venerdì 24 aprile 2009

Intervista al professor Luciano Arcella
L'Aquila e la sua università torneranno a volare? 
(a cura di Carlo Gambescia)




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L’amico Luciano Arcella, docente di storia delle religioni presso l’Università dell’Aquila **, ha accettato di rispondere ad alcune domande sul post-terremoto.

Cominciamo dai soccorsi. Hanno funzionato?
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Per quanto concerne i soccorsi, non posso fornire un resoconto completo, visto che ho visitato soltanto alcune zone ed alcune tendopoli. Da Collemaggio all’area del Globo ai due campi di Pettino, ho certamente constatato una notevole efficienza, pur se gli ospiti hanno evidenziato alcune iniziali carenze. Le stufe sono arrivate dopo qualche giorno e con queste, le cabine-doccia con acqua calda.
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Ma che cosa ti ha colpito in particolare?
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Innanzitutto, la cucina e gli atteggiamenti dei volontari e dei soccorritori in genere. Al cibo sembra venire riservata particolare attenzione, nella consapevolezza che per l’Italiano e non solo per l’Abruzzese, il cibo, nella quantità e nel gusto, è elemento vitale. In Germania ci si sarebbe accontentati di zuppa con wurstel e patate, offerti in ordine alternato a pranzo e cena; da noi invece due primi, secondo e contorno, frutta e bevande varie. Ed a preparare e servire, oltre a militari o civili, cuochi vestiti da cuochi, come in quelle cucine a vista della migliore tradizione igienico-culinaria…
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E poi?
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Mi ha sorpreso l’estrema gentilezza di chi prestava aiuto. Espressione di un piacere nell’operare da tempo dimenticato da noi; che si operi presso strutture pubbliche o private. Quel piacere di cui parlava Mircea Elide a proposito delle biblioteche universitarie nordamericane, i cui impiegati si rivolgevano con gratitudine a chi andava a consultare i testi, e che a noi studenti italiani sembrava un dato da Cuccagna.
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E L’Aquila?
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Più che una città semidistrutta, ho visto una città abbandonata, ma allo stesso tempo ho visto nuovi punti nei quali si è condensata la vita. Certamente provvisori, ma tuttavia significativi nella loro capacità di indicare una precisa volontà di ricominciare.
La perdita della casa per una popolazione decisamente stanziale è un fatto grave, ma deve essere ridimensionata dinanzi alla capacità che è in noi di abitare il mondo e non soltanto una terra…
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Scusa Luciano, fammi capire…
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L’uomo non ha radici, ma ha cultura. L’uomo è in grado di radicarsi dappertutto, ma nella consapevolezza che quel che conta è il luogo degli affetti e del lavoro: entrambi riedificabili in ogni momento, al di sopra di ogni avversità.
Il solo, vero, inestinguibile dolore, è di chi ha perduto insostituibili affetti, e dinanzi a loro, chi ha lasciato alle spalle solo beni materiali deve essere grato al destino.
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Chiarissimo. Ma per tornare al quotidiano, come si vive in tenda?
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La vita in tenda non è male, non è campeggio come ha scherzato Berlusconi, tuttavia è una vita possibile, alternativa per chi deve rinunciare ai benefici cui è abituato, ma che in questa nuova collettività sta ritrovando un nuovo piacere di stare con gli altri. Alcuni lo sentono e lo esprimono, altri lo subiscono, ma in genere credo percepiscono il valore di questa esperienza irripetibile che, pur se durerà qualche mese (tempo auspicabile) nel ricordo diverrà parte lungamente significativa della propria esistenza.
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E che pensi del cosiddetto cosiddetto “carattere forte” degli abruzzesi? Si sta rivelando anche in questa triste occasione?
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Non so se questa esperienza rilevi un carattere schiettamente abruzzese o italiano: preferirei parlare di umanità, finalmente fraterna (ci sono molti stranieri fra i terremotati), finalmente seria dinanzi al comune nemico di una difficile sopravvivenza.
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La Facoltà di Lettere e Filosofia dove insegnavi è andata completamente distrutta … E’ vero che hai fatto lezione dentro una tenda?
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Carlo esageri...
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Luciano, da uno come te che come docente ha girato mezzo mondo, insegnando nelle situazioni più difficili, mi aspetto di tutto….
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Sì vabbé… Non ho tenuto una lezione universitaria in tenda, in quanto mi era stata vietata dal preside della mia facoltà, ma basandomi sulla libertà di esercitare la mia funzione di insegnante anargiro, ho parlato con studenti e non, e ho dato loro ulteriori appuntamenti. Per me si tratta di contribuire alla ripresa d’una vita attiva, esigenza manifestata sia dagli universitari che non vogliono perdere tempo per i loro studi, sia da chi vorrebbe trovare altro da fare in una quotidianità eccessivamente pigra.
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Come vedi il futuro dell’università aquilana?
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Se si saprà operare vedo un futuro più che roseo. Basterà che si appronti un campus fuori dalla città, fatto di costruzioni moderne e leggere; che si favorisca l’iscrizione dei vecchi e dei nuovi studenti con offerte appetitose: forti sconti sulle tasse universitarie e alloggi nel campus a prezzi ridotti. Navette continue che portino in questa nuova città universitaria partendo dal terminal di Collemaggio. Da aggiungere a ciò la fama, nata purtroppo da un evento luttuoso, comunque ora da sfruttare. Prima nessuno all’estero conosceva né l’Aquila né la sua Università: oggi, grazie ai media sono entrambe famose, e potranno trasferire questa fama nata da disgrazie in una fama per meriti turistici e intellettuali.
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A tale proposito, che pensi della decisione di Berlusconi di spostare il G8 all'Aquila?
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Non mi convince. Perché vi scorgo solo la consueta politica spettacolo.
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Concordo. Grazie Luciano della tua interessante testimonianza. Un abbraccio a te, ai tuoi studenti,  a tutti gli amici aquilani.
©Tutti i diritti sono riservati



Luciano Arcella oltre a insegnare presso l’Università dell’Aquila, svolge attività didattica e di ricerca presso università europee e latino-americane ( in particolare tedesche, brasiliane e colombiane). E’ stato per anni addetto dell’Istituto Italiano di cultura all’ estero. Tra le sue pubblicazioni: Rio Macumba (1981), Rio d’Africa (1993), Oltre la storia. Nietzsche (2003), Le bahiane, i bambini e il diavolo. Cronaca del carnevale di Rio (2004). 

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