semplifichiamo – quel consenso dei due terzi della Camera dei rappresentanti e del Senato, oppure del 75 per cento degli Stati americani (Articolo 5 della Costituzione).

Con conseguenze politiche “pesanti” per il “regime” in senso sociologico di tipo “semimonarchico”, o peggio ancora di stampo mobster al quale Trump sembra stia lavorando.

Come si spiega questa mancanza di anticorpi? O detto altrimenti un atteggiamento così ingenuo?

Innanzitutto, la novità della situazione. Il cosiddetto americano medio non ha mai vissuto una situazione del genere. Come “Presidente agitatore” Trump rappresenta un unicum nella storia degli Stati Uniti.

Di conseguenza gli stessi sondaggi, che assegnano al magnate un gradimento tra il quaranta e i cinquanta per cento, hanno una funzione normalizzante, di routine. Per capirsi: “Mussolini? Parliamone”; “Hitler? Severo ma giusto”; “Il corporativismo? Un esperimento interessante”. E infine: “Trump? Un uomo che vede lontano”; "Un sincero patriota". Per alcuni addirittura “un liberale”.

Siamo davanti al flusso impercettibile del sempre uguale, nonostante le “sparate” di Trump. È vero che per il 5 aprile è prevista una grande manifestazione nazionale, però è altrettanto vero che la protesta non riguarda il nodo istituzionale. Cioè il pericolo che Trump, che tra l’altro ha stabilito il record degli ordini esecutivi (a far tempo dal 1937), stravolga la Costituzione degli Stati Uniti, la più antica tra le moderne costituzioni scritte.

In realtà in Trump non c’è nulla di normale: dal pacchiano riarredo della Casa Bianca in stile Emirati arabi al suo odio per la libertà di stampa, gli immigrati, i diritti civili, i giudici e più in generale lo stato di diritto.

La nostra non è solo una battuta: con Trump e la sua corte dei miracoli sono andati al potere per la prima volta nella storia degli Stati Uniti i pittoreschi nazisti dell’Illinois consacrati dai Blues Brothers. Esageriamo? Si pensi l’aggressiva politica estera di Trump e alla sua simpatia per dittatori come Putin.

Quel che poi stupisce del fenomeno Trump, non è solo la sua straordinaria capacità di mentire, di rovesciare la realtà, di confondere le acque, ma l’acquiescenza della gente, anche dei suoi stessi avversari.

E qui torniamo al ruolo determinante della routine. Di ciò che si ripete giorno per giorno, sostanzialmente immutato. Sembra addirittura serpeggiare un senso di grigia monotonia. "Lo si lasci pure fare Trump…". "Perché drammatizzare? Tanto  con il prossimo presidente democratico cambierà tutto…".

Dicevamo delle “sparate”. Il concetto è quello dell’assurdità come normalità. Quel che fa e dice Trump è così assurdo da non poter essere vero. Qualcosa di così incredibile al punto di favorire il tranquillizzante invito a non prenderlo sul serio. E come? Riappropriandosi di una normalità che non si considera minacciata, si dice, da un pagliaccio.

Di qui il quadro di apparente normalità, governato dai rituali sondaggi. Da una parvenza di regole (per ora). O dalla ridicola "emergenza-uova" per la colazione degli americani: cosa presa sul serio dai mass media. Capito? Trump si prepara a massacrare la Costituzione, e qual è il problema principale? Le uova strapazzate.

Sembra prevalere un clima animato dalla rassegnazione. Calma e gesso, si dice. Perché si confida nel fatto che la cosa durerà quattro anni. Anzi, meno. Forse, si sospira, già le elezioni di Midterm potrebbero, eccetera, eccetera. Auguri.

A dire il vero, Wall Street ha finalmente subdorato qualcosa. Non gratifica Trump. Anzi. 

Il concetto è il seguente: essere ricchi non significa essere dalla parte del capitalismo. Come ben sapeva Pareto, il capitalismo a caccia di profitti sul mercato, fondato sul rischio è una cosa (buona), il finto capitalismo a caccia di rendite, fondate sullo stato protezionista che azzera i rischi un’altra (cattiva).

E Wall Street sembra  stare  dalla parte del mercato non da quella della corte dei miracoli trumpiana. Potrebbe essere un indizio di risveglio.

Una spia rossa che si accende. Il primo passo per liberarsi da un nazista dell’Illinois di nome Donald Trump.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/03/17/trump-annuncia-parlero-con-putin-la-pace-mai-cosi-vicina_eaa71f76-a0d1-4b7e-8c0e-164daab29f18.html .

lunedì 17 marzo 2025

Ucraina. L’alibi dell’immaginazione del disastro

 


Vogliamo esaminare i fatti?

Le richieste russe hanno il carattere dell’ultimatum. Che cos’è un ultimatum? Nel diritto internazionale l’ultimatum rimanda alle ultime perentorie proposte di uno stato verso un altro stato, che, se non prontamente recepite, assumono il valore di una dichiarazione di guerra.

Di regola, come nel caso dell’ ultimatum dell’Austria alla Serbia nel 1914, comportano una grave violazione di sovranità. Gi austriaci pretendevano di sostituire la polizia serba nelle indagini sul mortale attentato di Serajevo.

La Russia, che già una volta, aggredendo, ha violato la sovranità ucraina, ora pretende addirittura, violandola di nuovo, oltre alle cessione dei territori, occupati illegalmente, il disarmo ucraino, la sostituzione di Zelensky dipinto come un nazista, dittatore, eccetera. Altrimenti la guerra continuerà.

Può uno stato, ora ridotto a meno di quaranta milioni di abitanti, come l’Ucraina, continuare ad essere definito libero e sovrano, dopo aver accettato un simile diktat?

Ora, piaccia o meno, dopo il 1945, il sistema internazionale si è retto sul rispetto del principio di sovranità, calpestato in Europa da Hitler e Mussolini.

Ovviamente, una cosa sono i principi un’altra la realtà. Il lettore, anche il meno preparato, non può non ricordare i numerosi episodi di violazione del principio di sovranità all’interno della sfera americana, russa, cinese.

Per una grande potenza il principio di sovranità è sempre un ostacolo all’ espansione, vista quasi come un fatto naturale.

Per contro, un’Europa indebolita dalla guerra fece sua, e in modo coraggioso e ammirevole,  la difesa del principio di sovranità e di una interazione pacifica tra i popoli.

La guerra civile europea era pur servita a qualcosa. Di qui il processo di unificazione, che dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, si estese, graditissimo, ai paesi un tempo imprigionati dietro la Cortina di ferro.

Non una pura espansione militare, ma lo sviluppo , ben accetto a quei popoli, di un comune progetto economico, sociale e culturale legato a uno stile di vita: quello occidentale. Si pensi a un naturale dilatarsi dell’economia e della società rispetto all’espansionismo di tipo politico-militare. Un vero sollievo per i popoli.

Progetto condiviso, anzi rilanciato dagli Stati Uniti, allora primo alleato europeo. E ovviamente contrastato dalla Russia post-sovietica, profondamente nemica del valori occidentali. Di qui la volontà russa di opporsi, anche violando la sovranità, alla “occidentalizzazione” – che non è parola ingiuriosa – dell’Europa Orientale.

Secondo Kissinger, nella gestione della politica estera, l’attenzione verso gli interessi resta sempre qualcosa di importante. Il che però, non significa che la convergenza nei valori non rafforzi i legami di un’alleanza.

Il concetto è esatto. E ci aiuta a capire il perché del voltafaccia americano nei riguardi dell’Europa. La politica estera di Trump ha come unico valore la magnificazione della forza.

Per contro l’Europa, dopo due guerre mondiali, continua a  difendere quello dei diritto. Di qui la presente distanza, dal punto di vista dei valori, rispetto all’America di Trump. E di conseguenza l’ avvicinamento degli Stati Uniti alla bellicosa Russia di Putin.

Russia, che, sul piano degli interessi, altra grande intuizione di Kissinger, persiste nell’ errore della ricerca di un’espansione politica a Occidente, una “sovrestensione”, complicata da gestire, che favorì la caduta dei regimi zarista e sovietico (*).

Concludendo, i fatti cosa dicono? Che gli Stati Uniti, si badi quelli di Trump, e la Russia credono in solo valore: la forza.

Scelta estranea ai loro stessi interessi. Perché, per un verso sarebbe interesse degli Stati Uniti, non guastarsi con l’Europa e favorire l’occidentalizzazione del mondo, che in prospettiva, come si impara dallo stesso dibattito europeo, privilegia la pace e il commercio. E per l’altro, interesse della Russia a concentrarsi sulla democratizzazione e liberalizzazione interna, rinunciando alla “sovrestensione”, che invece accorcia la vita, come ricorda Kissinger.

Però, per ora, ciò non sembra possibile. Di qui la necessità dell’Europa, di rispondere alla forza con la forza. I russi e gli americani, come prova l’ultimatum russo di Putin caldeggiato da Trump, sembrano credere, ripetiamo, solo nel valore della forza. Ripetiamo: contro i loro stessi interessi.

Si dirà, come evocano i pacifisti, che l’Europa è destinata a soccombere, schiacciata tra i due giganti. E che una guerra atomica la ridurrebbe in cenere. Si chiama immaginazione del disastro.

Certo, si tratta di rischi che non si possono escludere. Però, ecco il punto, di ipotesi estrema in ipotesi estrema, si giunge a evocare come unica alternativa al “riarmo” la schiavitù. Il copione apocalittico, contempla la risposta “meglio schiavi che morti”. Fine delle trasmissioni.

Però se non fosse così? Nel senso che alle armi atomiche, di cui si sa troppo o troppo poco, nessuno ricorrerà? E che le risorse economiche e militari dell’Europa, una volta a regime, possono rivelarsi competitive e determinanti? E che infine la forza morale e psicologica del valori occidentali è superiore a quello della forza bruta dei nemici?

Il disastro va immaginato, proprio per essere evitato. Non è un alibi. Un passaporto per le macerie. Non va assecondato. Ma contrastato.

Carlo Gambescia

(*) Henry Kissinger, L’arte della diplomazia, Sperling e Kupfer, Milano 2004, gli ultimi due capitoli, 30 e 31.

domenica 16 marzo 2025

“Rule, Britannia! Britannia rule the waves!”

 


Prima due cose che abbiamo sullo stomaco. Non è proprio un procedere da analista. Però il lettore perdonerà.

La prima. La manifestazione di ieri pro Europa, non è che un altro vergognoso capitolo scritto da una sinistra che, fin dalle origini socialiste, tardo ottocentesche, si è mostrata incapace, con pochissime eccezioni, di sposare la causa del riformismo e del liberalismo. Cioè in Italia, la sinistra, nel suo insieme, ha sempre rifiutato la normalità liberale.

Il lettore si interrogherà sul concetto di “normalità liberale”. Ci riferiamo all’osservanza delle regole, al rispetto e tolleranza delle differenze, alla comune mitigazione (di destra e sinistra) degli impulsi più bassi dell’umanità. In pratica, si tratta del reciproco rifiuto delle ricette magiche e delle grandi semplificazioni. E su quest’ultimo punto evocare la pace, in un’Europa che rischia di finire schiacciata fra Trump e Putin è come pretendere di curare il cancro con il bicarbonato.

La seconda cosa. L’ immaturità riformista e liberale, con conseguente rifiuto della normalità liberale, riguarda anche la destra. Che, in Italia, oltre a flirtare storicamente con il fascismo, continua a remare contro i principi dello stato liberale e soprattutto a glissare sulla sua necessaria difesa dagli artigli autocratici di Trump e Putin.

Giorgia Meloni, che di fatto si è tirata fuori dalla coalizione dei “volenterosi” a guida britannica e francese, dovrebbe spiegare – sue parole – “come continuare a lavorare con gli Stati Uniti”, se Trump non ascolta nessuno, né chiede il parere di nessuno. E per giunta giudica “illegale” qualsiasi critica, dei giornali come dei cittadini. Il fascismo di Trump, o qualcosa che assomiglia molto, perché in questo consiste il tradimento degli Stati Uniti, non si cura con il bicarbonato.

Detto questo, non possiamo non tessere le lodi di Starmer e Macron, che si stanno comportando da veri statisti liberali. Convocare un vertice militare per il prossimo giovedì è di un tempismo assoluto. Perché  in questo modo si prova di aver  compreso due cose fondamentali:  la gravità dell’ora e la necessità di agire subito.

Britannici, francesi e coloro che si uniranno alla coalizione militare sanno benissimo che solo in questo modo, se e quando sarà firmata la tregua, si possono impedire tre cose: 1) evitare la dissoluzione dell’ eroica Ucraina; 2) impedire che l’Europa sia tagliata fuori dai giochi, in una partita che la riguarda direttamente; 3) stanare i clowns, amici del giaguaro, anzi dei giaguari, come Giorgia Meloni, quindi contarsi.

Piaccia o meno, britannici e francesi, a differenza dei pagliacci italiani, sono, in termini di storia delle idee, alle origini del liberalismo moderno: la più grande invenzione politica dei nostri tempi. E cosa più importante, sul piano sociologico, in particolare i britannici, hanno comandato. E conoscono alla perfezione le responsabilità del comando, tempi e modi del farsi rispettare, e soprattutto di come indirizzare le forze. E infatti hanno l’atomica.

Come concludere? Visto che Starmer sembra aver assunto il comando di fatto della coalizione, tutti sull’ attenti. Rule, Britannia! Britannia rule the waves! Britons never shall be slaves…|

Carlo Gambescia

Per la fonte dell’ immagine di copertina, un originale dipinto di Richard Popitti (che ringraziamo), si veda qui: https://richard-popitti.pixels.com/ .

sabato 15 marzo 2025

Il fascino discreto del pacifismo

 


La storia del Novecento ha visto di tutto. Perfino passare Mussolini per uomo di pace. 

Al duce in realtà dispiacquero le manifestazioni pacifiste degli italiani al suo ritorno da Monaco 1938.

Pertanto inutile meravigliarsi se Trump e Putin, ora soprattutto il primo, sono considerati uomini di pace. Si chiama anche fascino discreto del pacifismo. La pace attrae sempre. E i mascalzoni in senso politico ne approfittano.

Del resto, in particolare dopo due grandi guerre mondiali, la pace non può non essere una causa popolare. Chi oserà mai schierarsi dalla parte della guerra?

Ad esempio, oggi la sinistra scende in piazza per l’Europa. Idea che mette d’accordo le sue variopinte componenti. Guai a parlare di guerra. Sarebbe il fuggi fuggi.

Eppure la stessa sinistra pacifista non ha paura, come spesso proclama, di dichiarare guerra al capitalismo. Come pure Trump e Putin non sono due santi: il primo vuole prendersi Canada e Groenlandia con le buone o cattive, il secondo sta per raggiungere il suo scopo: smembrare militarmente l’Ucraina.

E la destra? Ha improvvisamente riscoperto la pace. Da Giorgia Meloni che voleva affondare le navi Ong, a Salvini che difende tabaccai e benzinai dalla pistola dalla facile.

Si pensi al generale Vannacci, che dorme in mimetica, e che ora predica la pace. Tragicomico. Oppure ai tanti esperti militari, vicini alla destra (ma anche alla sinistra), che fanno il giro delle sette chiese mediatiche per mettere in guardia contro le guerre atomiche. 

Guerre, si perdoni l'inciso, di cui, al di là degli episodi di Hiroshima e Nagasaki,  non sappiamo nulla, perché mai effettivamente combattute su larga, media e piccola scala.  Quindi, ripetiamo, in modo non episodico.  Esiste una letteratura al riguardo ma di natura pacifista, quindi non scientificamente  obiettiva, al pari, si badi  bene, della letteratura bellicista sempre in materia.

Quanto ai duri e puri di estrema destra ed estrema sinistra, ci si divide equamente in pacifisti filotrumpiani e in pacifisti filoputiniani.

Per l’intero arco pacifista da destra a sinistra, l’unico cattivo, il guerrafondaio per eccellenza, in questa tragicommedia, rimane l’eroico Zelensky. L’aggredito. Paradossale. Si pensi all’ immaginario paese di Ladropoli dove gli uomini onesti finiscono in prigione e i disonesti si danno alla bella vita.

Zelensky, ha goduto finora , e per fortuna, di appoggi istituzionali, da parte di “color che sanno”. Gli ultimi moicani della ragione.

Infatti sono dalla parte di Kiev le élite illuminate, legate ai valori liberali, di Gran Bretagna, Francia, Germania (dell’Italia meglio non fidarsi). Difficile dire se lo saranno fino in fondo. Però, al momento non deflettono. Contro piazze populiste e pacifiste manovrate non sempre per caso dalla destra e dalla sinistra. E con il minimo sforzo. Rimane invece arduo il lavoro di “color che sanno”, perché, piaccia o meno, la guerra divide, la pace unisce.

Che poi sia la pace bovina degli allevamenti intensivi resta un particolare secondario. Primum vivere si ode ripetere…

Perfetto. Auguri.

Carlo Gambescia