mercoledì 3 luglio 2024

Giorgia Meloni e il fascismo cognitivo


 

Per dirla alla buona: Giorgia Meloni c’è o ci fa? Per chi scrive ci fa (salvo poi non farcela, come vedremo, in un altro senso).

Per la semplice ragione che è fascista. Sicché si arrampica sugli specchi per non sembrarlo. La cosa però è più sottile, non si pensi al fascismo della macchietta Catenacci. Il lettore ci segua con pazienza e capirà.

Intanto, la “Lettera ai dirigenti di Fratelli d’Italia” è un capolavoro di ipocrisia politica. Per provare la nostra tesi, basta citare un passo.

“I partiti di destra dai quali molti di noi provengono hanno fatto i conti con il passato e con il ventennio fascista già diversi decenni fa e a maggior ragione questo vale per un movimento politico giovane come il nostro, che fin dalla sua fondazione ha peraltro fatto la scelta di aprirsi a culture politiche compatibili con la nostra,accogliendo persone che arrivavano anche da percorsi politici diversi da quello della destra storica. Fratelli d’Italia non è mai stato un movimento rivolto al passato. Da sempre, noi, siamo interessati solo al futuro della nostra Nazione” (*).

Quali conti? Fratelli d’Italia non ha mai celebrato, per quello che eventualmente possa valere, la sua Fiuggi. E inoltre, la Risoluzione di Strasburgo del 2019 (**), cui fa riferimento Meloni, più avanti, si riferisce a nazismo e comunismo , equiparandoli, una scelta che all’epoca fu criticata. Inoltre, cosa fondamentale, il fascismo di Mussolini non è mai citato.

Altra cosina  interessante. All’epoca, pur essendo Fratelli d’Italia prima aderente all’Ecr, senza parlamentari (2018), poi con sei (2019), non si nota una sua grande partecipazione:  tra i nomi dei relatori-presentatori ovviamente non ci sono parlamentari di FdI, ma neppure, come pare, tra i partecipanti al dibattito ( *** ).

Che dire? Una firmetta. Una “pecetta”, perché questa, alla fin fine, è la cultura politica di Giorgia Meloni. Da talk politico. La ricevuta di un versamento al fisco antifascista effettuato a malincuore. Che ora sventola, come nella famosa gag di Verdone, sul tizio mezzo scemo, occhialoni e porto d’armi.

Dicevamo del nodo del fascismo mai sciolto. Perché? Il problema è il taglio autoritario ( contro i suoi stessi dirigenti, i “colpevoli”,  come prova il tono da capufficio antipatico). Che sarebbe il meno. Il vero problema sono i contenuti politici regressivi. Si legga qui:

“Del fatto che gli italiani vedano in noi la forza politica che più di ogni altra ha a cuore l’interesse nazionale, e che più di ogni altra difende i valori “conservatori” della terra, della vita, della famiglia, della libertà”.

Si dirà qual è il problema? Nazione, terra, vita e famiglia non vanno d’accordo con la libertà individuale. E come abbiamo più volte ripetuto, si tratta di un fascismo concettuale, nel senso di privilegiare valori olistici, il "tutto-nazione", ad esempio,  che prevale sulla "parte-singolo cittadino". L’approccio politico di Giorgia Meloni è cognitivamente fascista. Al centro dell’universo politico, per così dire, di Fratelli d’Italia, non c’è l’individuo, ma c’è l’istituzione o il gruppo.

Si dirà che anche i socialisti, i verdi, i comunisti, i fanatici religiosi pongono al centro la classe, il pianeta, dio. Esatto. E non è un' attenuante. Il fascismo, come altri movimenti olistici, altrettano pericolosi, schiaccia l’individuo. La sua specificità è nel vedere, comunque una realtà deformata, ma regressiva, arcaica, pre-moderna rispetto alla centralità che ha assunto l’individuo nella società moderna.

Sotto questo aspetto gli accenni di Giorgia Meloni al futuro sono ridicoli.

Un vero movimento conservatore, della tradizione del moderno, dovrebbe ripartire dall’individuo non da ciò che lo ha oppresso e opprime. Perciò, per capirsi, antiproibizionismo, stato minimo, libertà di migrazione, eccetera. Sul piano personale proporremmo l’abolizione della cartà d’identità.

Giorgia Meloni invece va nella direzione opposta e, ammesso e non concesso che non sia fascista, inevitabilmente, come per chiunque scelga il passo del gambero, prima o poi incontrerà il fascismo sulla sua strada.

In questo senso, e concludiamo come sosteneva un altro grande filosofo del Novecento, Gianfranco Funari, Gorgia Meloni “gna fa”. È fascista dentro.

Cognitivamente.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/documents/1719933754592_letterameloni.pdf .
(**) Qui: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2019-0021_IT.html
(***) Qui: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/PV-9-2019-09-19-ITM-007-05_IT.htmlhttps://www.europarl.europa.eu/doceo/document/PV-9-2019-09-18-ITM-017_IT.html .

martedì 2 luglio 2024

Il ritorno della paranoia politica

 


In tempi normali un titolo del genere lo si può leggere su un giornaletto di estrema destra. Una bella risata e via. E invece no, i tempi non sono più normali. Non siamo più dinanzi a un innocuo scemo del villaggio. Il titolo è su “Libero”, che non è proprio una testata sconosciuta. E non è proprio il caso di ridere, soprattutto alla luce di quel che ha dichiarato Giorgia Meloni, a proposito delle vittoria lepenista: che è finita la “demonizzazione” della destra, e che le sue preferenze, estrema o meno, andranno sempre alla destra.

La destra “demonizzata” è quella dalle radici fasciste. Una destra che normale non era e non è. Sicché torna  a galla un odio verso la sinistra, paranoico (come prova il titolo di “Libero”), tipicamente fascista, che porta indietro Europa e Italia al primo dopoguerra, quando il "pericolo rosso", con la Russia in fiamme, favorì la violenza fascista. L’Europa della guerra civile, per dirla con Nolte.

Ora quel pericolo rosso (ammesso e non concesso, eccetera) non esiste più , eppure i toni paranoici sono rimasti. I fascisti dopo Mussolini nulla hanno dimenticato, nulla hanno imparato. Sembra che il secolo che ci separa dall’odio squadrista sia passato invano.

Un piccolo ripasso: il paranoico politico è un individuo politicizzato, un partito, un movimento, tutti  caratterizzati da una forte sospettosità e diffidenza verso gli altri, che persiste anche in assenza di reali minacce. Un partito che presenta un carattere paranoide tende a interpretare gli eventi in modo malevolo, ostile e umiliante. Sotto questo profilo il fascismo è un fenomeno di paranoia politica. Un caso da manuale. Il che spiega l’atteggiamento di Giorgia Meloni verso la sinistra ( e non solo: si pensi ai migranti).

Di conseguenza, e per restare in metafora, la “demonizzazione”, evocata dalla Meloni, per fare un esempio chiaro per tutti, in realtà non è altro che una misura estrema, una specie di TSO al quale le democrazie liberali, loro malgrado, non potevano e non possono non ricorrere, per evitare che il fascista paranoico, per così dire, faccia male a se stesso e agli altri, rifiutando la sua liberal-democratizzazione.

Quel tipo di destra dalle radici fasciste è stata isolata costituzionalmente? Non c’era altra soluzione. Quindi non demonizzazione, ma autodifesa liberal-democratica.

Quanto scriviamo, può apparire forte, e per certi aspetti lontano dalla tolleranza liberale, diciamo basagliana. Ma anche lo stesso Basaglia, pur in altro ambito, riteneva indispensabile in alcuni casi intervenire. Va detta anche un’altra cosa. A combattere i barbari – questa destra – si corre il rischio di imbarbarirsi. Ma sorridere o ridere di un paranoico, senza fare nulla, significa esporsi al pericolo. Il paranoico può sempre passare all’atto.

Fuor di metafora, i nemici della liberal-democrazia andrebbero sempre messi in condizioni di non nuocere alla nostra libertà. E invece cosa è accaduto? Che sono stati aperti i manicomi politici. Sotto questo aspetto Berlusconi sta a Basaglia. In qualche misura le intenzioni dell’uno e dell’altro erano buone. Ma le vie dell’inferno, eccetera, eccetera,

Sicché nelle strade politiche si sono riversati i paranoici politici. Che ora si rafforzano ovunque. Si pensi a quei barboni, con qualche rotella di meno, che agitano la bottiglia di birra che hanno tra le mani, inveendo contro i passanti: “La demonizzazone è finita”, “Macron e la Salis sono d’accordo”, “Putin e Trump sono bravi ragazzi”, “Tu, brutto negro, perché mi guardi?. E così via. Da un momento all’altro quella bottiglia di birra potrebbe essere scagliata contro un passante…

Chi avrà il coraggio di riaprire i manicomi, prima che sia troppo tardi?

Carlo Gambescia

lunedì 1 luglio 2024

Francia (e dintorni). Perché vince l’estrema destra?

 


Anche in Francia, salvo sorprese al secondo turno, sembra aver vinto l' estrema destra. Perché?

Innanzi tutto cosa distingue la destra dall’estrema destra? L’ antifascismo.

In Francia un tempo esisteva una netta divisione tra la destra repubblicana e l’estrema destra lepenista. Come in Italia, tra la Democrazia cristiana e l’estrema destra missina. In Germania la destra era fuori gioco, in Spagna, il Partito popolare rappresentava una forza di centro-destra, moderata. Oggi in Spagna e Germania l’estrema destra è intorno al dieci per cento. Inoltre in Austria e nei paesi del Nord e dell’Est Europa l’estrema destra o è al governo o appoggia l’esecutivo dall’esterno come ad esempio in Svezia.

La nostra è una rassegna veloce e incompleta (ad esempio non affronta il pericoloso nodo Trump). Però quel che è certo è che l’estrema destra è in crescita in tutta Europa. 

 Che cosa significa essere antifascisti? Vuol dire aver capito la lezione del  1945. Che consiste nel rifiuto di quel nazional-fascismo che condusse a una guerra disastrosa.

Parliamo di una visione in cui la nazione prevale sull’individuo. 

Un’estremista di destra  dichiarerà sempre la superiorità del tutto sulla parte. Un tutto che può essere la nazione, il popolo, persino lo stato, si dice mentendo, come incarnazione del popolo, o addirittura come nel nazismo “serbatoio della razza”. Una parte che invece può essere, e di regola lo è,  l'individuo. 

L’estrema destra, con i suoi continui richiami al concetto di identità (del popolo e della nazione), un’ ossessione, introduce discordia tra i popoli in quantità industriale.

Allora, ritornando alla domanda iniziale, perché vince l’estrema destra? Per due ragioni. Una antropologica, una storico-culturale.

Antropologica, nel senso che il richiamo identitario rinvia al richiamo della foresta, al richiamo della natura. Parliamo della natura dell’uomo e delle sue tendenze gregarie e dis-gregarie. O meglio della sua rispondenza a un comune universale metapolitico di natura associativa-dissociativa.

Storico-culturale, nel senso che la cultura è un’ arma a doppio taglio, si oppone alla natura, come mostra l’ascesa culturale dell’individualismo moderno, ma al tempo stesso, non si distacca mai completamente dalla natura. Il che spiega lo sviluppo del nazionalismo moderno, come antidoto culturale all’individualismo.

Nell’ Ottocento il liberalismo cercò di conciliare natura ( identità) e cultura (libertà), ma nella prima metà del Novecento le forze della natura ( identitarie), ebbero la meglio su quelle della cultura ( liberali e individualiste). Le due guerre mondiale furono guerre identitarie. Nel 1945 riprese vigore, vincendo sul campo, la cultura della libertà e della mediazione.

Perciò la lezione del 1945 è mai più identitarismo. L’antifascismo come vittoria della cultura sulla natura. Una grande conquista. Non si dimentichi mai che “individuo” significa contratto, quindi mediazione, invece “identità di gruppo”, conflitto, quindi guerra.

Purtroppo come già capitato, per ragioni contingenti che qui non esamineremo (perchè ci interessano le linee generali del fenomeno), le forze della natura, coagulatesi intorno all’estrema destra, stanno guadagnando terreno. Il richiamo della foresta ancora  una  volta sembra funzionare. La natura, con i suoi processi associativi-disgregativi, sta di nuovo prevalendo sulla cultura della libertà individuale e della mediazione.

Ecco il senso profondo, diremmo metapolitico, delle elezioni francesi.

Carlo Gambescia