giovedì 23 aprile 2009

Il libro della settimana: Gian Franco Lami, Tra utopia e utopismo. Sommario di un percorso ideologico, a cura di Giuseppe Casale, il Cerchio Iniziative editoriali, Rimini 2008, pp. 367, euro 30.00. 


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Purtroppo non solo nel linguaggio comune ma anche in quello colto, si continua a confondere l’ Utopia con l’ Utopismo. Finendo così per inquadrare l'utopia possibile - tra poco diremo di che cosa si tratta - con l'utopia l’impossibile. Cioè con quel pensiero socialmente costruttivista, per dirla con Hayek, disposto a tutto, anche a sporcarsi le mani di sangue come in epoca moderna, pur di cambiare radicalmente il mondo.
Siamo perciò davanti a una distinzione, al tempo stesso, sottile e indispensabile . Come appunto spiega Gian Franco Lami, docente di Filosofia Politica all’Università di Roma “Sapienza” nel suo Tra utopia e utopismo. Sommario di un percorso ideologico, a cura di Giuseppe Casale, il Cerchio Iniziative editoriali, Rimini 2008, pp. 367, euro 30.00 . Notevole studio, di cui qui ci occupiamo.
Un piccola premessa: a Gian Franco Lami, punto di riferimento della Scuola Romana di Filosofia Politica, dobbiamo libri densi e importanti su Evola, Tilgher, Voegelin, Cammarata, Del Noce. E resta veramente un “mistero (in)glorioso” dell’università italiana, come mai uno studioso del suo calibro non sia ancora approdato a un più che meritato ordinariato. Ma evitiamo polemiche “in conto terzi”. Che sicuramente dispiacerebbero al professor Lami, uomo di riservatezza antica.
La nostra prima impressione è che Tra utopia e utopismo, volume molto ben curato da Giuseppe Casale, autore dell’intrigante postfazione, parta teoricamente da un' osservazione di Platone, sulla costruzione dello "Stato ideale", che citiamo quasi a memoria: “ Di questa nostra città l’esemplare sta forse nel cielo, e non è molto importante che esista di fatto in qualche luogo o che mai debba esistere: a quell’esemplare deve mirare chiunque voglia in primo luogo fondarla entro di sé” (Repubblica, IX, 591 b.).
Ecco, su questo fondamentale punto di discrimine introspettivo ( la Città Esemplare va prima fondata “entro" se stessi), Lami, non per niente autore di un notevole Socrate Platone Aristotele (Rubbettino 2005), costruisce l'impianto concettuale del suo volume. Tutto incentrato sulla dicotomia utopia/utopismo, quale passaggio dall’interno all’esterno dell’uomo: da un lato la riforma interiore di se stessi, come base positiva di un’ utopia a misura dell’ uomo della Città degli Antichi; dall’altro la riforma del mondo esterno, come fondamento negativo di un pensiero utopico, teso a costruire l’uomo emancipato da ogni legame terreno e celeste.
Da una parte gli antichi, dall’altra i moderni. Con al centro il pensiero cristiano a far da tramite tra le due età. E in che modo? Attraverso la valorizzazione della costruzione interiore, ripresa dagli antichi, che però viene rivolta verso l’ l’utopia della salvezza celeste. Si tratta di una salvezza, quella cristiana, che i moderni, a loro volta, secolarizzeranno, riconducendola nell’utopistica città Terrena delle religioni prima politiche, poi dei consumi.
Naturalmente abbiamo semplificato, anche per lasciare ai lettori il gusto di scoprire la qualità storiografica del percorso delineato da Lami. Il quale con grande abilità interpretativa indica in Platone, Aristotele, Cicerone i padri dell’utopia come riforma interiore di se stessi (anche se in ordine valoriale decrescente...). Scorgendo nel loro pensiero il contraltare prima all’utopia celeste di Agostino, poi alle esitazioni di Boezio e infine agli slanci già premoderni di Gioacchino Da Fiore. Un figura, quella del cistercense, che segna il passaggio decisivo dall’utopia all’utopismo: dalla riforma di se stessi alla profetica attesa di una trasformazione totale del mondo umano; dalla storia interiore alla storia esteriore.
Dopo di che, secondo Lami, giungono i ferrati cavalieri dell’ utopismo moderno, stregati dal fascino demoniaco del potere. Francesco Bacone: il sacerdote dello potere scientifico; Hobbes: il teorico del potere sovrano; Harrington e Rousseau: i filosofi del potere democratico; Saint-Simon e Comte: i funzionari del potere tecnocratico; Cabet, Fourier, Owen, con l'appendice Marcuse: i profeti del potere sociale. Tutti decisi cambiare il mondo, costi quel che costi.
Ovviamente con alcuni pensatori, non del tutto riconducibili alla dicotomia utopia/utopismo, Lami usa toni sfumati, formulando giudizi più problematici. Pensiamo alla trattazione dell'Alighieri, di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. Ma anche all’analisi di altri pensatori di confine come Tommaso Moro, Tommaso Campanella, e in parte Ludovico Agostini. E più avanti dello stesso Vico, vero gigante sospeso tra scienza antica, scienza nuova e scienza di sempre. Tutte figure dove, pur con accenti diversi, resta ben viva, a differenza degli utopisti moderni, l’impronta classica e cristiana, come riforma interiore di se stessi nell’ambito di un cammino verso la Città Celeste, capace però di non disdegnare quella Terrena.
Tuttavia il libro, ottimo sotto l'aspetto descrittivo e dell'impianto concettuale, sembra non rispondere a una questione normativa. Se oggi, come pare ritenere giustamente Lami, vi è più che mai necessità dell' utopia, e se alla base della genuina utopia, secondo la lezione platonica, “deve esserci una virtù individuale, la quale si faccia carico di questa realizzazione utopica”, come insegnarla e trasmetterla agli altri? Come "irradiare" l'energia dell'utopia tra gli uomini, evitando però di cadere nel costruttivismo sociale, tutto esteriore, dell’ utopismo? Possono bastare soltanto la forza dell'esempio e il carisma dei capi in una società complessa, narcisista e segnata dall' individualismo protetto come la nostra?
Probabilmente sarà necessario scrivere un altro libro. Non ( o non solo) di filosofia politica, ma di filosofia pratica. E (perché no?) sociale, se non sociologica.
Buon lavoro professor Lami.

Carlo Gambescia 

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